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giovedì 28 febbraio 2013

Qui Paride scelse Elena

È Strabone a raccontarlo: «…ad Antandros, sopra la quale vi è un monte chiamato Alexandreia, si dice abbia avuto luogo il Giudizio di Paride…». A lungo cercata, nel 2001 gli archeologi hanno individuato l’antica città greca sulla costa turca dell’Egeo, ai piedi del monte Ida. Antandros dovrebbe proprio essere la mitica sede del più antico concorso di bellezza della storia. Da alcuni anni sono iniziati gli scavi della necropoli, in uso dal VII al I secolo a.C., mentre non sono ancora cominciati quelli della città, circondata da mura del V secolo a.C. conservate fino a un’altezza di circa un metro e mezzo. Intanto, accanto a quanto resta di Antandros, la missione diretta da Gurcan Polat dell’Università Ege di Smirne ha scoperto una splendida villa romana del IV secolo. Si tratta di una costruzione con 14 stanze disposte a terrazze lungo il pendio della collina, non lontano dal mare. Sei stanze si aprono su un porticato e due conservano mosaici integri con tratti di muri affrescati con una serie di personaggi in piedi, dipinti su pannelli inseriti tra colonne stilizzate.

I Rom

Lasciarono l'India 1500 anni fa e giunsero nei Balcani sei secoli dopo: ma nel corso della loro storia hanno interagito pochissimo con le altre popolazioni europee.
Un nuovo studio sul patrimonio genetico della più grande minoranza del Vecchio Continente. In alcuni luoghi d’Europa sono viste come elementi di estraneità potenzialmente pericolose per le società con le quali condividono i territori, in altri vengono reputate da tutelare perché indicate come depositarie di una cultura antichissima che ha raggiunto la sua massima manifestazione nella musica:
le popolazioni di lingua romaní (i cui più grandi gruppi sono quelli dei Rom e dei Sinti) costituiscono, ad ogni modo, la più consistente minoranza etnica del Vecchio Continente.
Circa undici milioni di individui distribuiti in diverse nazioni a formare un mosaico di linguaggi, tradizioni e strutture sociali riconducibili, tuttavia, ad una evidente matrice comune.
Isolamento sociale, isolamento genetico.
Benché precedenti studi linguistici ed indagini genetiche avessero già individuato le origini delle popolazioni di lingua romaní nel subcontinente indiano, mancava una prospettiva scientifica delle modalità in cui si articolarono queste ondate migratorie, oltre ad una cronologia dettagliata degli eventi: quasi come se l’emarginazione sociale dei Rom si sia riflessa, negli anni, anche sugli stessi studi relativi a questo popolo, lacunosi ed imprecisi, oltretutto fortemente limitati dalla diaspora che ha portato queste genti ormai anche oltreoceano.
Del resto, gli stessi Rom non posseggono fonti e documenti scritti che attestino la loro storia più antica, contribuendo così essi stessi ad alimentare un mistero che avvolge la nascita di questo straordinaria etnia le cui vicissitudini sono state spessissimo indissociabili da persecuzioni, stermini, deportazioni e riduzione in schiavitù. Un gruppo internazionale di ricercatori ha deciso però di riprendere in mano il filo annodato della storia di questo popolo “muto” e di seguirlo fino alla sua genesi, attraverso l’analisi del patrimonio genetico di 152 persone appartenenti a 13 distinti gruppi Rom di diverse nazionalità, esaminando i polimorfismi a singolo nucleotide, ovvero quelle variazioni nel materiale genico che, trasmettendosi di generazione in generazione, vengono utilizzate nell’ambito di indagini di questo tipo.
Guidati da David Comas, dell’Istituto di Biologia Evolutiva dell’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona, e da Manfred Kayser dell’Erasmus MC University Medical Center Rotterdam, gli studiosi hanno poi confrontato i risultati ottenuti con i dati relativi ad altre etnie europee e non europee verificando, innanzitutto, come le popolazioni di lingua romaní siano molto omogenee a livello genetico: gruppi di Rom molto distanti geograficamente gli uni dagli altri dimostrano di avere una parentela assai più stretta che con gli altri europei dei Paesi in cui vivono.
La pronunciata endogamia all’interno della loro cultura ha evitato la dispersione del patrimonio che sarebbe stata conseguenza naturale della diaspora dei Rom: unica parziale eccezione a questo evidente isolamento rispetto al contesto di appartenenza, sembra essere costituita dai Rom del Galles.

Il lungo viaggio dall’India Comprensibilmente, tali circostanze hanno ulteriormente favorito i ricercatori nel tracciare le tappe ed individuare i momenti cruciali di quella migrazione che portò le popolazioni di lingua romaní fino in Europa: ne è così emerso che, in un’unica massiccia ondata, esse mossero dalle regioni dell’India nord-occidentale circa 1500 anni fa.
Giunti prima in Medio Oriente e successivamente nel vicino Oriente, ebbero scambi genetici limitatissimi con gli autoctoni.
Questa prima fase non fu priva di elementi drammatici, con una involuzione demografica che dimezzò quasi la popolazione, portandola a diminuire del 47%, come rivelerebbero i dati genetici.
Sei secoli dopo, le medesime popolazioni si spostavano compattamente verso i Balcani, laddove avrebbe avuto origine la loro diaspora.
Anche in questa seconda tappa, collocabile all’incirca nove secoli fa, un impressionante crollo demografico travolse i Rom che assistettero ad una contrazione del 70% della propria popolazione nella fase successiva alla loro stabilizzazione in Europa: questo avvenimento è certamente all’origine di quei limitati apporti genetici provenienti dalle altre popolazioni europee e riscontrati nel patrimonio degli individui presi in esame.
Tale mescolanza fu alla base della differenza, ancora riscontrabile, tra i Rom europei e quelli che vivono nelle regioni dell’Asia.

 I risultati di questa interessante indagine nel passato sono stati pubblicati dalla rivista Current Biology a pochi giorni da un altro studio curato dai ricercatori del Centre for Cellular and Molecular Biology di Hyderabad, in India, presentato da PLOS ONE. Seguendo le vie tracciate da uno specifico aplogruppo del cromosoma Y (marcatori utilizzati per esplorare l’ascendenza ancestrale paterna) in un campione di oltre 10 000 individui, gli autori del lavoro sono arrivati alle medesime conclusioni, identificando l’origine di queste “genti misteriose” proprio nell’India occidentale dalla quale andarono via oltre 1500 anni fa: forse per contingenze politiche o sociali o, magari, assecondando un “istinto nomade” che albergava nella loro anima e nel loro patrimonio genetico.

Ritrovata la villa di Messalla a Ciampino

Messalla il grande mecenate dei poeti latini: chi adora la letteratura latina, ha a cuore il nome del console che contribuì alla diffusione della cultura ai tempi di Ottaviano. In questi giorni gli archeologi hanno ritrovato proprio alle porte di Roma la sua villa. Nell'area della via dei Laghi e Mura dei Francesi a Ciampino gli studiosi hanno scoperto grazie a dei bolli laterizi l'appartenenza della struttura al grande mecenate. Ritrovato il quartiere termale, tra cui gli ambienti della natatio, la piscina all'aperto lunga oltre venti metri, con le pareti dipinte di azzurro. Dall'interno della vasca sono riaffiorate una serie di sculture straordinarie. Sette statue integre, con alcune mutilazioni ricostruibili, di oltre due metri d'altezza. Un repertorio statuario che illustra il mito di Niobe e dei Niobidi. "A Ciampino abbiamo una buona parte dell'intero gruppo originale" afferma la soprintendente Elena Calandra. "Le statue che ornavano la piscina di Messalla dovevano essere quindi molte di più - dichiara Alessandro Betori direttore scientifico a Repubblica - ma è stato comunque straordinario ritrovarne tante tutte insieme. L'altro grande gruppo, ritrovato nel 1583 a Roma in una vigna dell'Esquilino - continua- è esposto agli Uffizi: in quel caso però si tratta di statue che proprio in epoca rinascimentale hanno subito pesanti restauri". "La scoperta è di un valore inestimabile - commenta Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio - da preservare e salvaguardare da qualsiasi assurda e ingiustificata cementificazione. L’équipe della Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio ha fatto un lavoro prezioso. Sono scoperte importantissime che raccontano quanto ancora ci sia da scavare e valorizzare a Roma e nel nostro paese, suggestioni che riportano subito alla mente quella stupefacente idea che è il parco dei Fori Imperiali, dal Colosseo fino ai castelli romani lungo l'intera via Appia Antica resa ciclo pedonale.

Dire Straits - Brothers In Arms

I neuroni sopravvivono all'organismo che li genera

Il cervello non ha età, o meglio, ha un'età diversa da quella del corpo: la sorprendente scoperta che potrebbe avere applicazioni nell'ambito delle terapie per le malattie neuro-degenerative (e non solo).
Le fasi dello sviluppo della rete neuronale rispettivamente nel cervello di un bambino neonato, di tre mesi e di due anni.
Nell’immaginare un futuro in cui per l’organismo dell’uomo non esisteranno più malattie che non potranno essere debellate, sconfitte o addirittura annientate, un futuro in cui facilmente saremo ad un passo dall’immortalità, spontaneamente ci si può interrogare sull’eventualità che tale incredibile possibilità possa tradursi in uno sterile prolungamento della vita e che, col tempo, finirebbe per creare esclusivamente enti privi delle più semplici facoltà cognitive.
Ebbene, un recente studio dimostrerebbe che le cose non starebbero affatto così e che, anzi, il cervello quasi non avrebbe età: contrariamente ad altre cellule dell’organismo, infatti, alcuni neuroni non avrebbero una durata di vita programmata, ma potrebbero sopravvivere perfino il doppio del tempo rispetto all’organismo che li ha generati.
Trapianto di neuroni - I neuroni, a differenza di quanto accade con le altre cellule, una volta differenziatisi cessano il proprio processo di replicazione e vivono per tutta la durata dell’organismo.
Nella fattispecie, però, non c’è unanimità nel mondo scientifico in merito alla possibilità che esista una vita massima di tali neuroni e se tale caratteristica possa variare da specie a specie, uniformandosi alla vita media di ciascuna creatura.
Proprio per cercare di indagare meglio sulla questione, un gruppo di ricercatori ha condotto un esperimento su due specie molto simili di mammiferi: prelevando precursori di cellule di Purkinje (particolare tipo di neuroni situati nel cervelletto) da un embrione topo appartenente ad una specie con una vita media di circa 18 mesi e trapiantandoli nel cervello di un ratto, anch’egli in stato embrionale, di una specie con vita media di circa 36 mesi, si è osservato come i neuroni abbiano vissuto e funzionato fino alla morte naturale del ratto nel quale erano stati impiantati.
Integrandosi nel cervello del ratto, hanno comunque conservato le dimensioni, lievemente inferiori, di quelli del topo donatore.
Un cervello senza età - Il risultato ottenuto sembrerebbe suggerire come anche nell’uomo un prolungamento dell’esistenza non comporterebbe problemi ai neuroni, indicando come la sopravvivenza di questi ultimi non sarebbe geneticamente prefissata bensì determinata e condizionata dal microambiente del cervello ospite.
Questo significa che l’allungamento della vita, ottenibile attraverso la modifica di stili di vita ed alimentazione, l’intervento di farmaci e, eventualmente, manipolazioni genetiche, non porterebbe al risultato ultimo di un cervello sempre più impoverito di neuroni e, quindi, poco funzionale.
Il merito di questa sorprendente scoperta, i cui dettagli sono stati pubblicati dalla rivista PNAS, va ai ricercatori italiani guidati da Lorenzo Magrassi dell’Università di Pavia; le applicazioni più immediate potrebbero riguardare le malattie neuro-degenerative, in cui il deterioramento neuronale crea danni irreversibili alle funzioni cerebrali.
Ma quel che sembra più interessante è il dato che confermerebbe come gli sforzi per prolungare la vita media dell’uomo non sarebbero vanificati dall’inevitabile ed inarrestabile invecchiamento del cervello.

Non si finisce mai di imparare...


Se il permafrost inizia sciogliersi

Le analisi condotte sulle formazioni rocciose di alcune grotte in Siberia mostrano come un riscaldamento di modesta entità potrebbe tradursi in un grande scongelamento dagli effetti devastanti.



I terreni dove il suolo risulta sempre completamente ghiacciato (da un arco di tempo di almeno diversi anni), chiamati convenzionalmente permafrost, costituiscono circa un quarto della superficie totale delle terre emerse; per la precisione, un 20% del globo ma un 24% per quanto riguarda l’emisfero settentrionale.
Facile immaginare, dunque, come una semplice alterazione in questo equilibrio potrebbe aprire a conseguenze difficili da prevedere negli effetti e, soprattutto, da gestire: ebbene, secondo un gruppo di studiosi che ha recentemente condotto una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati da Science, tale alterazione potrebbe verificarsi in modalità relativamente rapide se la temperatura globale aumentasse di 1.5° Celsius, a cominciare dai ghiacci della Siberia.
Se si considera che il 2012 è stato l’ennesimo anno record per il riscaldamento globale, seguendo un trend di crescita iniziato alla fine degli anni ’90, lo scenario prospettato dagli scienziati non sembrerebbe tanto distante nel tempo.
Il racconto della storia terrestre scritto nelle rocce.
Gli scienziati, guidati dal professor Anton Vaks, del dipartimento di scienze della Terra dell’università di Oxford, hanno ricostruito la storia di scioglimento e consolidamento del permafrost siberiano grazie ai dati “scritti” all’interno di stalattiti e stalagmiti presenti in diverse grotte, formatesi nel corso di migliaia e migliaia di anni: una sorta di registro, per chi è in grado di leggerlo, che narra dei periodi più freddi o più caldi a cui è andata incontro questa parte del nostro Pianeta; diversi punti delle strutture di queste formazioni minerali corrispondono a diversi momenti della storia della Terra.
Ad esempio, in una delle cave settentrionali prese in esame, gli studiosi hanno individuato in una stalattite una fase di forte accrescimento corrispondente ad un periodo collocato, orientativamente, circa 400 000 anni fa, quando la temperatura terrestre era più alta di 1.5° Celsius rispetto a quella dell’età preindustriale (all’epoca di quella che viene chiamata la piccola era glaciale): tale accrescimento sarebbe stata la conseguenza di uno scioglimento del permafrost della regione che quindi, concludono gli studiosi, era stato intaccato da un innalzamento di temperatura tutto sommato modesto e che, con buone probabilità, potrebbe verificarsi nel giro di pochi decenni, agli attuali ritmi.
Il punto critico - Un diffuso scioglimento del permafrost innescherebbe una serie di conseguenze gravissime per l’ambiente, a partire dal rilascio nell’atmosfera di enormi quantità di metano ed anidride carbonica che finirebbero per innalzare ulteriormente le temperature: ad ogni modo tale processo potrebbe avvenire anche piuttosto lentamente, ritardando l’emissione nell’aria dei temuti gas serra che, va ricordato, non farebbero altro che andarsi a sommare a tutti quelli che già provengono dalle attività antropiche.
Il fenomeno, insomma, potrebbe verificarsi su scala più piccola, come indicherebbero anche i risultati delle analisi condotte su stalattiti e stalagmiti di un’altra grotta siberiana, chiamata Ledyanaya Lenskaya e situata nei pressi della città di Lensk, nelle quali non è stato riscontrato alcun segnale riconducibile allo scioglimento del permafrost: cionondimeno, Anton Vaks ha sottolineato come quell’innalzamento di 1.5° possa essere considerato a buon diritto come un punto critico, giunto al quale il nostro pianeta inizia a manifestare significative trasformazioni.
Attualmente, le temperature medie sono superiori di circa 0.6 – 0.7 gradi ai livelli preindustriali: questo significa, in accordo con le conclusioni di Vaks, che i modelli e le prospettive di un futuro non troppo lontano della Terra includono la possibilità che il permafrost inizi a sciogliersi. 

Coca - Per la gloria del vescovo

Nel 1453 re Giovanni II di Castiglia concesse al vescovo Alonso de Fonseca il permesso di costruire un castello. De Fonseca, impegno tutto se stesso e profuse tutto il suo patrimonio nel ‘Castillo’, dando vita a una delle più belle opere fortificate della Spagna. Il castello fu eretto in un punto strategico dell’altopiano casigliano e doveva quindi essere ben fortificato. Venne innalzata una triplice cinta muraria rinforzata da solide torri e protetta da un profondo fossato esterno. Ma Alonso de Fonseca non si accontentò di costruire un raffinato strumento di difesa: realizzò contemporaneamente una sontuosa opera d’arte. Usando le parole di un contemporaneo: “pretendeva che tutto ciò che utilizzava fosse di straordinaria qualità e assoluta perfezione artistica”. Coca è una fortificazione ‘concentrica’: presenta un alto torrione centrale, circondato da un cortile, il ‘patio de Armas’ , racchiuso da una cinta muraria, a sua volta attorniata da un altro spazio libero, delimitato dalla cinta più esterna. Le fortificazioni più interne dominano, cioè sovrastano in altezza, quelle più esterne, cosi da avere la possibilità di colpirle, in caso di conquista da parte dei nemici. Secondo i criteri dell’epoca, era una fortificazione formidabile, anche se destinata a diventare obsoleta di lì a pochi anni, con la comparsa della polvere da sparo sui campi di battaglia. Per posizione e fasto può essere paragonata a una contemporanea realizzazione italiana: il castello di Torrechiara in Emilia, costruito da un condottiero invece che da un vescovo, ma nato con le stesse premesse di Coca. La sua caratteristica più evidente è l’insistita decorazione dei coronamenti, con le profonde scanalature e i merli fantasiosi, che danno a quest’opera massiccia, tutta in mattoni, un aspetto, un aspetto da fiaba. Anche il cortile interno era elaboratamene decorato con piastrelle che componevano figure geometriche colorate di rosso e azzurro. E’ evidente in tutto il complesso, benché eretto per un vescovo cristiano, l’influenza o l’opera diretta di maestranze musulmane, tanto da fare di Coca una delle maggiori opere ‘mudéjar’, cioè arabocristiane, di tutta la Spagna. Il Castillo è fatto pressoché totalmente di mattoni (ladrillos): argilla e legna da ardere erano largamente disponibili sul posto, al contrario delle pietre. Solo per qualche colonna e alcune decorazioni vennero venero usate pietre calcaree. L’arte delle costruzioni in mattoni si era sviluppata nei califfati arabi di Spagna e la tradizione rimase viva tra gli spagnoli musulmani, detti ‘mudayun’, poi diventati in lingua spagnola ‘mudéjaren’. Il loro stile venne chiamato mudéjar (in italiano mozarabo). Sua caratteristica è l’utilizzo dello stesso materiale costruttivo per realizzare anche gli elementi ornamentali. I mattoni venivano disposti in modo tale da formare molteplici disegni, arrotondamenti, angoli e da suscitare un’impressione di vivace e geometrica policromia. Questo gusto per la decorazione passò dal mondo musulmano anche a quello cristiano. Coca è oggi famosa per il suo castello, ma ha una storia antica. Il nome deriverebbe dal celtico ‘kauke’, valle fluviale, e si riferisce al Rio Voltola, sulle cui rive sorse il castello. Fu poi florido centro romano, con il nome di ‘Cauca’. Qui nacque Teodosio I il Grande (347 – 395), l’imperatore che fece del cristianesimo la religione del Stato. Teodosio divise l’impero tra i due figli, Onorio e Arcadio, dando l’origine all’impero romano d’Occidente, destinato a cadere nel V secolo, e all’impero romano d’Oriente, che sopravvisse fino alla fine del XV secolo. Nel 380 l’imperatore Teodosio I, nato nella colonia romana di Coca, fece del cristianesimo la religione di Stato e proibì i culti pagani.

LA FORMAZIONE DEL GOVERNO

La Carta costituzionale disciplina la formazione del Governo con una formula semplice e concisa: "Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri". Stando a tale formula sembrerebbe che la formazione del Governo non sia frutto di un vero e proprio procedimento. Invece, nella prassi, la sua formazione si compie mediante un complesso ed articolato processo, nel quale si può distinguere la fase delle consultazioni (fase preparatoria), da quella dell'incarico, fino a quella che caratterizza la nomina; a queste potrebbe aggiungersene una ulteriore che si risolve nell'effettuazione del giuramento prescritto dall'art. 93 e della fiducia dei due rami del Parlamento.
 La fase preparatoria 
 Questa fase consiste essenzialmente nelle consultazioni che il Presidente svolge, per prassi costituzionale, per individuare il potenziale Presidente del Consiglio in grado di formare un governo che possa ottenere la fiducia dalla maggioranza del Parlamento. Questo meccanismo viene attivato, ovviamente, ogni qualvolta si determini una crisi di governo per il venir meno del rapporto di fiducia o per le dimissioni del Governo in carica. L'ordine delle consultazioni non è disciplinato se non dal mero galateo costituzionale e, difatti, tale ordine è variato nel corso degli anni (in alcuni casi il Presidente della Repubblica ha omesso alcuni dei colloqui di prassi). In sostanza, questa fase può ritenersi realmente circoscritta a quelle consultazioni che potrebbero essere definite necessarie e, cioè, quelle riguardanti i Capi dei Gruppi parlamentari e dei rappresentanti delle coalizioni, con l'aggiunta dei Presidenti dei due rami del Parlamento, i quali devono essere comunque sentiti in occasione dello scioglimento delle Camere. A titolo esemplificativo può dirsi che l'elenco attuale delle personalità che il Presidente della Repubblica consulta comprende: i Presidenti delle camere; gli ex Presidenti della Repubblica, le delegazioni politiche.
 L'incarico 
 Anche se non espressamente previsto dalla Costituzione, il conferimento dell'incarico può essere preceduto da un mandato esplorativo che si rende necessario quando le consultazioni non abbiano dato indicazioni significative. Al di fuori di questa ipotesi, il Presidente conferisce l'incarico direttamente alla personalità che, per indicazione dei gruppi di maggioranza, può costituire un governo ed ottenere la fiducia dal Parlamento. L'istituto del conferimento dell'incarico ha fondamentalmente una radice consuetudinaria, che risponde ad esigenze di ordine costituzionale. Nella risoluzione delle crisi si ritiene che il Capo dello Stato non sia giuridicamente libero nella scelta dell'incaricato, essendo vincolato al fine di individuare una personalità politica in grado di formare un governo che abbia la fiducia del Parlamento. L'incarico è conferito in forma esclusivamente orale, al termine di un colloquio tra il Presidente della Repubblica e la personalità prescelta. Del conferimento dell'incarico da' notizia, con un comunicato alla stampa, alla radio e alla televisione, il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica. Una volta conferito l'incarico, il Presidente della Repubblica non può interferire nelle decisioni dell'incaricato, né può revocargli il mandato per motivi squisitamente politici 
 La nomina
 L'incaricato, che di norma accetta con riserva, dopo un breve giro di consultazioni, si reca nuovamente dal capo dello Stato per sciogliere, positivamente o negativamente, la riserva. Subito dopo lo scioglimento della riserva si perviene alla firma e alla controfirma dei decreti di nomina del Capo dell'Esecutivo e dei Ministri. In sintesi il procedimento si conclude con l'emanazione di tre tipi di decreti del Presidente della Repubblica: quello di nomina del Presidente del Consiglio (controfirmato dal Presidente del Consiglio nominato, per attestare l'accettazione); quello di nomina dei singoli ministri (controfirmato dal Presidente del Consiglio); quello di accettazione delle dimissioni del Governo uscente (controfirmato anch'esso dal Presidente del Consiglio nominato) 
 Il giuramento e la fiducia 
 Prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento secondo la formula rituale indicata dall'art. 1, comma 3, della legge n. 400/88. Il giuramento rappresenta l'espressione del dovere di fedeltà che incombe in modo particolare su tutti i cittadini ed, in modo particolare, su coloro che svolgono funzioni pubbliche fondamentali (in base all'art. 54 della Costituzione). Entro dieci giorni dal decreto di nomina, il Governo è tenuto a presentarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere il voto di fiducia, voto che deve essere motivato dai gruppi parlamentari ed avvenire per appello nominale, al fine di impegnare direttamente i parlamentari nella responsabilità di tale concessione di fronte all'elettorato. E' bene precisare che il Presidente del Consiglio e i Ministri assumono le loro responsabilità sin dal giuramento e, quindi, prima della fiducia.
 Formula rituale
 "Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione"

La zzzzzzzzzanzara





 Se pensi di essere troppo piccolo per fare la differenza, prova a dormire con una zanzara.

Dalai Lama

Paura del voto dei giovani?????

Ma se era così importante avere i voti degli studenti,militari,e lavoratori all'estero perche non avete modificato questa legge?
Tanto più sapendo da novembre 2011 che sareste stati al governo per un anno Signora cancellieri c'è un detto che anche in questo caso le calza a pennello "UN BEL TACER NON FU MAI SCRITTO" VOTO ALL'ESTERO - Su questo farraginoso meccanismo di voto per posta, che già in un recente passato ha sollevato dubbi in materia di sicurezza e di affidabilità, il ministro Cancellieri ha risposto a una domanda del Corriere :
«Il voto all'estero così come è stato concepito andrà tutto rivisto: la legge andava modificata e ora sarà compito del prossimo Parlamento. Ritengo infatti che il voto per posta, con le schede inviate a casa e poi rispedite ai consolati, presenti dei problemi mentre il voto nelle sezioni delle sedi consolari garantisca maggiore trasparenza.
Le schede inviate a casa possono arrivare anche a chi non ha voglia di votare».
Ma poi il ministro ha voluto manifestare il suo rammarico anche per la mancata soluzione per il voto all'estero degli studenti italiani impegnati nel programma Erasmus: «Penso infatti a tutti quegli italiani che sono temporaneamente all'estero.
Quest'ultima è una ferita ancora aperta».

Io le consiglio un cerottino

Questa è la triste storia DI SEMPRE sta solo a noi cambiarla

Ho ancora gli occhi impastati di sogni quando gli esseri strani a due zampe entrano nella stalla e mi svegliano.
Non lo fanno molto delicatamente, mi rovesciano a testa in giù e mi tirano su per le zampe.
Mi fanno male, cerco di farglielo capire bela ma quello che mi ha preso mi scuote, dice delle cose in un linguaggio strano, sembra arrabbiato.
Cerco mamma con lo sguardo, la trovo, lei è sveglia e sta belando forte.
Mi dice che mi vuole bene.
Mi dice che sarò sempre il suo bambino.
Mi dice che non mi dimenticherà.
Mamma piange.
Mi portano via.
Il mondo a testa in giù è anche divertente da vedere, ma non voglio che mamma sia triste.
Le mani che mi tengono le zampe stringono, fanno male.
Vedo che stanno portando via anche altri due agnellini.
Dove ci portano?
Siamo fuori.
Siamo fuori dal prato.
Abbiamo superato le sbarre.
Forse questo significa diventare grandi.
Avere il vello folto.
Ma la mamma mi manca.
Volto la testa verso il prato dove sono nato, voglio vederla, forse è lei con il muso infilato fra le sbarre che mi chiama, che mi chiama, poi entriamo in una stanza e qui ci sbattono a terra.
Che posto strano.
Ci sono dei ganci che pendono dal soffitto e ci sono delle macchie scure sui muri.
Mi avvicino, ne annuso una, è un odore pungente che mi ricorda il sangue, ma non può essere sangue, sono macchie troppo grandi, poi quello strano essere che chiamano uomo afferra uno dei miei amici agnellini per le zampe, lo lega al gancio, fa lo stesso anche con l’altro, poi è il mio turno.
Mi divincolo, ho paura, voglio la mamma, ma quelle braccia sono troppo forti e lo vedo, l’uomo, lo vedo mentre belo e piango a testa in giù, lo vedo che prende un oggetto da un tavolino, si avvicina a me, mi prende per la testa, me la solleva e l’ultimissima cosa che ricordo, prima che tutto diventi scuro, è che quando sono nato ed ho cercato di mettermi in piedi sulle zampe il muso di mamma era lì, a sostenermi, ed io ho pensato che ci sarebbe stato tutta la vita.
P.S.: 22 sono in media i giorni che vivono gli agnelli destinati ad essere ammazzati per pasqua


 PRIMA DOPO BUONA PASQUA E BUON APPETITO

"Sì a 5 Stelle o ci spazzano via"

L'idea del mandato esplorativo e le alternative al leader Pd.
A largo del Nazareno non escludono che dopo Bersani entrino in gioco Letta e Barca. Romano Prodi avrebbe aperto un dialogo con i grillini eletti in Emilia-Romagna, parlando con Casaleggio. ROMA - Bersani nei suoi colloqui di queste ore lo definisce un "governo di responsabilità nazionale".
E la partita è giocata su due tavoli: l'offerta al Movimento 5 Stelle e il dialogo (ripreso dopo le asprezze della campagna elettorale) con Mario Monti. "Non ci sono subordinate - ha spiegato il segretario del Pd - andiamo avanti con questa disponibilità.
Anche perché Grillo già si frega le mani al pensiero di un governissimo tra noi e il Cavaliere, per poi tornare a votare tra un anno e ammazzarci: non gli faremo questo regalo".
L'offerta sarà sostanziata mercoledì alla direzione del partito.
Gli uomini di Bersani stanno dettagliando le singole proposte che dovrebbero allettare i grillini e tenere alla larga Berlusconi, a partire dal conflitto d'interessi e da una vera legge anticorruzione.
"Dobbiamo stanare Grillo", è l'input del leader del Pd.
In parallelo ha concordato con Vendola che sia proprio il leader di Sel il "pontiere" con il M5S.
C'è poi la rete degli eletti Pd in Emilia-Romagna già al lavoro per ricucire, ma soprattutto sarebbe entrato in campo Romano Prodi. Con una telefonata a Gianroberto Casaleggio.
Mediazione smentita dall'ex leader dell'Unione, ma non è un mistero che i voti grillini, oltre che per palazzo Chigi, farebbero comodo anche per il Quirinale. La novità è che il segretario Pd, come detto più volte in campagna elettorale, non ha affatto abbandonato l'idea di imbarcare Mario Monti. Tra Bersani e il premier c'è già stato due giorni fa un lungo colloquio telefonico. Il fatto è che il leader democratico ha un assoluto bisogno del sostegno del Professore. In primo luogo perché a palazzo Madama, senza i 19 montiani, un eventuale governo Bersani non avrebbe i numeri per la fiducia. Inoltre l'ombrello internazionale offerto dalla credibilità del premier può mitigare gli effetti sui mercati dell'instabilità italiana.
"Per la maggioranza puntiamo a un'entente cordiale tra Scelta-Civica, Italia Bene Comune e Grillo", conferma il segretario socialista, Riccardo Nencini, dopo un consulto con Bersani.
L'offerta di Berlusconi, resa pubblica ieri via Facebook, invece non viene presa in considerazione, anche se Bersani è consapevole che dentro il Pd sta crescendo un'area non piccola che preferisce guardare in quella direzione.
"Dai tempi della Bicamerale del '96 ne abbiamo prese fin troppe di fregature dal Cavaliere", avverte un fedelissimo di Bersani come Stefano Fassina.
Anche al Colle al momento nessuna strada viene esclusa.
Compresa quella di un mandato esplorativo che potrebbe essere affidato a Bersani, ma anche ad Amato o allo stesso Monti. Altri due nomi che circolano in area Pd sono quelli di Fabrizio Barca ed Enrico Letta.
Il timore di Napolitano è infatti legato all'incertezza del quadro: nel caso affidasse a Bersani un incarico pieno e il segretario del Pd non riuscisse a trovare una maggioranza, a quel punto l'unica alternativa sarebbero le elezioni a giugno.
La chiusura di Bersani al leader del Pdl lo espone tuttavia al rischio di consegnarsi mani e piedi ai diktat di Grillo.
Da qui la necessità di bilanciare l'apertura al M5S con Monti. Due tavoli dunque, per costruire un programma da portare in Parlamento e "vedere chi ci sta". E intanto provare a trovare un'intesa sui presidenti delle Camere.
Bersani la definisce "la tattica del carciofo", una foglia alla volta per non essere travolto: prima i presidenti delle Camere (dal 15 marzo, l'anticipo della convocazione è troppo complicato), poi le consultazioni per il governo, infine la partita del Quirinale.
Ed è l'opposto di quanto vorrebbe Berlusconi.
Il Cavaliere infatti, tramite un ambasciatore, ha fatto pervenire al leader del Pd un'offerta di alleanza preventiva "onnicomprensiva". Un pacchetto unico, che comprende il governo di larghe intese (senza Grillo), le presidente delle Camere e il Quirinale. Dove il Cavaliere vedrebbe bene ancora l'attuale inquilino del Colle. "Diglielo a Bersani: in questo caos l'unica - ha confidato ieri Berlusconi al mediatore del Pd - è sperare in una proroga di Napolitano". 

di FRANCESCO BEI - LA REPUBBLICA.IT
Ogni giorno è un nuovo giorno.
Tutto da inventare, tutto da vivere, tutto da godere.
L’alba lo posa sul palcoscenico della tua vita, e se ne va.
Il nuovo giorno è tuo, t’appartiene, nessuno te lo può portare via.
Puoi farne ciò che vuoi.
Puoi farne un capolavoro o un fiasco.
Perché sei Tu il soggettista…
Perché sei Tu il regista…
Perché sei Tu il protagonista.
La vita è fatta di tanti nuovi giorni:
tutti da inventare, tutti da vivere, tutti da godere.
Alzati dalla poltrona di prima fila!…
e sali sul palcoscenico della tua vita!

(Omar Falworth)


 VI AUGURIAMO UNA SERENA NOTTE

mercoledì 27 febbraio 2013

Peru': scoperta una porta segreta a Machu Pichu

Potrebbe essere una delle scoperte più notevoli realizzate nel famoso sito archeologico di Machu Pichu, ma la burocrazia sta mettendo i bastoni tra le ruote agli archeologi. Per più di quindici anni, Thierry Jamin, un archeologo e esploratore francese, ha vagato per la giungle del sud del Perù in ogni possibile direzione, alla ricerca di indizi sulla civiltà Inca nella foresta amazzoni e della leggendaria città di Paititi, una città perduta dell'epoca pre-inca, che si dice essere esistita ad est delle Ande, nascosta da qualche parte nella foresta pluviale. Nel corso di diverse esplorazioni nella giungla di Madre de Dios, l'avventuriero francese ha studiato le misteriose piramidi di Paratoari, conosciute anche come Piramidi di Pantiacolla, 12 monticcioli di circa 150 metri di altezza, individuate per la prima volta dai satelliti della NASA negli anni Settanta. La stessa spedizione è stata occasione anche per uno studio approfondito delle incisioni rupestri di Pusharo, segni incisi nella roccia considerati dagli esperti come i più importanti dell'Amazzonica. Dopo la scoperta di una trentina di siti archeologici a nordi di Cuzco, rinvenuti tra il 2009 e il 2011, che comprendono numerose fortezze, sepolture cerimoniali e centri urbani composte da centinaia di edifici e strade, Thierry Jamin ha intrapreso l'esplorazione di Machu Picchu. Alcuni mesi fa, nel corso dello studio del sito, Jamin e il suo team hanno fatto quella che pensano sia una scoperta archeologica più straordinaria dai tempi della scoperta della antica città Inca ad opera di Hiram Bingham nel 1911. La scoperta è avvenuta grazie ad una segnalazione di un ingegnere francese, David Crespy. Nel 2010, mentre era in visita a Machu Pichu, Crespy notò la presenza di uno strano rifugio situato nel cuore della città, in fondo a uno degli edifici principali. L'ingegnere non ebbe dubbi: stata guardano una porta, una sorta di ingresso sigillato dagli Incas. Nel mese di agosto 2011, lesse per caso un articolo sul quotidiano francese Le Figaro che parlava di Thierry Jamin e il suo lavoro in Sud America. Immediatamente decise di contattare l'esploratore francese. Thierry ascoltò con attenzione il resoconto di Crespy, decidendo di voler verificare la storia andando direttamente sul posto. Accompagnato da un gruppo di archeologi dell'Ufficio Regionale della Cultura di Cusco, l'archeologo riusci a visitare il sito per diverse volte. Le sue conclusioni preliminari furono inequivocabili: si trattava di un ingresso in una camera sconosciuta di Machu Pichu, che gli Incas avevano bloccato per una qualche ragione ignota. (Scoperta una camera segreta a Puma Punko). Tra l'altro, Thierry si rese conto che il sito somigliava stranamente ai luoghi di sepoltura che lui e suoi compagni avevano individuato nelle valli di Lacco e Chunchusmayo. La posizione della “porta” al centro di uno degli edifici principali della città, e che domina l'intera area urbana, ha portato Thierry a ipotizzare che possa trattarsi di una sepoltura di primaria importanza. Le tradizioni inca e alcune cronache, come quella di Juan de Betanzos, sostengono che Pachacutec, l'imperatore considerato come il fondatore dell'Impero inca, sia sepolto proprio a Machu Pichu. E' possibile che il recinto funerario sia proprio il sepolcro dove riposa la mummia del nono sovrano del Tawantinsuyu (Impero Inca). Fino ad oggi, nessuna mummia della stirpe degli imperatori inca è mai stata trovata. Sarebbe una scoperta senza precedenti. Al fine di confermare l'esistenza della cavità nel seminterrato del palazzo, a dicembre del 2011, Thierry e il suo team hanno presentato una richiesta ufficiale al Ministero della Cultura di Lima per effettuare delle indagini geofisiche con l'aiuto di strumenti per la risonanza elettromagnetica. Nell'aprile del 2012 il ministero ha dato il via libera agli archeologi. Le indagini effettuate tra il 9 e il 12 aprile, non solo hanno confermato la presenza di una stanza sotterranea, ma addirittura di diversi ambienti! Appena dietro il famoso ingresso, è stata rilevata quella che sembra essere una scala. Le risonanze hanno mostrato l'esistenza di due percorsi che sembrano portare alle varie aree del sotterraneo, tra cui una principale di forma quadrata. Inoltre, il georadar ha rilevato una grande quantità di depositi di metallo, presumibilmente oro e argento. Infine, l'uso di telecamere endoscopiche conferma l'ipotesi che i blocchi di pietra disposti all'ingresso dell'edificio hanno la sola funzione di nascondere e proteggere il passaggio e non a sostenere le strutture edilizie come si è sempre pensato. Ampi spazi vuoti lasciano ipotizzare l'esistenza di un misterioso corridoio. Thierry Jamin e il suo team non avevano torto. Si tratta di una porta chiusa dagli Incas per nascondere qualcosa di molto importante. Questo è forse il principale tesoro archeologico di Machu Picchu. ( gli archeologi entrano per la prima volta nella toma maya di Palenque ). Tutto sembrava andare per il meglio e Thierry e il suo team si stavano preparando per il passo successivo: l'apertura dell'ingresso sigillato dagli Incas più di cinque secoli fa. Il 22 maggio 2012, Thierry ha presentato una richiesta alle autorità peruviane per un nuovo progetto di ricerca archeologica (con scavo) per procedere con l'apertura delle camere. Ma con una risposta arrivata il 5 novembre del 2012, il Ministero della Cultura di Lima, questa volte ha dato picche! Evidentemente, la posta in gioco è molto alta. Si parla di una delle scoperte più importanti per l'archeologia del Sud America e non si fa fatica ad immaginare le pressioni degli archeologi locali che temono di farsi soffiare la scoperta da un europeo. Inoltre, si parla di grosse quantità di oro e di argento, fatto che ha spinto i funzionari governativi ad una riflessione più prolungata. Ma Thierry Jamin, da buon esploratore, non si è perso d'animo e il 5 dicembre 2012 ha presentato una nuova richiesta alle autorità peruviane, invitandole a riconsiderare la loro decisione. A questo punto, non possiamo fare altro che attendere!

Anche gli Harem subiscono la crisi

L'entusiasmo


L’entusiamo è il principale terreno da cui nascono le idee

Gli etruschi erano italiani


Gli etruschi non provenivano dall’Oriente come si è creduto fino ad oggi, ma erano italianissimi e alcune tracce del loro DNA sono ancora presenti nelle popolazioni moderne che oggi abitano nel Casentino e nella zona di Volterra. È quanto emerge da un recente studio pubblicato su Plos One a firma di Guido Barbujani dell’Università di Ferrara e David Caramelli dell’Università di Firenze, in collaborazione con l’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano. 

 I ricercatori sono riusciti ad estrarre tracce di DNA da campioni ossei vecchi più di 2000 anni, scoprendo che il patrimonio genetico delle antiche popolazioni della toscana variava notevolmente da un villaggio all’altro, anche se le comunità erano separate tra loro da pochi chilometri. Non solo: Barbujani e i suoi colleghi hanno evidenziato una continuità biologica tra gli etruschi e una minoranza delle popolazioni contemporanee che oggi abitano in quelle zone. 
Gli scienziati hanno inoltre confrontato i campioni genetici con altri provenienti dall’Asia e hanno scoperto che gli unici contatti tra gli antichi etruschi e le comunità dell’Anatolia - la moderna Turchia-  risalgono all’epoca preistorica, archiviando così definitivamente la teoria secondo la quale questa popolazione sarebbe giunta in Italia solo nell’ VIII secolo a.C.

 Questo importante risultato è stato ottenuto grazie a nuove tecniche di sequenziamento genetico, che hanno permesso per la prima volta di estrarre DNA utilizzabile da reperti vecchi più 2000 anni. In questi campioni infatti il codice genetico risulta essere molto degradato dal fattore tempo e la quantità di materiale informativo che contiene è molto bassa, compresa tra l’1 e il 5% del totale


Fonte: Focus.it

Alla romana

La "nave fantasma"



Una “nave fantasma” si aggira per l’Oceano Atlantico, alla deriva verso le coste irlandesi. A bordo non c’è nessuno. Neppure un marinaio. Solo ratti, come riportano alcuni media britannici. Si tratta della MV Lyubov Orlova, una vecchia nave da crociera russa. Priva d’equipaggio, senza trasmettitore che possa segnalarne la posizione, si è trasformata nella «nave fantasma».
La Lyubov Orlova, dal nome di una star del cinema russo degli anni Trenta, è un’ex nave da crociera lunga circa 100 metri, con una stazza di oltre 4200 tonnellate ed è dotata di una prua rompighiaccio. E’ stata varata nel 1976 e per anni ha prestato servizio sotto bandiera sovietica e poi russa. La massima capacità è di 110 passeggeri e 70 membri di quipaggio ma, della presenza umana a bordo, ormai non rimane che un flebile ricordo.
Prima di vagare alla deriva per l'oceano, la Orlova è stata sequestrata dalle autorità canadesi nel 2010 a seguito dei problemi finanziari della società armatrice e, per due anni, è rimasta placidamente ancorata nel posto di St. Jhon’s, Canada.
E’ stata poi venduta come rottame ad una compagnia che doveva occuparti della sua demolizione e nel gennaio 2013 un rimorchiatore avrebbe dovuto trasferire il vascello a Santo Domingo dove si sarebbero occupati del suo smantellamento. Ma qualcosa è andato storto: un guasto misterioso ha spinto all'abbandono nave e causato il blocco della strumentazione di bordo. 
Le note ufficiali dicono che il cavo di traino si è spezzato e il rimorchiatore ha preferito lasciare che la nave cominciasse la sua deriva nelle acque dell'Oceano Atlantico. Le autorità canadesi l’hanno recuperata giusto perché non andasse a sbattere contro una piattaforma petrolifera, ma una volta che la Lyubov Orlova è finita in acque internazionali, se ne sono sostanzialmente lavate le mani, lasciandola di nuovo alla deriva. Ora è polemica tra Europa e Canada per la responsabilità del natante e la soluzione del problema.
Da allora la Lyubov Orlova è in navigazione solitaria, abbandonata da tutti in quanto da possibilità di lucro, si è trasformata in un dispendioso problema da risolvere. Le autorità di Dublino si stanno preparando ad affrontare l’emergenza dovuta alla minaccia che la nave sappresenta lungo la rotta atlantica dove, non essendo rintracciabile e non emanando alcun segnale, potrebbe portare a pericolose conseguenze.
Una delle opzioni prese in considerazione dalle autorità, sarebbe di cannoneggiarla e colarla a picco come già accaduto lo scorso anno, ad opera della marina militare statunitense, che affondò un peschereccio alla deriva in seguito allo tsunami in Giappone.
Tuttavia, secondo quanto riferito dall’associazione ambientalista francese Robin des Bois, la Lyubov Orlova rappresenta una "minaccia imminente per l'ambiente. Nell’eventualità di una collisione, di un naufragio o di un’avaria, la Lyubov Orlova libererà immediatamente o nel medio termine un’ingente quantità di idrocarburi e altre sostanze inquinanti, oltre all’amianto, al mercurio delle vecchie luci al neon e a tutti gli altri rifiuti non biodegradabili a bordo della nave".
mondotemporeale.net

Straordinari animali del mare

Grandi meno di un'unghia o come un piede, dalla forma schiacciata o a salsicciotto, ma, soprattutto, coloratissimi: i nudibranchi (Nudibranchia), molluschi dal corpo morbido e flessibile appartenenti alla famiglia delle lumache di mare, sono tantissimi e dalle fattezze più svariate.
Si calcola ve ne siano oltre 3 mila specie conosciute, ma se ne individuano di nuove quasi ogni giorno.
Sono conosciuti come gli "arlecchini" degli abissi: i loro colori sgargianti, spesso abbinati a una certa tossicità, servono a tenere alla larga i predatori, avvertendoli dell'eventuale pericolo.
Balla balla ballerina Il loro curioso nome deriva da deriva dal latino nudus (nudo) e della parola greca brankhia (branchie), e significa con le branchie nude: la maggior parte di queste creature ha infatti ciuffi di branchie e antenne posizionate all'esterno, sul dorso.
Praticamente ciechi - i loro occhi percepiscono infatti a malapena il buio e la luce - i nudibranchi esplorano il mondo circostante attraverso un insieme di recettori posizionati sul capo, chiamati rinofori.
Nella foto, una ballerina spagnola (Hexabranchus sanguineus): se disturbato, questo nudibranchio si allontana con movimenti sinuosi dati dalla contrazione dei muscoli dorso ventrali, muovendo il mantello di colore rossastro come fosse una gonna da flamenco
 Lungo fino a 60 centimetri, è tra i nudibranchi più grossi del mondo e uno dei pochi in grado di nuotare: gli altri sono in genere bentonici, vivono cioè in stretta simbiosi con i fondali marini. Riciclatori di veleno La maggior parte dei nudibranchi misura dai 3 millimetri ai 30 centimetri circa, e predilige i bassi e caldi fondali tropicali.
Queste creature sono carnivore e si nutrono di piccoli molluschi, crostacei, pesci morti, spugne, coralli e persino altri nudibranchi
Alcuni di essi sono in grado di assimilare le sostanze velenose e i tentacoli urticanti presenti nelle prede e usarli a loro volta quando attaccati dai predatori (pesci, tartarughe, stelle marine, granchi). Un'esistenza fugace La vita di queste creature dura poco, quasi sempre meno di un anno e, talvolta, anche meno di un mese.
Per questo è particolarmente difficili studiarle, anche se gli scienziati sono interessati ad alcuni meccanismi chimici che questi animali mettono in moto nelle situazioni di autodifesa e durante l'accoppiamento.
© Jeffrey L. Rotman/Corbis Accoppiamenti bizzarri I nudibranchi sono ermafroditi simultanei:
hanno cioè organi riproduttivi sia maschili, sia femminili e possono dare o ricevere sperma a seconda dei casi. Inoltre, alcuni di essi sono in grado di perdere il pene subito dopo l'accoppiamento e di farselo ricrescere nel giro di 24 ore (leggi qui per capire come fanno): una caratteristica unica tra tutti gli esseri viventi finora conosciuti. Nella foto, l'accoppiamento convulso tra due nudibranchi del genere Thuridilla. Guardami, sono qui! Un nudibranchio del genere Flabellina, comune anche nel Mar Mediterraneo fino ai 50 metri di profondità.
Se alcuni nudibranchi, come questo, spaventano gli aggressori con i colori brillanti del loro mantello, altri optano per una strategia più discreta e si mimetizzano con il fondale marino in cui vivono. Mutilati a fin di bene
Ma il pene non è l'unica parte del corpo che queste creature possono "perdere".
Alcune specie di nudibranchio sono in grado di abbandonare una parte del mantello per distrarre i predatori con i colori sgargianti e scappare via indisturbati (una strategia difensiva chiamata autotomia).
Un po' come fanno le lucertole con la coda, o alcuni granchi con le chele.

Entro il 2050 la terra verrà soffocata dalla plastica

Immaginate gli enormi camion per la nettezza urbana disposti in una fila ordinata l’uno dopo l’altro: se all’interno dei loro comparti si mettesse tutta la plastica che sarà presente sulla superficie del Pianeta entro il 2050, servirebbero 3 milioni di veicoli, la cui lunga coda potrebbe fare il giro della terra circa 800 volte. Non poco per un materiale che, benché venga trattato praticamente come tutti gli altri rifiuti solidi urbani e senza particolari o specifiche attenzioni, continua ad essere prodotto (il più delle volte in omaggio al dio dello spreco) e ad accumularsi in ogni angolo del globo. La dispersione della plastica nell’ambiente è capace di provocare danni serissimi all’ambiente, con l’aggravante dei tempi di distruzione estremamente lunghi che necessita questo materiale: basti pensare che tra un secolo, i nostri discendenti si ritroveranno tra i piedi ancora i nostri accendini e le nostre bottiglie, quasi completamente integri; e lo sanno bene anche le acque marine, dove sempre più sono le creature che rischiano la vita a causa dei micro-rifiuti che vengono spesso inavvertitamente ingeriti. Insomma, è lecito parlare già di emergenza-plastica? Di fatto sì se si considera che, tra meno di quarant’anni, avremo a che fare con circa 33 miliardi di tonnellate di rifiuti non biodegradabili, distribuite lungo tutta la superficie della Terra. Questa è la conclusione a cui sono giunti i ricercatori della University of California di Davis che, in un articolo di Nature, mettono in guardia contro una situazione che potrebbe diventare ingestibile nel giro di pochissimo tempo e che dovrebbe spingere le autorità di ciascun singolo Paese ad iniziare a classificare la plastica come rifiuto dannoso e pericoloso: un’iniziativa che andrebbe coniugata ad una serie di politiche atte a contenere, ad esempio, la produzione della plastica per fare in modo che entro il 2050 le tonnellate di rifiuti siano “soltanto” 4 miliardi, anziché 33; e che, soprattutto, dovrebbe prevedere investimenti e ricerche per scoprire materiali più moderni, adatti alla contemporaneità e, al tempo stesso, non totalmente distruttivi dell’ambiente.
Fonte : fanpage.it

L'arte nel cappuccino

Il conclave

In seguito alle dimissioni di Papa Benedetto XVI, presto si terranno le elezioni per scegliere colui che dovrà prenderne il posto e diventare il Sommo Pontefice della Chiesa cattolica.
Ma come si elegge un Papa?
Iniziamo dagli elettori: hanno diritto al voto 117 cardinali (in realtà stavolta saranno meno, a causa di alcune defezioni. 62 di loro provengono dall’Europa e di questi 28 sono italiani.
L’elezione del Papa è definita Conclave e si tiene nella Cappella Sistina, dove ai cardinali non è permesso portarsi né cellulare né PC e neppure giornali quotidiani.
Questo perché i grandi elettori devono essere inavvicinabili (Conclave viene dal latino cum- clave, ovvero “chiuso a chiave”).
E le fasi di voto?
Si possono ridurre a sette 1) Il primo voto è previsto nel pomeriggio del primo giorno di Conclave
(i cardinali possono votare al massimo 4 volte in un giorno).
2) Ogni cardinale scrive un nome su una scheda rettangolare.
3) Tre cardinali prescelti fanno da scrutatori e si accertano che tutti i cardinali abbiano votato.
4) Gli scrutatori leggono i nomi dei cardinali votati.
5) Per eleggere il Papa servono i voti dei 2/3 dei cardinali.
6) Se un cardinale riceve minimo i 2/3 dei voti, il Collegio dei Cardinali gli chiede dunque se egli accetta di diventare Papa.
7) Le schede dove si vota vengono bruciate in una stufa (ogni due votazioni.  A seconda del colore del fumo che esce dal comignolo, i fedeli sapranno se il Papa è stato eletto o meno.
La fumata nera è un no, mentre la fumata bianca è un sì.
Quando non si raggiunge un accordo, nella stufa vengono aggiunti paglia e trucioli umidi: il fumo che esce dal camino della Cappella Sistina è dunque denso e scuro; se invece un candidato ottiene la maggioranza dei voti, vengono bruciate soltanto le schede e il fumo è chiaro. 
Il colore del fumo serve così ad annunciare ai fedeli in attesa l'esito della votazione, dal momento che l'annuncio ufficiale avviene molto dopo l'avvenuta elezione, circa un'ora. 

Quando il Papa viene eletto, il cardinale proto diacono lo presenta ai fedeli dalla finestra della Loggia delle benedizioni di San Pietro, dopo aver pronunciato la formula: “Habemus Papam“.
Solo allora il nuovo Pontefice si mostra alla folla e le impartisce la benedizione Urbi et Orbi. L'uso del conclave, il luogo chiuso a chiave (cum-clave) dove si riuniscono i cardinali, risale all'elezione di Onorio III, avvenuta a Perugia nel 1216: i Perugini, stanchi di aspettare le decisioni dei cardinali, pensarono di rinchiuderli obbligandoli così a una rapida decisione.
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