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domenica 30 giugno 2013

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Cina: Le Grotte di Yungang


Le Grotte di Yungang (in cinese: 雲崗石窟, Yúngāng Shíkū) sono un antico sistema di caverne che si trova nei pressi di Datong, nella provincia di Shanxi, in Cina. 
Esse sono uno dei migliori esempi di architettura scavata nella roccia e dei tre più famosi sistemi di grotte della Cina, insieme alle grotte di Mogao e alle grotte di Longmen.

Le grotte vennero scavate principalmente durante la Dinastia Wei, fra il 460 e il 525, e costituiscono un notevole insieme di templi dedicati al Buddhismo. 
In tutto il complesso si contano 252 caverne e oltre 51.000 statue di Buddha, delle dimensioni più varie. Nel 2001 le grotte di Yungang sono state inserite nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

 Datong, oggi capoluogo della regione dello Shanxi, in passato era chiamata Pingcheng, e dal 440 fu scelta come capitale del Wei, governato dalla dinastia di origine turca Tuoba. Datong declinò già a partire dal 493, a seguito del trasferimento della capitale a Luoyang, ma negli anni di splendore, in particolare tra il 415 e il 453, i suoi regnanti fecero scavare sul versante meridionale del vicino monte Wuzhou più di 200 grotte. 
Per la realizzazione dell'imponente progetto ci vollero 50 anni e 40.000 lavoratori.

In seguito, tra il 468 e il 534, sotto la dinastia Wei, queste grotte furono utilizzate per la conservazione in nicchie di circa 51.000 statuette buddiste, che fondevano insieme i simboli dell'arte dell'Asia centrale e meridionale ai motivi artistici tradizionali cinesi.
 Fin dall'epoca Ming esse sono note come complesso delle grotte di Yungang, traducibile come “cresta delle nubi” o “collina delle nuvole”.
 Già dal 1949, all'epoca della Repubblica Popolare Cinese, il governo le ha sottoposte a tutela.

Nel 1907, E. Chavannes, il primo sinologo a giungere nel sito e a fotografarlo, dichiarò: «Sebbene le sculture di Yungang siano i prototipi dell’arte Buddista cinese, esse non hanno, tuttavia, nulla di arcaico; svelte e armoniose, penetrate da un senso religioso intenso, sono al tempo stesso un debutto e un apogeo»

Oggi, di grotte se ne conservano in buono stato solo una cinquantina: nel 2001 sono entrate a far parte dei patrimoni dell’umanità tutelati dall’UNESCO, come uno dei migliori esempi di architettura rupestre buddista e cinese.

Le grotte che si sono conservate fino ad oggi si susseguono per un chilometro circa della parete di falesia arenaria del monte Wuzhou, lungo una direttrice est-ovest.
 La serie di grotte è interrotta solo da due gole, che suddividono naturalmente la parete rocciosa in tre settori; gli studiosi hanno suddiviso le grotte a partire da questo punto di riferimento, classificandole in tre gruppi principali: del primo gruppo fanno parte le 4 grotte orientali, dalla n. 1 alla n. 4; al secondo gruppo appartengono le 9 grotte centrali, dalla n. 5 alla n. 13, nel terzo gruppo sono ricomprese le restanti grotte, dette grotte occidentali, dalla n. 14 alla n. 53. 
 Le grotte occidentali oggi si presentano come grotte di pietra nuda, ma secondo gli studiosi erano vere e proprie costruzioni architettoniche, arredate con numerosi elementi lignei che andavano a comporre templi intarsiati in pietra e legno; all'interno di questi templi, sontuosi ornamenti facevano da sfondo al culto: oggetti liturgici, drappi e sete.

Gli studi hanno permesso di ricostruire le varie epoche storiche a cui far risalire le statue e gli altri reperti archeologici.

CARRIERA

Una vergogna inammissibile ......

Lo Zimbabwe festeggia l'indipendenza dalla Gran Bretagna.
Per l’occasione bambini soldato con finti fucili hanno sfilato nello stadio di Harare, la capitale del paese.

I nostri bambini giocano a calcio o con la playstation

QUESTI BAMBINI GIOCANO ALLA GUERRA !!

e quel che è peggio molto ma molto spesso la fanno pure rapiti alle famiglie ed addestrati e arruolati per uccidere

Tchaikovski * Casse-noisette * Valse des fleurs

sabato 29 giugno 2013

L’Ice Canyon


L’Ice Canyon si trova in Groenlandia, isola che fa ancora parte del Regno di Danimarca ma che, dal 1979, ha un governo autonomo risultando perciò tecnicamente separata da esso.
 La Groenlandia è l’isola più grande del mondo ed è patria di magnifici iceberg, di bellissime montagne, di incantevoli fiordi, di lande sterminate di ghiaccio e di una variegata flora e fauna tanto da differenziarsi da qualsiasi altro luogo sulla Terra.
Questo canyon di ghiaccio è il luogo più fotografato della Groenlandia ma anche uno dei più freddi al mondo. 
La profondità del canyon oscilla tra i 30 e i 40 metri e nel suo fondo si formano gigantesche pozze di acqua cristallina che assumono colorazioni che vanno dall’azzurro al blu notte. 
Tra maggio e luglio, quando il clima è più mite, il letto dell’Ice Canyon è completamente occupato dalle acque tanto da sembrare un vero e proprio fiume.

Il Mistero delle Mummie di Xiaohe in Cina

Nel 1939 una notevole scoperta fu eseguita dall'archeologo svedese Folke Bergman: una serie di tombe furono portate alla luce nella provincia di Xinjiang, diventate poi note come le 'Tombe di Xiaohe'. Tuttavia, per i 60 anni a seguire, le tombe furono dimenticati fino a quando nel 2000 un ricercatore, responsabile dell'Istituto di Archeologia di Xinjiang riscoprì le tombe. 
 Gli scavi furono portati a termine solo nel 2005, anche perché le dimensioni dell'area archeologica sono senza precedenti. Le tombe rinvenute sono quasi 330, collocate in diversi strati del terreno, appartenenti a feretri di adulti e bambini. 
All'interno del sito sono state ritrovate anche 15 misteriose mummie praticamente intatte. 
E' la prima volta che un numero così alto di mummie viene ritrovato sulla superficie del nostro pianeta.
 Le casse nelle quali erano contenuti i corpi sono in legno e, in maniera simile a quanto avveniva nell'antico Egitto, le bare venivano interrate a testa in giù. 
Alcuni gioielli e i loro abiti sono stati sepolti assieme ai defunti in piccole ceste, mentre i cadaveri sono stati avvolti in tessuti di lana. Le fibre utilizzate per intrecciare i cesti sembravano ancora fresche, nonostante fossero passate diverse migliaia di anni. La forma delle bare è rettangolare, e sono state rivestite con del cuoio in modo così perfetto da non far passare nemmeno un granello di sabbia. 
Tutte le bare sono state trovate con sei o otto pali attorno. "Gran parte delle tombe ritrovate qui hanno lo stesso aspetto di quando furono sotterrate e questo è un aspetto molto importante perché può aiutarci a capire meglio la vita sociale di allora," spiega l'archeologo Idelisi Abuduresule.

"Abbiamo portato alla luce 30 sarcofaghi di forme particolare e mummie, inclusi sarcofaghi a forma di barche. 
Inoltre abbiamo estratto dei campioni da analizzare di tutti i cinque strati delle tombe di cui potremo determinare la data. Abbiamo preso anche dei campioni delle travi di legno e delle coperture dei sarcofaghi per stabilire la loro datazione in base al numero degli anelli di crescita del legno." 
 I morti riposavano fra le dune di sabbia all'interno dei loro sarcofaghi di legno a forma di barche, disposti all'incontrario, con la parte alta rivolta verso il basso, così da separare simbolicamente la vita e la morte, il tempo e lo spazio. Insieme alle mummie erano seppelliti semplici oggetti. Oltre ai vestiti, alle collane e ai braccialetti, in ogni sarcofago vi era un cestino di paglia e i corpi erano coperti principalmente da erba e graticcio. 
Gli archeologi stanno ancora lavorando per cercare di interpretare queste particolari tradizioni funerarie.
 Inoltre, in sei bare non sono stati trovati dei corpi umani, ma delle riproduzioni in legno dei cadaveri, con una X rossa disegnata su di essi. I corpi in legno hanno tutti la stessa forma, e sono tutte raffigurati nel genere maschile.
 "Tutti questi ritrovamenti ci conducono in un mondo misterioso permeato di un'atmosfera religiosa primordiale," continua Abuduresule. "La ricca connotazione culturale delle Tombe di Xiaohe non ha paralleli fra le precedenti scoperte, sia in territorio cinese che in altre parti del mondo. Gli scavi e le ricerche effettuate in questo sito avranno un'importante ruolo per lo studio archeologico della storia antica del Xinjiang, ed eserciterà una profonda influenza sulla futura ricerca archeologica in tutta la vasta area del Xinjiang." Tra tutte, una delle mummie è diventata particolarmente famosa grazie al suo stato di conservazione pressoché perfetto e alla sua bellezza: la reliquie è ormai nota come 'La Bellezza di Xiaohe'.

Si tratta del corpo di una persona con le orbite oculari rotonde, le ciglia perfette e capelli lunghi, tutte caratteristiche più simili all'etnia europea che a quella asiatica.
 Gli studi realizzati sul corpo hanno dimostrato che il corpo risale al 2000 a.C. e sembra di origine caucasica. Tuttavia, le analisi del DNA di tutte le mummie hanno dimostrato che si tratta di persone frutto di vari incroci tra la popolazione di oriente e di occidente. Nei maschi sono stati trovati cromosomi riscontrabili solo nelle popolazioni dell'Europa Settentrionale e Orientale, come nella Siberia russa. 
 Ma le stranezza non finiscono qui, infatti ci sono altri fatti nelle Tombe di Xiaohe che non quadrano per gli studiosi: gli archeologi hanno setacciato centinaia di chilometri nel raggio di tutto il complesso delle tombe, senza riuscire a trovare un minimo elemento che possa riguardare le persone di Xiaohe e il loro stile di vita. A primo acchito, sembra che queste mummie siano comparse dal nulla, o che comunque le popolazioni che le hanno qui stabilite, venissero da molto molto lontano. Perché scegliere proprio questo posto per una sepoltura? Inoltre, a quale cultura appartengono le mummie di Xiaohe? Da dove proveniva e dove è andata a finire? Tutte queste domande, al momento rimangono senza risposta. In effetti, non è la prima volta che gli studiosi si confrontano con civiltà che ad un certo punto della loro storia sembrano svanire nel nulla senza lasciare la minima traccia, come ad esempio gli Olmechi, i Maya, ecc... Alla famiglia delle popolazioni desaparecidas si aggiungono anche i componenti del Xiaohe. 

ilnavigatorecurioso

Il Guerriero di Capestrano


Il Guerriero di Capestrano, come oggi è conosciuto, è uno dei reperti più misteriosi che il passato ci abbia restituito.
Naturalmente il suo epiteto è una definizione fittizia, poiché nessuno sa realmente chi raffiguri. Le ultime ricerche lo vorrebbero un capo del territorio occupato dagli antichi Vestini, all'epoca della sua supposta realizzazione, collocata-secondo gli studi più recenti- alla prima metà del VI sec.a.C. 
 Quando si entra nella sala dove è conservato,nel Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo a Chieti, si rimane affascinati dalla sua imponenza. 
È una statua di oltre due metri, in piedi, addobbata soltanto da elementi 'bellici', che tra poco analizzeremo, ma sicuramente l'oggetto che colpisce l'attenzione è l'enorme copricapo a tesa larga piatta, del diametro di circa 65 cm, al di sopra del quale si trova un elemento ancora da decifrare, una sorta di 'calotta'decorata da una cresta di penne oblique, fermate da alette parallele, sottolineate da un fregio a meandro.
Sorge subito una prima considerazione: che razza di guerriero sarebbe mai andato in battaglia con quel tipo di cappello o elmo che dir si voglia? Doveva essere-quanto meno- 'ingombrante' per le manovre veloci.Se fosse stato di un tessuto leggero, che utilità avrebbe avuto durante la lotta?Se fosse stato di altro materiale,appunto si sarebbe verificato un problema di assoluta apraticità. Non resta che pensare che fosse indossato a solo scopo cerimoniale? 
Altro dubbio: il volto. E' l'originale o no? Esiste una visibile 'sproporzione'tra il viso e il resto della testa.Inoltre quel 'solco' che contorna tutta la faccia, cosa significa? Potrebbe essere un 'reggi-copricapo', ma c'è chi dice che sia in realtà una maschera...

Il copricapo è l'unico elemento della statua ad essere stato realizzato in materiale diverso(fango carbonatico), appartenente però alla stessa formazione geologica.La statua fu scolpita in un unico blocco (monolito) di calcare ed è al momento un 'unicum'.
Il materiale lapideo è coerente con il contesto geologico che circonda l'area archeologica di Capestrano(località in provincia de L'Aquila) e i moderni lapicidi o scalpellini utilizzano ancora questo materiale, che viene detto 'pietra gentile o tenera della Majella'.
 Vennero impiegati diversi strumenti per lavorarlo, e per lisciarlo.E' possibile ricostruire gli angoli tra scalpelli e pietra, la direzione dei colpi, i tratti...

Anche se pare 'in buona salute', il Guerriero presenta varie lacune, purtroppo:fratture alle gambe, 'riparate'con inserti metallici (perni in lega) definiti da un'indagine quali/quantitativa dai tecnici dell'ENEA. Altre 'lacune' sono sparse un po' su tutto il 'corpo', causate da agenti chimici e biochimici operanti nei lunghi secoli in cui la statua stette a contatto con il terreno che la inglobava, così dicono gli esperti.Le mancanze sono state 'stuccate', in parte, e in altra parte sono state 'sigillate'in occasione delle più recenti esposizioni. L'assetto statico-dinamico e la dilatazione naturale della pietra stanno alla base del progetto diagnostico del degrado sofferto dalla scultura, che viene monitorata tramite indagini archeometriche, analitiche (fluorescenza, difrattometria) che hanno il vantaggio di non essere invasive(non distruggono parti di statua). 

 La statua fu rivenuta nel 1934 del signor Michele Castagna, il quale stava trattando il proprio terreno per lavorarlo, in una località situata nei pressi di Capestrano(da qui ha tratto il nome il reperto),e mai avrebbe immaginato che il suo nome sarebbe rimasto per sempre legato a questo casuale ritrovamento, che rappresenta uno dei più importanti per la storia dell'archeologia italiana. Vennero ritrovata anche una statua di figura femminile e altri reperti nella stessa zona. Ma ovviamente la più eclatante resta quella del guerriero,che la gente del posto chiamava 'nu mammocce', che in dialetto abruzzese significa il bamboccio (di pietra), non potendo capire lì per lì il suo valore storico, artistico ed archeologico, nonchè antropologico.
Dopo le iniziali incertezze, venne osservato da alcuni studiosi che, comprendendone l'importanza, lo trasferirono presso il museo delle Terme a Roma, dove venne analizzato in toto.
Tra le varie ipotesi che furono formulate, e fu anche quella che si potesse trattare di una donna, anche perché la statua non presenta uno sesso distinguibile, ma appare androgino.Inoltre ha i fianchi 'larghi',la vita stretta, e gambe che non defineremmo certo 'virili'. Come oggetti di ornamento e indossa: un collare in bronzo, con capi aperti, da cui pendono due pendagli rettangolari

La panoplia ai fini della datazione è costituita da armi i da offesa e armi da difesa: la coppia di dischi-corazza in bronzo,lisci e privi di emblema centrale; la spada lunga in ferro con elsa a croce sul cui fodero è fissato un lungo coltello(pugnale).Il tutto molto ben lavorato e arricchito con figurazioni simboliche,per quanto è possibile vedere in base a ciò che ci è pervenuto. Un'assoluta rarità nel panorama protostorico abruzzese è l'ascia in ferro impugnata nella mano destra.

Sull'elsa della spada sono scolpite due figure umane,in verticale:una sopra all'altra;mentre sull'impugnatura del pugnale sono scolpite due figure animali,che non ci sentiamo di identificare.
 I piedi del 'Guerriero'sono infilati in calzari aderenti,noti in altri esemplari rinvenuti sul territorio delle necropoli Vestine.Si noti come l'aspetto delle gambe del Guerriero sia particolarmente 'appuntita'.Perchè? 
 Ma la dotazione bellica del bellissimo e remoto personaggio non è ancora terminata. A 'sorpresa', ai lati del suo corpo, su ciascun lato dei due 'supporti' che inquadrano la statua, sono incise due lance(una per parte):

Ma il Guerriero non ci ha lasciato con tutta la 'suspance' derivante da un rigoroso anonimato! Credevate? Chi lo realizzò,con il benestare di chi lo commissionò molto probabilmente,pensò di vergare -nella propria lingua, sul pilastrino destro e verticalmente, un'iscrizione che per decenni(da quando fu ritrovato) non ebbe una decifrazione.Si diceva fosse una lingua osco-peligna, o una di quelle lingue locali delle popolazioni di origine indoeuropea stanziate in Abruzzo prima dell'arrivo dei Romani.
Di esse si comincia a sapere qualcosa di più grazie allo studio sistematico delle necropoli e degli insediamenti che in alcuni casi emergono alla luce.Attualmente l'iscrizione presente sul Guerriero di Capestrano è attribuita ad una lingua sud-picena(che ancora è da capire bene che significa!) che è stata interpretata come "ME BELLA IMMAGINE FECE ANINIS PER IL RE NEVIO POMPULEDIO". Avete visto? Abbiamo di fronte niente meno che il ritratto di un re! Ciò spiegherebbe perché fu così ben curata la sua lavorazione,l'uso dei dettagli,la posa ieratica.
Ma la stessa iscrizione potrebbe indicare che lo scultore si chiamava Aninis e che venne fatta per il re, ma non sappiamo con certezza che essa rappresenti effettivamente il sovrano.
La fece Aninis per il re, ma è il ritratto dello re stesso o questi volle, magari, che gli si scolpisse una statua ad altezza reale di un Guerriero (straniero o locale?) di cui magari ammirava la forza e il coraggio o che si era distinto per particolari prodezze,o con 'poteri' particolari(sciamano?). 
Non lo sapremo forse mai,comunque ufficialmente è oggi riconosciuto sia proprio lui,il re Nevio Pompuledio.

fonte: duepassinelmistero.com 
 Foto dal web

venerdì 28 giugno 2013

Svizzera: Il Parco Scherrer

Monumenti d’epoche e culture diverse si trovano nel “Parco-Monumento Scherrer” a Morcote lungo la strada cantonale ca. 300 m dopo il paese, in direzione di Figino.
 In questo parco avete l’occasione unica di compiere un emozionante viaggio nel tempo e nello spazio, dove passato e presente, storia e natura si fondono armoniosamente.
 Questo giardino “paradisiaco” (come è stato definito dal famoso Aga Khan), sorge ai piedi del Monte Arbòstora, sulle rive del lago.
Fino a settant’anni fa esistevano su questi pendii ronchi vignati, castagneti e una vecchia dimora con la stalla in riva al lago. 
Nel 1930 Hermann Arthur Scherrer, ricco commerciante di tessuti e appassionato d’arte, acquistò la casa e un ettaro di terreno a monte. Dopo diversi anni di lavoro, pendii e terrazzamenti furono ricoperti da cipressi, camelie, canfore, eucalipti, cedri, araucarie, palme e boschetti di bambù, tutte piante esotiche ed orientali che Scherrer aveva ammirato durante i suoi viaggi di lavoro. Numerose piante sono ora etichettate con il loro nome scientifico.

Scherrer, ispirato dai paesaggi e dalle culture orientali, non si limitò a riprodurne l’affascinante vegetazione: il giardino doveva solo incorniciare i grandi capolavori della scultura e dell’architettura orientale. Infatti riprodusse, anno dopo anno, diversi templi, in scala ridotta del mondo mediterraneo e di paesi esotici.
 Il parco comprende due aree, con due stili predominanti; quello mediterraneo e quello asiatico.
 Il percorso attraversa dapprima i ripiani dei giardini mediterranei in stile rinascimentale e barocco, ricchi di statue; poi prosegue in boschetti di bambù nel paesaggio orientale, che sorprende per le sue costruzioni siamesi, arabe ed indiane, accompagnate dalla flora che caratterizza queste regioni. 
Lungo il percorso c’è la possibilità di sedersi all’ombra di pergole, e di godersi splendidi scorci panoramici sul lago.

All’entrata si notano diverse sculture: la fontana ornamentale veneziana accompagnata da un leone bizantino, posato su una colonna rinascimentale. Non lontano, due leoni di marmo di Carrara accolgono il visitatore ai lati della scalinata quasi invitandolo a camminare attraverso coloratissime azalee, camelie, profumati osmanthus e accanto a un grosso cedro del Libano. Anfore, leoni, ninfe e fauni appaiono ad ogni svolta del sentiero che conduce fino a un pergolato: le statue allegoriche delle quattro stagioni ed una panchina veneziana invitano a riprendere fiato. Si arriva davanti alla grandiosa fontana rinascimentale di marmo di Carrara vicina alle colonne di un belvedere.

Le statue di Venere, Ercole, Giunone e Giove vigilano fra gruppi di azalee. Volgendo lo sguardo verso monte, fra i vari ripiani ricchi di cipressi e magnolie, si scorge l’Eretteo, copia del secondo tempio dell’Acropoli ateniese, in scala molto ridotta in pietra di Vicenza e sorretto da sei magnifiche cariatidi. 
Per ottenere una copia fedele Scherrer scattò numerose fotografie che consegnò al suo scultore di Vicenza. La parte superiore del parco, rivela un giardino rinascimentale con un tempio del sole di matrice spagnola. Lo stile ricorda i famosi giardini dell’Alhambra a Granada ed è impreziosito da due fontane in stile barocco, in pietra naturale di Verona e contornate da basse siepi di bosso.

Le statue di Mercurio, dio del commercio, e di una filatrice, dominano il Parco dall’alto e simboleggiano le attività esercitate da Scherrer. Il cammino prosegue oltre un ponticello che separa idealmente la vegetazione mediterranea da quella fitta ed esotica del mondo orientale. 
Fiancheggiando canne di bambù ed aceri giapponesi si giunge alla casa del tè in stile siamese. Oltrepassata la statua di Budda e quella del serpente, ci si ritrova sulle rive del Nilo al tempo dei faraoni. Ecco il tempio egiziano di Nefertiti, vegliato da due divinità: la testa di leone di Sekhmet e la testa di falco di Horus, figlio di Osiride. L’interno del tempio è una copia fedele dell’originale, che si trova a Berlino e risale all’età di Amenofi, circa 1375 a.C..

C’è anche una copia del celebre busto della regina Nefertiti. Le pareti sono dipinte in antico stile egiziano. Una doppia parete con intercapedine impedisce all’umidità d’intaccare le pitture. Qui, nel silenzio, accanto alle divinità egizie, riposano anche le ceneri di Scherrer e di sua moglie.
 Usciti dal boschetto di bambù si può sostare tra le colonne e i capitelli che evocano il tempio di Delfi: seduti su una panca antica di cinque secoli, si apre una finestra panoramica sulle tranquille acque del lago.
 Ma Scherrer evoca altri viaggi lontani: fatti pochi passi “si giunge in Arabia”.

La scena è quella di un’oasi con palme, ghiaia e una casa araba, rimasta purtroppo incompiuta. Scendendo verso la palazzina s’incontrano sculture di schiavi nubiani immersi in una ricca vegetazione composta da esemplari di araucaria, lecci (Quercus ilex), profumati osmanthus e canfore, spinosi Poncirus trifoliata ed esotiche palme di San Pietro (Chamaerops humilis), Dracaena indivisa e yucche. Attraversato questo “paradiso botanico”, troviamo uno stagno con le ninfee e una tartaruga cinese ci augura una lunga vita. Su questo terrazzamento si situa il “giardino indiano” con la palazzina rinascimentale che richiama il Palazzo Salò di Brugine, vicino a Padova.

Nel giardino c’è una vasca sulla quale si affacciano quattro elefanti con la proboscide alzata, sovrastati da tre cobra pronti ad attaccarli e alla sommità domina la vacca sacra di Myosore. Altri elefanti indiani sono raffigurati nei rilievi della scala del terrazzo, mentre sul cornicione quattro leoni “sorvegliano il giardino”.All’interno, come nei palazzi indiani, le pareti hanno decorazioni Mughal e un recinto delimita lo spazio riservato alle donne. Il dipinto del soffitto indica la posizione esatta degli astri quando nacque Amalia Scherrer.

All’uscita del Parco attira lo sguardo una casa lombardo-ticinese del 1’300, con loggiato ad arcate; questa testimonia l’affetto di Hermann Scherrer per il Ticino. Ora questi locali offrono ristoro al visitatore al termine della visita.

Kyenge choc

La formula del giuramento:

''Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione''.

QUALCUNO HA AVVISATO LA SIGNORA CHE LA NAZIONE IN QUESTIONE ERA .............L'ITALIA?

una svista può succedere a tutti !!!!!!!





“Ringiovaniamo l’Italia rimpiazzando i vecchi con giovani clandestini”

Il piano della Kyenge: rimpiazzare i vecchi italiani con i giovani clandestini.
“La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia”
“La priorità è l’integrazione intesa anche come ringiovanimento demografico dell’Italia”.
Così ha detto ieri il ministro Kyenge a latere della solita conferenza sull’immigrazione e ha svelato dettagliatamente il suo piano che, molto presto, passerà al vaglio del governo.
“Il reato di ingresso clandestino e di soggiorno illegale dovrebbe essere presto abolito in sede di revisione del Testo Unico sull’immigrazione da parte dei ministeri dell’Interno e della Giustizia e dal Parlamento”.
Per il ministro, inoltre “il trattenimento delle persone da espellere nei Centri di Identificazione dovrebbe rappresentare solo l’estrema ratio e comunque- secondo lei- 18 mesi sono un periodo eccessivamente lungo”
“La questione immigrazione- ha concluso- rappresenta un nodo di estremo rilievo, un fenomeno che non può essere governato fra individualismi ed egoismi politici”.
Tradotto: l’Italia è da considerarsi un paese di vecchi e per ringiovanirla occorrono altri milioni di immigrati, che però con le leggi vigenti faticherebbero ad entrare.
Per la sostituzione rapida del vecchio col nuovo (il ringiovanimento) occorre aprire le frontiere a tutti.
Chi critica è un egoista razzista da mettere al bando.
Se è così, si chiama rimpiazzo demografico: lo ha usato Stalin,lo usano i cinesi in Tibet, ne abbiamo visto gli effetti in Ruanda. Adesso è il turno dell’Italia
red


Kyenge: “Capisco gli immigrati che si oppongono alle leggi italiane” 





Ennesima boutade del ministro dell’integrazione italiano che giustifica la rabbia degli immigrati:
“Intuisco la vostra rabbia di stare in bilico tra due mondi” Sempre più italiani rimangono perplessi dalle uscite del ministro italo-congolese Cecile Kyenge, la cui politica sembra, anzi é, esclusivamente orientata verso i diritti degli immigrati, dimenticandosi di qualsiasi loro dovere.
Dopo aver sostenuto la poligamia  la Kyenge adesso difende gli immigrati che protestano contro le leggi italiane! In particolar modo tutti quelli che ritengono che la loro naturalizzazione debba essere automatica e non tramite un processo che accerti la loro effettiva integrazione nel paese e la loro volontà di condurre una vita onesta in Italia.
A Perugia, il ministro Kyenge ha infatti inviato questo messaggio ai ragazzi che hanno ricevuto la cittadinanza onorarie ius soli: “Posso comprendere i vostri turbamenti, la fatica di far valere un’identità complessa, la difficoltà di stare in bilico tra più mondi, di fronteggiare una burocrazia non sempre amichevole.
Intuisco la rabbia che a volte vi prende per non essere considerati italiani, pur sentendovi tali”.
Che il ministro di un paese si ritrovi a giustificare gli stranieri che non intendono rispettare alcune leggi del paese che li sta ospitando è una cosa che non si era mai vista… fino ad ora!
MS 

Kyenge: “Darò una casa a tutti i rom!”. E agli italiani?
 

CECILE KYENGE - Continua il processo di dis-integrazione del ministro italo-congolese:
“Mi impegnerò per dare casa, cittadinanza e lavoro a tutti i rom”.
A un ritmo quasi giornaliero, italiani disperati senza più casa e lavoro vedono la loro unica via d’uscita nel suicidio.
Ma per il ministro italo-congolese Cecile Kyenge la priorità va agli stranieri. La ministra della dis-integrazione continua infatti nei suoi proclami pro-immigrazione, ignorando totalmente le esigente dei milioni di italiani che vivono drammaticamente sotto la soglia di povertà.
L’ultima trovata di Cecile Kyenge è stata quella di andare a Torino, una delle città italiane più colpite dalla crisi economica e promettere casa e lavoro per tutti… i rom. E, naturalmente, anche la cittadinanza. Tanto hanno dimostrato di sapersi integrare benissimo…
Oh, non scherziamo, sia chiaro che per gli italiani niente di tutto ciò!
Non si può mica accontentare tutti!
Ovviamente tacciando di razzismo su tutti gli italiani che, in questo particolare momento storico, possono avere qualche perplessità sulle proposte del ministro italo congolese:
“Io sono come i rom e gli attacchi che fanno a me in realtà sono rivolti a tutti voi immigrati”.
Integrazione e tolleranza?
MS

Kyenge insiste sulla poligamia: “Non rinnego che facilita i rapporti con la società”

CECILE KYENGE – Il ministro italo-congolese dell’integrazione ribatte alla Lega Nord:
“Sono nata in una famiglia poligamica, e non si rinnegano mai le proprie origini”.
Il ministro dell’integrazione italo-congolese Cecile Kyenge, ormai noto per voler integrare chiunque ma che nel mentre si rifiuta di stringere la mano ed evita il confronto con chiunque la pensi diversamente da lei, continua a far discutere.
Dopo le polemiche della Lega Nord, che poco hanno gradito le esternazioni del ministro Kyenge, la quale inneggiava alla poligamia in quanto
“Facilita i rapporti con l’altra parte della società, al di fuori della famiglia”, ai giornalisti che le hanno chiesto un chiarimento in merito la Kyenge si è limitata a dire:
“Sono nata in una famiglia poligamica, e non si rinnegano mai le proprie origini”.
Quindi conferma che le aberranti dichiarazioni dell’italo-congolese non erano solo una boutade, magari con una punta di provocazione: si tratta proprio del suo pensiero!
Con buona pace delle donne, difese proprio in tempi non sospetti dalla Boldrini, che evidentemente sono destinati ad avere meno diritti degli immigrati…
Se questo è il modello di integrazione a cui deve sottostare l’Italia, c’è evidentemente qualcosa di grave che non va…
MS

Le prime greggi nel Sahara cinque millenni prima di Cristo.


Il Sahara oggi è uno dei deserti più ostili del mondo. 
Eppure 10.000 anni fa i modelli paleoclimatici mostrano un ambiente con condizioni climatiche e ambientali molto più favorevoli alla vita, quelle che caratterizzarono il Periodo africano umido dell'Olocene. È per questo che non devono stupire i risultati di un recente studio pubblicato sulla rivista "Nature" che documentano la produzione di latticini nel Sahara nel quinto millennio a.C.
 Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori di un'ampia collaborazione internazionale di cui hanno fatto parte Stefano Biagetti e Savinio di Lernia del Dipartimento di scienze dell’antichità della Sapienza Università di Roma, e Silvia Bruni, dell'Università di Milano, si è basata sull'analisi molecolare e isotopica dei residui di cibo ritrovati nella regione. 
La metodica si era dimostrata efficace in passato nel determinare la cronologia dell'inizio della lavorazione del latte vaccino nella “Mezzaluna fertile”, che fu il teatro del passaggio in Medioriente da una società di cacciatori-raccoglitori a una di soggetti sempre più stanziali e dediti all'agricoltura.
 Nel caso del Sahara, già precedenti studi hanno documentato come l'allevamento di bovini, ovini e caprini sia iniziato ben prima della domesticazione delle piante. In particolare, nella prima parte dell'Olocene, le popolazioni di cacciatori, pescatori e raccoglitori, che occupavano l'Africa sahariana in modo essenzialmente sedentario, sono diventate di mandriani nomadi, in grado di adattarsi alle differenti condizioni e risorse ambientali e di sfruttarle a proprio vantaggio.

La presenza di allevamenti preistorici nella parte più settentrionale del continente Africano è documentata da una serie di graffiti e pitture rupestri ritrovate nel Sahara, che costituiscono probabilmente la più ampia concentrazione di arte preistorica del mondo, famosa per la sua capacità di rendere in modo vivido scene della vita quotidiana di quelle popolazioni.
 E proprio queste testimonianze pittoriche mostrano la presenza di bestiame e in particolare la mungitura delle vacche. D'altra parte lo studio dei reperti fossili ha ribadito la presenza nell'area di bovini, ovini e caprini addomesticati a partire dall'inizio del sesto millennio a.C. e la loro diffusione a partire dal quinto millennio a.C.
 Si tratta in ogni caso di reperti frammentari e in uno stato di conservazione non adatto a una ricostruzione completa e coerente di un modello di queste antiche civiltà. 
A colmare questa lacuna sperimentale sono intervenuti alcuni studi che hanno condotto misurazioni degli isotopi del carbonio sui residui di grassi animali preservati nei resti archeologici di vasellame. La ricerca ora pubblicata ha tentato per la prima volta di identificare l'inizio delle pratiche di lavorazione dei latticini nel Sahara centrale. È stata utilizzata una tecnica di spettrometria di massa-gascromoatografia (GC–MS), spettroscopia di massa isotopica-combustione-gascromatografia, su residui organici estratti da vasellame ritrovato nelle rocce del sito di Takarkori, nel Sahara libico. 
La datazione al quinto millennio a.C. è correlata con la più abbondante presenza di resti di ossa di bestiame, confermando per lo stesso periodo il pieno sfruttamento del bestiame per i suoi prodotti secondari.
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