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lunedì 7 gennaio 2013


Quando la verità scotta


Namastè a questo grande uomo-Presidente dell'Uruguay Josè “Pepe” Mujica

Questo è quel grande presidente che si è portato lo stipendio a -90% al mese circa 800.euro mensili unico costo dello Stato per lui
Questo sarebbe stato il discorso che avrei voluto sentire a fine anno da un presidente E sono sicurissima che molti e molti televisori sarebbero stati accesi
 Il nostro presidente della Repubblica l'unico ad uscire indenne dalla spending review: nel 2013 incasserà altri 8.835 euro oltre ai 239.192 che già prende. Quindi circa 25.000 euro mensili a cui vanno aggiunti annessi e connessi

Nessuna differenza

Che differenza c’è tra un leopardo e una pantera? Nessuna. Si tratta infatti della stessa specie (Panthera pardus) con diverse colorazioni del manto, che può essere maculato o completamente nero. In quest’ultimo caso, si tratta di un esemplare “melanico” la cui pelliccia è completamente scurita, come se avesse preso la tintarella.
Questo straordinario felino, la cui diffusione si estende dall’Africa all’Asia, fino alle isole della Sonda, mostra uno straordinario polimorfismo anche nella stazza: nella savana del Serengeti, in Africa, può arrivare a due metri e mezzo di lunghezza; in Eritrea è un po’ più piccolo, in Somalia viene chiamato addirittura leopardo nano poiché è lungo appena un metro e 70, coda compresa.
Nella foto, il riposo di un cucciolo di leopardo in Kenya.



Fonte:Focus

Sorprendenti scavi archeologici

Scavi archeologici condotti nell'ambito del progetto Marmaray, che permetterà il collegamento tra l'Europa e l'Asia attraverso un tunnel ferroviario sotto il Bosforo, continuano a restituire interessanti reperti che gettano luce sulla storia di Istanbul. Il direttore degli scavi e del Museo Archeologico di Istanbul, Zeynep Kalkan, ha dichiarato che il 90 per cento degli scavi sono stati già portati a termine ed hanno permesso il recupero di 40.000 reperti storici che si dipanano lungo 8500 anni di vita della città turca. Sono tornati alla luce scheletri, ruderi di edifici religiosi, pozzi d'acqua. Uno dei reperti più importanti è sicuramente il porto di Teodosio, del IV secolo d.C., che ha restituito vasi di terracotta e piatti. Sono state anche scoperte 36 navi affondate nella rada, delle quali 30 erano navi mercantili dotate di vele. Le navi affondarono intorno al V secolo d.C.

I comportamenti delle persone

A osservare i comportamenti delle persone ci si diverte, sembra di essere un a un teatrino,tutti cercano di apparire colti ,intelligenti ,interessati ,simpatici e in realtà…..è un disco fatto girare e rigirare con la solita superficialità a beneficio dello spettatore di turno.

Una dimenticanza provvidenziale

Uno strumento per operare la rimozione del cervello, utilizzato dagli imbalsamatori dell'antico Egitto, è stato scoperto all'interno del cranio di una mummia femminile di 2400 anni fa.

Gli archeologi hanno avuto sempre una certa difficoltà nell'identificare con precisione gli strumenti utilizzati per rimuovere il cervello dalle mummia.
 Questa è la seconda volta che viene rinvenuto un oggetto che serviva a questo scopo. 
Quest'ultimo era situato tra l'osso parietale sinistro e la parte posteriore del cranio, che era stata riempita con resina. L'oggetto è stato scoperto nel 2008, grazie ad alcune scansioni del cranio. Gli scienziati hanno inserito un tubo sottile a mò di endoscopio nella mummia, per ottenere un quadro più completo delle sue caratteristiche. L'endoscopio ha rivelato un oggetto di 8 centimetri di lunghezza, che sarebbe stato utilizzato per la liquefazione e la rimozione del cervello. Lo strumento sarebbe stato inserito attraverso il foro del naso. Alcune parti del cervello sono rimaste attaccate allo strumento. La mummia è stata, poi, poggiata sull'addome in modo che il liquido cerebrale fosse drenato attraverso il naso. Gli imbalsamatori hanno finito per dimenticarsi l'oggetto all'interno .

La mummia è attualmente custodita nel Museo Archeologico di Zagabria, in Croazia. Si tratta di una donna morta all'età di 40 anni. La mummia è stata portata a Zagabria nel XIX secolo, senza sarcofago che non è stato ritrovato. La datazione al radiocarbonio e la Tac a cui è stata sottoposta hanno fornito la data di 2400 anni fa circa. Ancora sconosciute restano le cause della morte.

Al peggio non c'è mai fine

L'isola di Poveglia

Un’isola è sempre un luogo “misterioso”. Un luogo “remoto” circondato dalle acque, soggetto alle maree. Poveglia o meglio Popilia come era chiamata nell’antichità - forse per la sua vegetazione di pioppi o più probabilmente per la vicinanza con la Popilia-Annia, una strada fatta costruire dal console romano Publio Popilio Lenate – ha la caratteristica di trovarsi nella laguna di Venezia. Un luogo misterioso da sempre collegato alle leggende del Graal e a San Marco, ai palazzi stregati e ai botteghe alchemiche. Nel VI sec dopo la distruzione di Padova ed Este, Popilia divenne uno dei rifugi delle popolazioni in fuga dalla terra ferma. Lì fu edificato un castello, e nel IX secolo, contribuì alla resistenza a Metamauco, l’allora capitale del ducato di Venezia, presa d’assedio dai Franchi. Poveglia fu ripagata dal ducato con l’esenzione dalle tasse, dal servizio militare e dall’obbligo di dover remare nelle galee. La popolazione isolana aumentò in ricchezza e prestigio al punto che proprio al Castaldo di Poveglia fu permesso di legare la propria imbarcazione a quella del duca, chiamata il Bucintoro, durante la Festa della Sensa. 1379. L’isola è minacciata dai Genovesi durante la Guerra di Chioggia e la popolazione preferisce trasferirsi in altre località lagunari. Alla fine del conflitto l’isola è distrutta. Non resta più nulla del fasto precedente. L’erosione che seguì portò a una diminuzione della sua superficie e nel 1468 furono costruiti i magazzini e i cantieri navali con lo scopo di tenere in quarantena, lontano da Venezia, navi e merci in arrivo. Ma è tra il 1793 e il 1814 che l’isola diviene sede di un lazzaretto. Venezia fu invasa dalla peste nera e in poco tempo era un cimitero più che una città.
Si decise che l’isola sarebbe diventata non solo il luogo di sepoltura per le vittime dell’epidemia ma anche il luogo adibito ad accogliere coloro che mostravano i primi sintomi di pestilenza. Una leggenda narra che nell'isola vi siano gli spiriti di coloro che venivano portati a morire a Poveglia durante gli anni della peste e chiunque si avvicini all'isola di notte può vedere le anime che vagano. L’isola pullula di cadaveri e resti umani, ancora oggi i pescatori si tengono alla larga per paura che nelle loro reti possa impigliarsi qualche macabro resto, che per qualche strano fenomeno di conservazione non si è ancora decomposto. Ma c’è anche chi afferma che si sentono anche le voci degli spiriti defunti. Soprattutto nelle sere autunnali, al calar del sole, quando una leggera nebbia avvolge l’isola è possibile sentire i lamenti di quelle anime e scorgere delle figure in processione.

E ben lo sapevano i pazienti dell’ospedale psichiatrico che sin dal 1922 risedettero sull’isola. L’edificio era enorme con una svettante torre campanaria e fra le sue pareti abitavano molti spettri... alcuni vecchi, quelli della pestilenza, ma altri “nuovi”... i poveri folli sottoposti alle cure del direttore dell’ospedale che sperimentava nuovi metodi per la cura della follia. Naturalmente nessuno era interessato ad approfondire l’argomento... Trattandosi di malati mentali non c’era da fidarsi... Fin quando, ossessionato proprio da quelle presenze, fu proprio il direttore dell’ospedale a morire.
 Salì sulla torre campanaria e, per chi crede nei fantasmi, fu spinto di sotto, per chi invece crede a una versione più “scientifica”, decise un giorno di suicidarsi perché ossessionato dal rimorso di aver torturato con ogni mezzo e ucciso i pazienti.
 In ogni caso la morte del dottore suscitò molte voci. Compresa quella che una volta arrivato al suolo, dopo la caduta, fu avvolto da una nebbia spettrale che finì per strangolarlo, mentre era moribondo. Ma ancora più sconvolgente è la storia di quella ragazza rinchiusa nell’isola, con l’accusa di essere una povera malata di mente, che diceva di essere incinta del Duce. Fu portata con la forza sull’isola e costretta a partorire lì. Lei e suo figlio vissero in quell’eremo per il resto dei loro giorni.

 Ma le atrocità non finiscono qui... La storia dell’isola è piena di sorprese inquietanti. Era un procedura comune, durante le epidemie, riaprire le fosse comuni per gettare altri corpi e puo darsi che proprio in queste circostanze fu notato che alcuni defunti avevano un rilascio di sangue, in particolare sul sudario, che serviva a coprire il volto dopo la morte. Questo alimentò la credenza che ci fossero vampiri a succhiare il loro sangue. Durante uno scavo archeologico nel 2006, sono stati rinvenuti i resti di una donna del XVI secolo. Il cranio presentava un mattone infilato tra le mandibole... Alcuni esperti dicono che quella donna doveva essere ritenuta un vampiro e per questo motivo fu usato il barbaro rituale. Infatti, molte leggende e tradizioni narrano che i vampiri si sconfiggevano conficcando loro un mattone in bocca e lasciandoli morire di fame.
L’archeologo Matteo Borrini che seguì gli scavi a Poveglia affermò "Per la prima volta abbiamo trovato prove di un esorcismo contro un vampiro." E’ chiaro quindi che anche il ritrovamento di un cadavere “anomalo” abbia continuato a suscitare scalpore e nuove leggende. Ma oggi dopo gli scavi si punta invece al recupero dell’isola che è stata inserita in un programma di ripristino e valorizzazione degli edifici storici... 
Forse far tacere la cattiva reputazione che nei secoli Poveglia si è conquistata. E se invece gli spiriti non se ne andassero?

I gioielli delle regine d'Italia

Le gioie in dotazione alla real casa sono un gruppo di gioielli ufficiali utilizzati dalle regine di casa Savoia nelle cerimonie e negli eventi importanti.
 Furono smontati e riordinati per volere della prima sovrana d’Italia Margherita. Infatti per il suo matrimonio furono creati i primi pezzi che vennero integrati negli anni fino alla creazione, per i 15 anni di matrimonio, del gran diadema nel 1883.
 Da questa data non furono più sottoposti a modifiche e il loro numero non fu più incrementato, come è dimostrato dall’inventario fatto dalla ditta Musy in quell’occasione e da quello effettuato nel 1946. questi gioielli, come quasi tutti quelli più importanti della famiglia, vennero ideati e creati dalla gioielleria Musy, fondata nel 1706 e attiva ancora oggi, ditta fornitrice di casa Savoia dalla metà del XVIII secolo.

 La sovrana era solita indossare molti gioielli contemporaneamente tanto da essere paragonata, più di volta, a una madonna votiva nel giorno della processione.
La regina Margherita li portò fino al regicidio di Monza (29 luglio 1900), dopodiché scrisse di suo pugno sotto l’elenco dei gioielli: “le Gioie della Corona sono state consegnate a Sua Maestà la regina Elena, mia nuora, il giorno 2 Agosto 1900 in Monza”.

 Da questo momento i gioielli furono conservati nella cassaforte numero 3 del Quirinale e affidati alla custodia del ministro della real casa, al quale quando la regina doveva indossarne un pezzo bisognava inoltrare una richiesta e una volta avuto il gioiello Vittorio Emanuele III doveva firmare una ricevuta. 

Dopo l’8 settembre 1943 e la cosiddetta fuga, il re lasciò a Roma i gioielli e al ministero della real casa il compito di tenerli al sicuro dagli invasori. Infatti uno degli ordini di Hitler era di recuperarli e spedirli a Berlino. 
I tedeschi li cercarono prima nella capitale, poi a Torino e a Milano senza però riuscire a trovarli. Infatti subito prima dell’occupazione  erano stati depositati in una cassetta di sicurezza della banca d’Italia, in seguito prelevati e murati in una nicchia dei sotterranei della manica lunga del Quirinale.
Dopo il referendum istituzionale, il 5 giugno del 1946 l’avv. Falcone Lucifero, reggente del ministero della real casa, si presentò alla banca d’Italia con il cofanetto a tre piani in cui erano custoditi i gioielli della corona e l’ordine di re Umberto II di riconsegnarli alla nazione ad uso di chi di dovere.

 Venne stilato un inventario con la descrizione dei pezzi , furono scattate delle fotografie e il cofanetto venne chiuso con 12 sigilli. In teoria oggi i gioielli dovrebbero essere ancora sigillati e il cofanetto può essere aperto solo in presenza del presidente della repubblica e del governatore della banca d’Italia. Il loro valore oggi, secondo alcune stime, si aggira sui 1.5 miliardi di euro e in totale ci sono pietre per più di 1200 carati.

Castello Cini

A Padova, insediamenti preistorici sono stati accertati dall'archeologia a partire dal XI sec a. C – X sec a. C. La leggenda vuole che la città sia stata fondata da Antenore ed il suo seguito dopo essere fuggiti alla distruzione di Troia. Simili origini, ancorché mitiche, sembrano ben adattarsi allo spirito della città. Importante municipium romano, comune medievale di spicco sotto la dominazione carrarese prima e veneziana in seguito, Padova ha contribuito in modo rilevante alla storia italiana, assieme ai comuni della sua provincia. 

Tra questi Monselice, che nel 603 d. C. fu l'ultimo baluardo a cadere in mano Longobarda mentre l'Impero Romano si apprestava ad assistere al suo tramonto. Paese battagliero Monselice, protetto dai Colli e ben collegato con l'esterno tramite vie fluviali. Non c'è da meravigliarsi che possa aver attratto uomini valorosi e, al contempo, spietati. Uomini che hanno lasciato dietro di sé tracce indelebili delle loro azioni. Tracce che persistono all'interno delle imponenti costruzioni erette per mostrare la loro magnificenza. 
 Castello Cini, ai piedi del Colle della Rocca, è una di queste e testimonia l'adattamento del paese allo scorrere del tempo. Tra l’XI sec. ed il XVI sec. il castello è stato dimora signorile, torre difensiva fino a diventare villa veneta. 
La Casa Romanica ed il Castelletto costituiscono il primo nucleo a cui si aggiunge, due secoli dopo, la Torre Ezzeliniana, possente edificio difensivo voluto da Ezzelino III da Romano. E' con questo personaggio che i fatti di sangue entrano a far parte della storia del castello. Ciò non meraviglia, se si considera la sua fama di essere uno dei più spietati feudatari del Medioevo italiano.


Ezzelino aveva eletto il castello a dimora della sua amante Ivalda, una donna crudele, dedita a pratiche magiche nonché lussuriosa. Si dice che abbia tentato di conquistare l'immortalità circondandosi di giovani amanti che, dopo l'amplesso, trovavano la morte. 
Di certo l'immortalità l'ha ottenuta, per altre vie. Ezzelino la trafisse infatti con la sua spada e, da allora, il suo spirito, sotto forma di una donna di bassa statura e con la carnagione bianchissima, si aggira per il castello. 

 Non era ancora trascorso un secolo dall'efferato omicidio quando il castello si preparava a diventare la tomba di un altro giovane caduto in disgrazia. Il 22 dicembre 1350, il Consiglio di Padova conferì la signoria a Giacomino (Jacopino) e Francesco da Carrara, unici eredi della potente famiglia dei Carraresi.
 In Italia la situazione politica era calda in quel periodo: Veneziani, Scaligeri e Fiorentini avevano mire espansionistiche e Francesco temeva che il nipote potesse siglare accordi con la Repubblica di Venezia per spodestarlo dal governo della città. Decise così di rinchiuderlo nei sotterranei del castello. L'amante del principe, Giuditta, fece di tutto per incontrarlo. Per un breve periodo di tempo riuscì ad eludere la sorveglianza, trovando il modo di trascorrere brevi periodi in compagnia di Jacopino. Scoperta, fu a sua volta imprigionata, non nello stesso castello, ma nella Rocca che sorge su un'altura poco distante.
 La decisione successiva di Francesco fu di far morire per inedia i due giovani.
 Resasi conto della tragica sorte a cui erano destinati, Giuditta iniziò ad elevare forti grida, affinché la sua voce giungesse all'amato. Su quei suoni nulla poté la morte, visto che proseguirono anche dopo che i loro corpi furono nascosti, finalmente assieme, all'interno delle possenti mura del castello. Piuttosto, ad essi si aggiunsero i richiami del fantasma di Jacopino, tutt'ora prigioniero nel castello, che invoca la venuta di Giuditta.
 E lei? Il suo spirito vaga all'esterno del castello, percorre le strade del paese cercando informazioni sul suo amato. Sembra la morte le abbia cancellato il ricordo della sua triste storia.
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