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martedì 9 ottobre 2012

C'era una volta

Un atteggiamento di sfida


Il ridicolo è un atteggiamento di sfida: dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura, se non vogliamo impazzire.
Charlie Chaplin

Prova di memoria

Vi ricordate l'ordine di colore delle lettere?

Una lezione chiara e sintetica

Avete capito o devo ripetere tutta la lezione????
MISSION IMPOSSIBLE

anno bisestile

UN PO' DI STORIA Ai tempi di Romolo, intorno al VIII secolo a.C, l'anno civile era di 304 giorni, divisi in 10 mesi. I mesi di gennaio e febbraio furono aggiunti da Numa Pompilio che ha così portato l'anno a 355 giorni (equivalente all'anno lunare). Tuttavia la differenza di circa dieci giorni e mezzo fra l'anno solare e quello civile provocò l'ennesima confusione tra tempo civile e tempo delle stagioni. Giulio Cesare nel 46 a.C. fece a una nuova riforma seguendo le indicazioni dell'astronomo alessandrino Sosigene. Non a caso il 46 a.C. fu definito da Cesare l'ultimus annus confusionis ovvero l'ultimo anno di confusione! Fu così inaugurato il calendario giuliano. L'anno divenne di 365 giorni e ogni quattro anni si aggiungeva un giorno in più. L'anno con il giorno aggiuntivo fu detto bisestile, perché si scelse di raddoppiare il 23 febbraio, il giorno "sextus" ovvero il sesto giorno prima delle calende di marzo. Doppio giorno sesto, quindi bisesto! Ma subito dopo la morte di Cesare, si iniziò a commettere errori, Augusto sistemò le cose ma il calendario civile e l'anno solare continuavano a non andar molto d'accordo! Per questo, papa Gregorio XIII nel 1582 rifece di nuovo ordine e, calcoli alla mano, arrivò a formulare il cosidetto calendario gregoriano, quello che usiamo tuttora. Con questa riforma divennero bisestili tutti gli anni non terminanti con due zeri e divisibili per 4, e quegli anni terminanti con due zeri ma divisibili per 400. ANNO BISESTO ANNO FUNESTO? Tranquilli! L'anno bisestile è un anno come tutti gli altri! Le statistiche ci dicono che le sventure capitano con la stessa frequenza ogni anno. Il realtà, la cattiva fama dell'anno bisestile deriverebbe dal fatto che febbraio era per gli antichi romani un mese poco allegro: era il Mensis Feralis, ovvero il mese dei morti, dedicato a riti per i defunti perché, secondo il calendario arcaico si trattava dell'ultimo mese prima del nuovo anno, che nasceva a marzo. A febbraio si celebravano le Terminalia, dedicate a Termine, dio dei Confini e le Equirie delle gare simbolo della conclusione di un ciclo cosmico, quindi simbolo di morte e di fine. Un altro motivazione è di natura psicologica e superstiziosa: le cose fuori dal comune o poco frequenti, sono percepite come diverse possono fare paura. La tradizione popolare vede, piuttosto, gli anni bisestili come favorevoli a ogni nuova impresa, a ogni cambiamento di vita o di mestiere. Sotto una buona stella pare accompagnare chi nasce il 29 febbraio. Una tradizione irlandese antichissima vuole che le donne possano dichiararsi agli uomini solo il 29 febbraio! Altro che San Valentino! In caso di rifiuto, l’uomo doveva addolcire la delusione della donna con un bacio, un dono in denaro (una sterlina) e un paio di guanti o un abito di seta.

Consapevolezza


Non è questione di domande e risposte, ma di consapevolezza.
Sai benissimo ciò di cui hai bisogno. Il problema è che probabilmente temi di raggiungere quella meta che osservi da tempo senza avvicinarti. I sensi di colpa, i legami affettivi, le responsabilità ti frenano, ti bloccano, ti gelano…preso dal dubbio arresti la corsa. Non va bene. Non devi aver paura dei tuoi sogni, trova il coraggio di afferrarli!
Anton Vanligt

Le lampade eterne

Verso la metà del 16° secolo lungo la Via Appia Antica, si scoprì una misteriosa tomba. All’intermo fu trovato in un sarcofago. Immerso in un liquido sconosciuto di colore azzurrino il corpo di una giovinetta perfettamente conservato. I capelli biondi erano fermati da un cerchietto d’oro e il cui aspetto era come se fosse ancora viva. Una lampada accesa ardeva ai suoi piedi, ma si spense a contatto con l’aria. Dalle iscrizioni si apprese che il corpo era stato deposto lì circa 1500 anni prima e che probabilmente si trattava di Tullia, figlia di Cicerone. Il 15 marzo 1717 in Gran Bretagna, venne portato alla luce un tempio dei Rosacroce. All’interno una mummia seduta ad una cattedra, che sembrava leggere un libro di magia. Tutto illuminato dolcemente da una lampada. Quando gli scopritori fecero per avvicinarsi, la mummia si spostò e fece cadere la lampada facendo piombare l’ambiente nel buio. Tutto fu riferito da testimoni oculari. A Budapest nel 1930 durante la costruzione di una strada, venne alla luce una grossa lastra di pietra pesantissima che spostata si rivelò essere il coperchio di un sarcofago contenente il corpo di una fanciulla bellissima immerso in un liquido azzurrino e perfettamente conservato. Una luce bianco-azzurra ardeva ai suoi piedi. Fu chiamato subito il museo nazionale di Budapest, ma subito dopo l’apertura del sarcofago il liquido velocemente si volatilizzò, la luce dopo qualche guizzo si spense ed il corpo si decompose all’istante lasciando solo cenere. Non rimase più nulla. Sono riportate durante i secoli testimonianze o racconti di lampade eterne, lo storico Plutarco vissuto dal 50 al 120 d.C. circa racconta di una lampada sempre accesa davanti al tempio di Giove Ammone, i sacerdoti dicevano che ardeva da secoli. Sant’Agostino (354-430) parlando dell’Egitto descrisse una lampada meravigliosa che “ né il vento né la pioggia potevano spegnere” che si sarebbe trovata nel santuario di Iside. A Bisanzio durante il regno di Giustiniano, fu trovata una lampada eterna ad Antiochia, secondo l’iscrizione sull’oggetto, essa era in funzione da oltre cinquecento anni prima del ritrovamento. Cosa permetteva a queste lampade di ardere per così tanto tempo? Quelle lampade non generano calore, hanno una luminescenza fredda, dovuta forse alla “luciferina” la sostanza delle lucciole, non si può escludere che i nostri antenati siano stati capaci di sintetizzarla. Normali lampade fornite di combustibile e di lucignoli di asbesto, ma nulla può ardere per tanti anni, o addirittura per secoli perché abbisognano di ossigeno per bruciare e sono state trovate in luoghi ermeticamente chiusi come i sarcofaghi. Charroux avanzò l’ipotesi che fossero una specie di pile nucleari composte di radium il cui tempo di disintegrazione è di cinquemila anni.

Il lago rosa in Senegal

Lago Retba o Lac Rose si trova a nord della penisola di Cap Vert del Senegal, a nord-est di Dakar. A seconda del momento della giornata, il colore cambia da un lago viola chiaro al rosa scuro scarlatto. La colorazione insolita dell'acqua è causata da batteri innocui alofili che prosperano nel lago ad alta salinità. Il colore è particolarmente visibile durante la stagione secca.
Il lago ha una superficie di circa 3 kmq,e si trova a circa 35 km a nord-est della capitale Dakar. Dal 1970, i residenti locali hanno cominciato ad estrarre il sale che viene utilizzato soprattutto per conservare il pesce. Il sale viene poi riportato a riva dove è sezionata in piccoli tumuli.

Pink Floyd - Another Brick In The Wall(Live)

Non abbiamo bisogno di educazione Non abbiamo bisogno di essere sorvegliati né di oscuro sarcasmo in aula Professore, lascia in pace i ragazzi Hey, professore, lascia in pace i ragazzi!
 Tutto sommato, è solo un altro mattone nel muro Tutto sommato, siete solo un altro mattone nel muro
 Non abbiamo bisogno di educazione non abbiamo bisogno di essere sorvegliati né di oscuro sarcasmo in classe Professori, lasciate in pace i ragazzi! Ehi, professore, lascia in pace i ragazzi!
 Tutto sommato, siete solo un altro mattone nel muro Tutto sommato, siete solo un altro mattone nel muro.

In guerra con se stessi


Se tracci col gesso una riga sul pavimento, è altrettanto difficile
camminarci sopra che avanzare sulla più sottile delle funi.
Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché‚ non è pericoloso.
Se fai finta che la fune non è altro che un disegno fatto col gesso e l’aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi del mondo. Ciò che conta è tutto dentro di noi; da fuori nessuno ci può aiutare.
Non essere in guerra con se stessi, vivere d’amore e d’accordo con se stessi: allora tutto diventa possibile. Non solo camminare su una fune, ma anche volare.

E se fossimo gli artefici della nostra guarigione?


Quando sorge una patologia o un infezione siamo portati automaticamente ad accusare il microbo, ma se invece andassimo a cercare ciò che ha reso fragile la persona cosa succederebbe? Forse potremmo comprendere perché a causa di uno stesso microbo, certe persone sono affette da gravi malattie infettive mentre altre restano dei “portatori sani”.
Una malattia può essere legata a delle esperienze negative, a dei cattivi ricordi. Un cattivo ricordo che influisce negativamente sull’immunità favorendo così le infezioni, i tumori, ecc.! In medicina, siamo accecati da prodezze tecnologiche sempre più stupefacenti, ma la nostra comprensione e la nostra gestione delle malattie (emicranie, Alzheimer, melanoma…) restano a un punto morto. Non ci diamo abbastanza tempo di riflettere e continuiamo a ragionare secondo dogmi e postulati antichi, confondendo fattori di rischio con cause prime.
Giorgio Mambretti

Anche gli etruschi costruivano piramidi ?


Anche gli etruschi costruivano piramidi? Strutture piramidali scavate nel tufo sono state scoperte in una cantina di Orvieto da un team di archeologi americani e italiani. Potrebbe trattarsi di strutture religiose o di una tomba. David George di Saint Anselm, un college del New Hampshire, e Claudio Bizzarri del Parco Archeologico Ambientale dell'Orvietano hanno identificato nella cantina una serie di scale antiche scavate nella parete "certamente di costruzione etrusca", ha detto l'americano a Discovery News. Le pareti della cantina erano a forma piramidale e sotto il locale una serie di gallerie, anche queste di epoca etrusca, hanno lasciato pensare a strutture sottostanti ancora inesplorate. Lo scavo e' sceso finora a circa tre metri di profondità restituendo materiali datati al quinto secolo avanti Cristo. A questo livello e' stato rinvenuto un altro tunnel che collegava un'altra struttura piramidale.
Secondo Bizzarri sotto la città di Orvieto si troverebbero almeno cinque piramidi, tre delle quali tuttora inesplorate. "Certamente non sono cisterne o cave. Mai visto nulla del genere in Italia", ha detto Bizzarri.


Fonte ANSA

Prometeo e il vaso di Pandora


Il mito di Prometeo è quello che sta a cavallo tra la vecchia e la nuova mitologia e che segna bene il passaggio dall'una all'altra. Si svolge in gran parte nella Scizia, un paese orientale e nordico rispetto alla Grecia. Protagonista è ancora un Titano, una razza ancora selvaggia, turbolenta, contro cui Zeus dovette lottare a lungo per domarla. Per la prima volta un dio, Prometeo, che per difendere gli uomini, sfida coraggiosamente Zeus e soffre per il martirio che gli viene inflitto, per aver tentato di redimere l'umanità dalla miseria e dalla paura. Prometeo, in greco significa "colui che prevede", era un Titano, figlio di Giapeto e dell'oceanina Asia oppure di Giapeto e dell'oceanina Climene. Essendo preveggente, non aveva preso parte alla Titanomachia, aveva capito che il Destino voleva la vittoria di Zeus. Era un Titano giusto e pietoso, e sentiva una grande compassione per gli uomini che a quel tempo erano ancora selvaggi. Non avendo una grande ammirazione e fede in Zeus lo mise alla prova: uccise un toro e nascose nella pelle di questo la carne migliore, poi fece un mucchio più grosso con le ossa, col grasso e con le interiora, lasciando scegliere a Zeus che, come previsto, scelse il mucchio più grosso. Per vendicarsi dell'inganno Zeus, ordinò ad Hefèsto, il dio che i latini identificarono con Vulcano, di fabbricare una donna di straordinaria bellezza e di infonderle vita mediante una scintilla di fuoco. Tutti gli Dèi vollero fare un dono alla fanciulla: Atena le ragalò le attitudini ai lavori femminili, Afrodite le donò la grazia, Hermes le diede il coraggio e l'astuzia ammaliatrice. Avendo ricevuto tutti questi doni la fanciulla fu chiamata Pandora, che in greco significa appunto "tutti i doni". Zeus ai doni aggiunse un vaso chiuso, un vaso che non si doveva mai aprire.
Pandora fu mandata sulla terra per sposare Epimèteo, che in greco significa "colui che ha solo il senno del poi", fratello di Prometeo. Epimèteo, che era imprevidente e impulsivo, appena vide Pandora se ne innamorò e volle subito sposarla, senza ascoltare le parole del fratello che gli aveva raccomandato di diffidare da tutto ciò che proveniva da Zeus. Pandora appena sposa di Epimèteo, si fece vincere dalla curiosità femminile e volle aprire il vaso che Zeus le aveva regalato come dono di nozze. Aprendo il vaso, Pandora fece uscire fuori tutti i mali del mondo che presto si sparsero per tutta la Terra, riuscì a trattenere soltanto l'ingannevole Speranza, che stava nel fondo. Tra le tante infelicità quella che più colpiva gli uomini era quella dell'ignoranza su benefici del fuoco, mangiavano ancora la carne cruda degli animali e gelavano di freddo d'inverno.
Prometeo, per rimediare a tanta miseria, si recò a Lemmo dove rubò al dio Hefesto una delle sue faville di fuoco e nascondendola in un bastone la portò agli uomini. Insegnò agli uomini tutti i benefici del fuoco, ma anche altre cose come l'architettura, la scrittura e la medicina. Gli uomini presi da tante novità, iniziarono a trascurare i doveri religiosi e questa cosa irritò molto Zeus che decise di punire colui che era stato causa di cotanto oltraggio, Prometeo. Lo fece catturare dai suoi servi Cratos, la forza e Bia, la violenza; poi lo fece portare nel selvaggio paese di Sciti, sul monte più alto dove Hefèsto, secondo l'ordine ricevuto da Zeus, lo crocifisse, fermandolo con catene e anelli alle braccia e ai piedi e con un grosso chiodo piantato nel costato. Ogni mattina un'aquila fu mandata a divorargli il fegato, il quale poi ogni giorno miracolosamente ricresceva. Il supplizio durò secoli, nemmeno le Oceanine, che ogni giorno uscivano dal mare per consolarlo, riuscirono a convincere Prometeo di sottomettersi al potere di Zeus.
Alle orecchie di Zeus arrivò voce che Prometeo aveva predetto la fine del suo regno e che solo lui poteva aiutarlo svelandogli il segreto; Zeus si affrettò a mandare Hermes da Prometeo che però non volle parlare fino a quando non fosse sciolto dalle catene e non gli fosse riconosciuto da Zeus il suo agire nella buona fede per aiutare gli uomini. Passarono altri secoli, quando Zeus si decise a liberare Prometeo che mantenne il patto e rivelò che se egli avesse sposato Teti gli sarebbe toccata la stessa sorte che toccò a suo padre Cronos e ad Urano. Conosciuto il segreto Zeus sposò Hera e fece sposare Teti ad un mortale, Peleo.

La Gioconda ....e Monna Lisa

La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, è un dipinto a olio su tavola di pioppo (77x53 cm) di Leonardo da Vinci, databile al 1503-1514 circa e conservata nel Museo del Louvre di Parigi. Opera emblematica ed enigmatica, si tratta sicuramente del ritratto più celebre del mondo, nonché di una delle opere d'arte più note in assoluto, oggetto di infiniti omaggi, tributi, ma anche parodie e sberleffi. Il sorriso impercettibile della Gioconda, col suo alone di mistero, ha ispirato tantissime pagine di critica, di letteratura, di opere di immaginazione, di studi anche psicoanalitici. Sfuggente, ironica e sensuale, la Monna Lisa è stata di volta in volta amata, idolatrata, ma anche derisa o aggredita. Vera e propria icona della pittura, è vista ogni giorno da migliaia di persone, tanto che nella grande sala in cui è esposta un cordone deve tenere a notevole distanza i visitatori: nella lunga storia del dipinto non sono mancati i tentativi di vandalismo, nonché un furto rocambolesco che in un certo senso ne ha alimentato la leggenda.

C'è un altro Mona Lisa?

Il Isleworth Mona Lisa potrebbe essere una prima versione del famoso ritratto di Leonardo Da Vinci Poco prima guerra mondiale , collezionista d'arte inglese Hugh Blaker scoperto il dipinto in casa di un Somerset nobile nella cui famiglia era stato per quasi 100 anni. Questa scoperta ha portato alla congettura che Leonardo dipinse due ritratti di Lisa del Giocondo: quello famoso del Louvre , e quella scoperta da Blaker, che ha acquistato il dipinto e lo portò nel suo studio a Isleworth , Londra , da cui prende il nome. Secondo il primo biografo di Leonardo Giorgio Vasari , Leonardo aveva iniziato a dipingere Mona Lisa nel 1503, ma lo lasciò incompiuto. Tuttavia, un dipinto completamente rifinito di una "certa" signora apparve di nuovo nel 1517, poco prima della morte di Leonardo e nella sua proprietà privata. Il dipinto Quest'ultimo quasi certamente è la stessa che si trova , ora al Louvre. Sulla base di questa contraddizione, i sostenitori della autenticità della Mona Lisa Isleworth sostengono che sia l'incompiuta Monna Lisa , originariamente consegnata al suo commissionario, e al Louvre ci sia la versione successiva della Mona Lisa , fatta da Leonardo per proprio uso. Inoltre, secondo Henry F. Pulitzer nel suo Dove si trova la Gioconda? , Giovanni Lomazzo , storico dell'arte, cita nel suo trattato dell'arte della Pittura Scultura ed Architettura , pubblicato 1584, a " Gioconda, e Mona Lisa. Il riferimento implica che questi erano, in realtà, due quadri distinti.

La misteriosa cultura di Ban Chiang


Spesso l’archeologia incappa in oggetti e manufatti enigmatici associati a culture altrettanto anonime e misteriose da non trovare la benché minima traccia neanche nei più importanti libri di storia. Di culture perdute, avvolte nella nebbia della leggenda, se ne contano a migliaia, diffuse, come sappiamo, in tutto il mondo. Una di queste culture è quella di Ban Chiang, fiorita in Thailandia, in tempi antichi. Uno dei quesiti alla base di questa ricerca è: lo stagno giunse in Italia dalla Mesopotamia, ma da quale popolo lo ereditarono questi ultimi? Forse dall'est, da Oriente. Da questo punto inizia la storia di Ban Chiang. Durante dei lavori nella Thailandia nord-occidentale presso il villaggio di Ban Chiang, lavori che avevano come scopo la costruzione di una strada, vennero ritrovati vasi di una bellezza unica, appartenenti appunto a una cultura ignota e dimenticata.
Nel corso dei lavori di scavo vennero alla luce lance di bronzo lavorate con stagno. A questo punto non vi erano più dubbi: gli antichi Thailandesi fornirono lo stagno ai Mesopotamici! Risolto l’enigma. Si continuarono gli scavi in quest’area e vennero trovati manufatti ancor più sorprendenti.
Il centro di quella civiltà si estendeva per 300 km di diametro. Si scoprì inoltre che quella cultura lavorava già il ferro, 5000 anni prima degli europei! Creava ceramiche e vasi in terracotta, ma eccelleva soprattutto nella lavorazioni di metalli.
La cultura di Ban Chiang venne fatta risalire al 7000 a.C. e, come ci dice l’archeologo Americano Chet Gorman, scomparve improvvisamente, senza lasciare alcuna traccia, come del resto molte altre culture enigmatiche del pianeta! Si trattava di una cultura evoluta, precedente addirittura agli Egizi, che secondo gli studiosi sorsero solo 4000 anni più tardi, ovvero, nel 3000 a.C. Se si tratta di una civiltà così importante, perché se ne parla così poco? Come acquisirono le loro abilità tecniche gli antichi Thailandesi? Furono forse esseri di altri mondi a fornire agli abitanti di Ban Chiang le conoscenze adeguate, utili alla lavorazione dei metalli? Oppure, si tratta solo di una fantasia? Se erano realmente così avanzati, potrebbero essere stati successori di una cultura ancora più antica? Eredi della cultura di Mu forse, vista la vicinanza con l’Oceano Pacifico. A tal proposito, ricordiamo le numerose leggende asiatiche che vogliono gli abitanti di Mu rifugiarsi sul continente per dare vita alle civiltà storiche, quella tibetana, khmer, che potremmo considerare in qualche modo collegate alle leggende su Agharti/Shamballa; oppure, Khara Khota, la civiltà di Mohenjo-Daro. Le colonie della scomparsa isola-continente di Mu sopravvissero, in parte proprio grazie alla scienza dei loro padri, ma molte cognizioni dovettero andar perdute. Si dovette entrare in una sorta di antico medioevo, un’età di mezzo, che però servì come base per la nascita dei grandi imperi storici: quello degli Egizi, dei Sumeri, dei Babilonesi etc. Fantasticare fa parte della natura umana, specialmente quando antichi reperti, inspiegabili, ce lo permettono. Ma siamo ancora molto lontani dall’avere un quadro chiaro di questa misteriosa antichità dimenticata. Le civiltà senza storia, che continuamente andiamo a scoprire, custodiscono con gelosia i loro segreti, e non ci permettono di svelarli. Ci troviamo di fronte a pezzi sbiaditi di un grande e immenso mosaico.Solo con l’impegno e i sacrifici, magari un giorno potremmo finalmente trovare tutti i pezzi del quadro e giungere finalmente all’immagine completa, alla verità sul nostro intrigante passato!

 PASQUALE ARCIUOLO

Derinkuyu Cappadocia Turchia

Derinkuyu è una città, in cui è localizzato un antico grande insediamento sotterraneo. La città si trova nella provincia di Nevşehir, nella Cappadocia (Anatolia centrale turca), La sua principale elevazione è il monte Mt. Ertaş, alto circa 1.300 m. Circa 200 città sotterranee ad almeno due livelli, sono state scoperte nell'area che si estende fra Kayseri e Nevşehir, circa 40 delle quali hanno almeno 3 livelli di profondità. Le città trogloditiche di Derinkuyu e Kaymaklı sono due fra le meglio conservate. La città sotterranea è stata aperta ai visitatori nel 1969 e degli otto piani di cui è composta, ne sono accessibili per i turisti solamente quattro. La profondità è stimata intorno agli 85 metri.
La più antica fonte scritta riguardante le città sotterranee è Senofonte. Nella sua Anabasi, egli scrive che la gente che viveva in Anatolia aveva scavato città sotterranee per viverci con le famiglie, i suoi animali domestici e le vettovaglie necessarie alla sopravvivenza
La prima costruzione risale al VII-VIII secolo, ampliatasi poi in età bizantina. La città era probabilmente chiusa da grandi porte di pietra. Derinkuyu è la più grande città sotterranea della Turchia, più vasta quindi della vicina Kaimaklı. Il complesso ha un 11 livelli, sebbene molti piani non siano ancora stati scavati. Ha un'area di 650 metri quadrati e ogni piano esistente potrebbe essere stato creato in momenti differenti. La città era connessa con altre città sotterranee, attraverso miglia di lunghi tunnel. La città poteva ospitare da 3.000 a 50.000 persone.

Alcazar di Segovia - La residenza prediletta dei re di Castiglia

Nel 1474 Enrico IV di Castiglia, noto come “El Impotente”, mori lasciando una figlia, illegittima. La sorellastra diciassettenne di Enrico, Isabella la Catolica, si fece proclamare regina nell’Alcàzar di Segovia, chiamando il vescovo per dare legittimazione religiosa alla sua incoronazione.

DIMORA SECOLARE DELLA DINASTIA TRASTAMARA 
 Isabella la Cattolica era l’ultima – e unica – rappresentante della dinastia Trastamara, che per oltre un secolo, dal 1369, aveva regnato sulla Pastiglia dall’Alcàzar di Segovia. Il capostipite, Enrico II il Magnifico, era salito al trono dopo aver assassinato il fratellastro Pietro il Crudele. Sposando Ferdinando d’Aragona, Isabella uni i due principali Stati cristiani della penisola iberica, da cui nacque il nuovo Stato unitario spagnolo. Già in epoca visigota esisteva al posto dell’Alcàzar una rocca, poi trasformata dagli Arabi in poderosa fortezza. Dopo la “Riconquista” cristiana l’edificio venne rimaneggiato e ingrandito, servendo da residenza reale fino al 1570, quindi da carcere di Stato e infine da Accademia militare (Real Collegio de Artilleria). Distrutto da un incendio nel 1862, fu in parte ricostruito vent’anni più tardi in forme abbastanza fedeli all’originale, ma con alcuni interventi di gusto eclettico, visibili soprattutto nelle coperture. L’architetto che curò la ricostruzione fu A. Bermelo.

L’OSSERVATORIO DI ALFONSO IL SAGGIO
 Nell’Alcàzar Alfonso X il Saggio (1221 -1284) aveva installato un osservatorio astronomico per l’osservazione delle stelle. Sulla base delle sue ricerche egli era pervenuto, ben prima di Copernico e di Galileo, alla conclusione che è la terra a girare intorno al sole, e non viceversa. Poiché tuttavia questa teoria contrastava con la dottrina ufficiale della Chiesa, il sovrano rinnegò, almeno in pubblico, tali affermazioni, considerate eretiche. Alfonso resta tuttavia il sovrano più colto e saggio del medioevo, sostenitore della convivenza pacifica fra cristiani, ebrei e musulmani. Nel 1257 fu per un breve tempo anche re tedesco, carica da cui venne tuttavia rapidamente deposto per le convergenti pressioni della Chiesa e della nobiltà.

LA SCELTA DI GIOVANNA
 Dopo la morte dei re cattolici, Isabella e Ferdinando, la corona di Spagna passò non alla figlia Giovanna, erede diretta dei due sovrani, ma al nipote Carlo. Giovanna, che aveva sposato Filippo di Borgogna, figlio dell’imperatore Massimiliano, era infatti caduta in uno stato di profonda depressione in seguito alla morte improvvisa del marito appena ventottenne. Dichiarata pazza, venne internata e praticamente tenuta prigioniera in uno sfarzoso palazzo di Tordesillas. Carlo ottenne dunque la corona al posto della madre, con il nome di Carlo I di Spagna. Nel 1519 divenne anche imperatore con il nome di Carlo V. Nelle sue mani vennero riuniti tutti i territori degli Ausburgo: i Paesi Bassi, gran parte dell’Italia, la Spagna e le sue colonie americane. Nell’insieme costituivano quell’impero “su cui non tramonta mai il sole” che segno l’apice della dinastia. I meno entusiasti erano proprio gli spagnoli, che pure costituivano il perno dell’impero.non perdonavano al sovrano di circondarsi di funzionari stranieri e, forse con ragione, di aver calcato la mano sulle tasse per finanziare le continue guerre in cui era impegnato. Nel 1520 scoppiò una rivolta dei nobili delle città (detti Comuneros), guidati da Juan Bravo di Segovia. L’antica cattedrale vescovile andò distrutta, mentre Alcazar usci indenne dai tumulti. I ribelli inviarono una delegazione da Giovanna la Pazza mettendola di fronte a un’alternativa che ritenevano irresistibile: diventare una regina amata dal suo popolo o restare la madre interdetta di un imperatore detestato. Tuttavia Giovanna rifiutò il titolo che le spettava. Nel 1521 i Comuneros furono definitivamente battuti e una settantina di loro furono decapitati.

LE ORIGINI DELLA TIPOLOGIA DELL’ALCAZAR
 Il tipo architettonico dell’Alcàzar – il castello appollaiato sull’alto di una rupe, cosi da dominare l’abitato – è tipico della Spagna, ma è una miscela di diverse civiltà. Quella moresca, innanzitutto, perché furono gli Arabi a diffondere questo particolare edificio nella penisola iberica, sia pure spesso utilizzando preesistenze celtiberiche, romane, visigote. Arabo è lo stesso nome, deformazione di “alcasr”: ma questo è, a sua volta, l’adattamento arabo della parola latina “castrum”, cioè accampamento fortificato, castello (che, da parte sua, è il diminutivo di “castrum”). C’è insomma, in un nome tutta la storia del Mediterraneo.

I gatti

Chiunque abbia avuto la fortuna e la gioia di vivere con un gatto può capire, quanto questo animale possa insegnare all’uomo le semplici regole per vivere in armonia con la natura e l’universo. Curiosi, complessi, addomesticati ma selvaggi, riservati, premurosi, affettuosi e lunatici, ci appaiono misteriosi, eleganti, fieri della propria indipendenza e ispiratori di opere e stile di vita. Non c’è che dire… i gatti sono sicuramente creature superiori, meravigliose, ultraterrene… i gatti insegnano all’uomo il rispetto e l’amore.
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