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venerdì 15 marzo 2013

La fisica sorprendente di un gatto che beve



Che i gatti siano degli acrobati lo sanno tutti. Ma che il loro innato senso dell’equilibrio non li abbandona neanche quando “lappano” il latte è una novità. Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori di MIT, Virginia Tech e Princeton University, tre delle principali e prestigiose università statunitensi che hanno unito i loro sforzi per scoprire che… gatti domestici e grandi felini per bere sfruttano il perfetto equilibrio tra due forze fisiche, l'inerzia e la gravità, che essi stessi creano nel liquido.
 L’idea di studiare la meccanica della lappata è venuta a Roman Stocker, esperto di fluidodinamica, un giorno in cui stava osservando il suo gatto Cutta Cutta leccare il latte da una ciotola. Grazie a un filmato girato nel lontano 1940, Stocker già sapeva che per bere i gatti protendono verso il basso la lingua con la punta ripiegata all’indietro come una “J” maiuscola per formare una specie di mestolo. Il filmato mostrava che la punta era la prima parte della lingua a sfiorare il latte, ma non spiegava come il gatto facesse a ingerire il liquido.
 Grazie a filmati ad alta velocità (vedi a fine pagina) i ricercatori hanno scoperto che i gatti sfiorano la superficie del latte con la punta della lingua e poi la ritraggono velocemente, creando una colonna di liquido tra la superficie e la lingua in movimento. A quel punto “bevono” l’estremità superiore della colonna, che è il risultato di un perfetto equilibrio tra la gravità che spinge il liquido verso il basso e l’inerzia che tende a mantenerne invariato lo stato.

I gatti, e più in generale tutti i felini, sanno istintivamente la velocità con cui muovere la lingua per ottenere questo bilanciamento di forze, così come conoscono il momento giusto per inghiottire il liquido. Se sbagliassero anche solo di una frazione di secondo, la gravità supererebbe l’inerzia e la colonna si romperebbe, ricadendo nella ciotola e lasciandoli letteralmente a bocca asciutta. I gatti masticano matematica quando bevono Il perfetto equilibrio tra inerzia e gravità che genera la colonna di liquido è stato descritto scientificamente da Stocker sviluppando un modello matematico che utilizza il numero di Froude, un numero adimensionale che esprime il rapporto tra la forza di inerzia, uguale al prodotto della massa di un corpo per la sua accelerazione, e la forza di gravità, pari al prodotto della massa di un corpo per la gravità che su di esso agisce. Utilizzando i dati empirici relativi alla velocità di movimento e al peso della lingua, i ricercatori hanno scoperto che per tutti i felini, di qualsiasi dimensione, il numero di Froude è sempre quasi esattamente uguale a 1, a conferma di un equilibrio perfetto.

Nativi americani

Miguel de Cervantes



Forse non sapeva di essere nato per le lettere oppure semplicemente era convinto che fare lo scrittore non fosse un lavoro molto remunerativo. Fatto sta che Miguel de Cervantes Saavedra, autore del romanzo Don Chisciotte, passò gran parte della sua vita facendo mestieri che ben poco avevano a che fare con la penna e di più con la pubblica amministrazione.
 Il romanziere visse nel cosiddetto Siglo de Oro (il Secolo d’Oro dopo la scoperta dell’America), un periodo molto florido per la Spagna, pioniera delle nuove rotte commerciali sull’Atlantico (verso le Americhe) e sul Pacifico. Nelle casse spagnole affluivano allora, grazie alle colonie d’Oltreoceano, oro e argento a volontà e la possibilità di fare buoni affari era reale. 
Così fu anche per Cervantes, che in alcuni momenti della sua vita ebbe lauti guadagni, ma si trovò spesso squattrinato, poiché non era un grande amministratore dei propri beni.

 Miguel nacque il 29 settembre del 1547 ad Alcalá de Henares, quarto di sette figli (uno dei quali morì subito dopo la nascita). Riservato e balbuziente, il piccolo Miguel dovette abituarsi alle intemperanze della sorte fin da piccolo e, proprio in quegli anni in cui la famiglia si muoveva da Madrid a Valladolid a Siviglia come una carovana da circo, fu costretto a maturare l’idea che nella vita si potesse fare di meglio. 

 L’inizio tuttavia non fu dei migliori, a soli 22 anni fu accusato (ingiustamente) di aver ferito durante un duello un muratore, tale Antonio de Sigura, nel recinto di Palazzo Reale a Madrid. Miguel scappò in Italia e mentre era via fu condannato in contumacia al taglio della mano destra. 
Nel nostro Paese Miguel visse per qualche tempo a Roma, al servizio, come domestico di camera, del cardinale Giulio Acquaviva, ed è probabilmente qui che iniziò la sua formazione letteraria da autodidatta. Le lettere esercitavano su di lui un certo fascino, eppure, ancora giovane, Cervantes scelse di seguire la via delle armi.
 Aveva 24 anni (1571) quando salì come archibugiere sulla galea Marquesa, che faceva parte della flotta della Lega Santa (costituita dal papa contro gli Ottomani, a cui partecipò anche la Spagna di Filippo II). Ma qui la sua vita ebbe una svolta: era il 7 ottobre e Miguel non stava bene, aveva una brutta febbre dovuta forse a una gastroenterite, gli era quindi stato concesso di rimanere sottocoperta, lui però volle combattere lo stesso. La flotta cristiana si trovava nei pressi di Lepanto (in Grecia) e dopo una cruenta battaglia riuscì ad avere la meglio sui Turchi di Mehmet Alì Pascià. La Lega vinse, arrestando così per sempre l’espansione dei musulmani in Europa. Se i cristiani ci guadagnarono, Cervantes invece perse qualcosa: ferito in diverse parti del corpo, si salvò ma ci rimise l’uso della mano sinistra. Dopo le glorie di quella battaglia, si convinse che nonostante tutto la vita militare non faceva per lui, più che mai adesso che era un mutilato di guerra.
 Passò un periodo in cui non si sa bene che cosa combinò, né perché maturò una tale decisione, ma nel 1575 lo troviamo di nuovo su una galea deciso a tornare in patria. La flotta, formata da tre imbarcazioni, partì da Napoli alla volta della Spagna ma davanti alle coste francesi fu colpita da due terribili tempeste. L’imbarcazione su cui si trovava Cervantes, la Sol, rimase isolata in mezzo al mare, circostanza poco raccomandabile all’epoca. La galea, infatti, fu circondata e assalita da navi di pirati barbareschi guidati da un rinnegato albanese, Arnaute Mamì. Stremati dalla battaglia i passeggeri della Sol si dovettero arrendere ai criminali che li portarono ad Algeri in catene.  

Tra il 1582 e l’83 scrisse La Galatea, il suo primo romanzo. Il libro, pubblicato nel 1585, fruttò 120 ducati, una cifra ragguardevole se si pensa che per vivere decentemente in una città come Siviglia ci volevano circa 150 ducati l’anno. La pubblicazione del libro certamente gli diede fiducia, e gli consentì di dedicarsi alla scrittura quasi a tempo pieno. In quegli anni compose numerosi testi teatrali (molti andati persi), alcuni dei quali furono rappresentati all’epoca. Nel 1584 si sposò con la ventenne Catalina de Palacios, figlia di piccoli proprietari terrieri. Il primo periodo del matrimonio fu abbastanza sereno: Miguel viveva a Esquivias, un paesino al confine tra la Castiglia e la Mancia, passava il tempo scrivendo e amministrando le terre di famiglia. Ma il tarlo del lavoro sicuro nella pubblica amministrazione probabilmente non lo abbandonò mai. Così, nel 1587, mollati carta, penna e vigneti, finalmente ebbe un incarico in Andalusia, prima come procacciatore di viveri per la flotta spagnola e poi come riscossore delle tasse. Un lavoro di un certo prestigio ma non simpatico, con cui suo malgrado si fece un po’ di nemici. Cervantes, infatti, doveva requisire grano e altri beni per conto del re e multare o perfino arrestare chi si rifiutava di consegnarglieli. E anche stavolta i guai non tardarono ad arrivare. Nel 1597, accusato di aver sottratto denaro dalle casse pubbliche, il romanziere fu incarcerato per sette mesi a Siviglia. Probabilmente proprio qui cominciò a ideare il suo capolavoro: Don Chisciotte della Mancia Dopo questa brutta avventura Miguel si trasferì a Valladolid con la moglie, le sorelle, la nipote e la figlia illegittima Isabel. Senza volerlo aveva riprodotto quella carovana da circo in cui era cresciuto: i Cervantes vivevano insieme a parenti e amici (in tutto 20 persone), in una casa con 13 piccole stanze comunicanti tra loro. I vicini non vedevano di buon occhio la loro promiscuità, e ancora una volta Miguel fu vittima delle malelingue. Una mattina di giugno del 1605, di fronte a casa sua fu ritrovato il cavaliere Gaspar de Ezpeleta accoltellato. Miguel fu subito sospettato e finì nello stesso carcere a Valladolid in cui erano passati anche il nonno e il padre. Questa volta fortunatamente vi rimase solo un giorno e mezzo e il caso fu chiuso senza colpevoli. Ma la reputazione dei Cervantes peggiorò. Durante il processo in molti deposero contro le donne di famiglia, pronti a giurare che le signore ricevevano uomini di giorno e di notte. Non si sa che effetto ebbe tutto questo sullo stato d’animo dello scrittore. Tuttavia qualcosa dovette consolarlo: il suo Don Chisciotte (la prima parte fu pubblicata nel 1605 e la seconda nel 1615) cominciava a essere sulla bocca di tutti, al punto che l’appellativo di “Don Chisciotte” veniva usato già allora per indicare qualcuno un po’ strano, velleitario. Miguel de Cervantes morì il 22 aprile 1616, poco prima del suo contemporaneo William Shakespeare. Le cronache dicono che fu seppellito nel Convento dei Trinitari Scalzi di Madrid, ma non si sa di preciso dove riposi il suo corpo.

  Con un ronzino, un’obsoleta armatura e un fedele scudiero si può cambiare il mondo. Ma solo se si è davvero convinti. E fin troppo convinto era Don Chisciotte – protagonista del celebre romanzo di Cervantes – che, nato con il nome di Alonso Quijano, aveva letto così tanti romanzi cavallereschi da uscire di senno e decidere, a 50 anni, di partire per un’improbabile avventura. L’impresa naturalmente non riuscì ma un merito lo ebbe: dare lustro al suo autore. Non si sa bene dove e quando Cervantes ideò Don Chisciotte della Mancia e come ebbe l’idea di un cavaliere tanto strampalato da combattere contro i mulini a vento, scambiandoli per temibili giganti dalle lunghe braccia. Di certo si sa che fu un trionfo , grazie anche al suo linguaggio semplice e colloquiale. Quando lo pubblicò, Cervantes era considerato un poeta scarso che si doveva accontentare di quello che aveva già composto. Forse all’inizio la pensava così anche colui che, visto il successo del cavaliere svampito, poco dopo con lo pseudonimo di Avellaneda pubblicò un Don Chisciotte apocrifo. Avvelenando, in parte, gli ultimi anni di Cervantes. 

 Federica Ceccherini

....BUONA FORTUNA A TUTTI ....

LA COCCINELLA 
 CURIOSITA'
Il nome della coccinella deriva dal greco Kokkinòs, termine usato per indicare il colore rosso scarlatto.
E’ proprio questo uno dei motivi per cui pare che questo piccolo insetto porti fortuna: nell’antichità, il rosso era considerato un portafortuna.
In diverse regioni del Sud Italia, la coccinella è legata al culto della Vergine Maria, credenza nata nel Medioevo quando i contadini tedeschi iniziarono ad indicarla come un dono della Madonna, piovuto dal cielo in loro soccorso dopo un’epidemia di afidi che distrusse la maggior parte dei loro raccolti. Essi la ribattezzarono “coleottero della Madonna”, nome che è stato ripreso anche qui in Italia nelle varianti “scarabeo della Madonna” e “gallinella del Signore”. In Gran Bretagna, invece, si chiamano Lady Beetle, dove Lady sta ad indicare il nome della Madonna.
Un altro motivo per cui l’insetto è legato al culto mariano è da attribuirsi anche al colore, che pare fosse lo stesso del mantello della Madre di Cristo.
In realtà, le radici di questa attribuzione divina sono da ricercarsi in tempi molto più antichi: la coccinella fu, infatti, uno dei simboli dell’antica divinità italica Licina (l’equivalente della romana Giunone), signora delle partorienti e della fertilità, ma anche dell’amore, della luce e della bellezza.
Non solo in Europa la coccinella ha connotati divini: in Asia, infatti, non solo è credenza comune che le bestiole abbiano il potere di conoscere tutte le lingue del mondo, ma addirittura che ogni singolo esemplare sia stato benedetto “personalmente” da Dio.
Pare che il santo protettore delle coccinelle sia San Michele Arcangelo, la cui festa coincide con l’inizio dell’autunno.
Secondo la simbologia pellerossa, la coccinella è sinonimo di protezione, specie se si stanno affrontando cambiamenti. Di solito, incontrarne una in un periodo in cui si stanno per prendere decisioni importanti, è di buon auspicio, specie quando questo accade fuori stagione. Inoltre, questo piccolo insetto, avrebbe il forte potere di eliminare i pensieri negativi trasformandoli in positivi. Questa credenza è comune anche in Francia, dove si dice che le coccinelle, posandosi su di noi, siano in grado di portar via con se ogni tipo di malattia o malessere interiore.
Per eccellenza, la coccinella portafortuna è quella rossa con sette puntini disegnati sul dorso.
E a proposito di volo: una tradizione rumena vuole che, mettendo una coccinella sul palmo della propria mano e facendola poi volare via con un soffio esprimendo un desiderio, basterà guardare da che parte volerà la bestiola per capire da quale direzione arriverà la nostra fortuna.
Sempre in Romania, ma anche in altri paesi dell’Europa centrale, si dice che se una coccinella si posi sulla mano di una ragazza nubile, camminandoci sopra per diverso tempo, entro un anno questa si sposerà.
A Bruxelles le giovani spose devono stare attente alle coccinelle: coloro che si metteranno a contare i puntini presenti sul loro dorso, avranno tanti figli quanti i puntini avvistati.
COCCINELLE REALIZZATE IN VETRO
GRAFFITI VETRO ARTE

Bruce Springsteen - Born To Run

.....il vetro si trasforma.....



....................................OGGI COME IERI

IL VETRO NELL'ETA' DEL BRONZO

I primi oggetti in vetro, modellati e forgiati, erano necessariamente molto piccoli. Fino alla comparsa dei primi recipienti, vengono prodotti, se si escludono i bottoni conici, quasi esclusivamente oggetti a carattere ornamentale e rituale, in particolare perle di varie dimensioni, pendenti, placchette e intarsi


Le produzioni del II millennio a.C.: Mesopotamia ed Egitto
I primi recipienti realizzati in vetro pare siano stati prodotti nel corso del XVI-XV secolo a.C., Si ispirarono a forme ceramiche di piccole dimensioni, come calici, coppe, bottigliette a corpo piriforme con terminazione a punta, prevalentemente in vetro blu, con decorazioni di filamenti applicati di colori diversi, in particolare gialli.


Tecnicamente, questi oggetti sono stati realizzati mediante la fusione su nucleo friabile che condizionava la dimensione dell'oggetto.


A distanza di circa un secolo anche in Egitto si sviluppò una produzione di vetro, dal carattere poi sempre più autonomo, probabilmente conseguente alle imprese militari. La produzione egiziana è caratterizzata per lo più da contenitori per cosmetici, talora a forma di fusto di palma, vasi rituali e vasi configurati dalla vivace policromia.



PARTICOLARI DI OGGETTI REALIZZATI CON TECNICA A FUSIONE
GRAFFITI VETRO ARTE









Si fa presto a dire speronamento !



I primi rostri navali avevano forma di una punta affusolata. Verso la fine del VII secolo si affermò però un nuovo modello, che divenne ben presto standard, terminante con una testa schiacciata simile al muso di un cinghiale, progettato per assestare un colpo dirompente al fasciame dello scafo avversario senza penetrare al suo interno. Durante le Guerre del Peloponneso, poi, il rostro assunse la forma che avrebbe mantenuto nei secoli: una testa composta da tre alette orizzontali incrociate al centro con una solida sezione verticale.
 Era una forma ideata per sferrare un colpo a martello capace contemporaneamente di concentrare una forza enorme in una zona molto ristretta, ma al contempo tale da non penetrare nello scafo tanto da non poter più essere estratta. I rostri "alettati" erano progettati per tagliare il tavolato e le travi longitudinali lungo le loro giunzioni, e di farlo rispetto ampi angoli incidenti allo scafo, in modo che la penetrazione potesse essere realizzata su un'ampia gamma di direzioni di attacco.
 Gli scafi antichi erano costruiti con fasciame strettamente collegato da perfetti incastri a mortasa e tenone, e un colpo inflitto da un ariete alettato riusciva a sconnettere giunzioni a molti metri di distanza dal punto d'impatto. La struttura in legno a sostegno dello strumento offensivo era altrettanto importante. Al momento dell'impatto, questa struttura non doveva solo sostenere un'enorme forza di compressione, equivalente alla massa espressa dall'imbarcazione lanciata a tutta velocità, tra la testa del rostro e la massa stessa della nave, ma anche sostenere enormi pressioni laterali e verticali.
 Oltretutto ci sono indizi che suggeriscono che l'ariete fosse una struttura mobile rispetto alla nave stessa, in modo che, nella realistica eventualità che esso potesse essere strappato durante le manovre di sganciamento o di altro tipo, questo non comportasse necessariamente gravi danni strutturali per la nave stessa.
 I rostri avevano dimensioni notevolmente variabili a seconda della classe della nave da guerra a cui erano destinati.
 L'esempio meglio conservato di un ariete alettato è una fusione in bronzo proveniente da una galea del II secolo rinvenuta nel 1980 al largo della costa di Israele ad Athlit e attualmente esposto al museo navale di Haifa.

Il suo peso, di poco meno di mezza tonnellata, lo pone vicino alla media di una vasta gamma di rostri da combattimento.
 Il Deutsches Schiffahrtsmuseum di Bremerhaven, in Germania, è ad esempio in possesso di un ariete del peso di soli 53 kg, meno di un ottavo del peso dell'ariete di Athlit. Deve provenire da una classe di navi molto piccole, una "2" o anche una "1" (due o una serie rematori).
 Al contrario, gli scavi del monumento alla vittoria di Ottaviano ad Azio hanno rivelato che esso aveva lo scopo di esporre rostri, catturati ai vascelli maggiori della flotta di Antonio, che potevano pesare fino a 2 tonnellate.

 La chiave del successo di un attacco di speronamento era nella tempistica. Giudicare il momento esatto in cui frenare la barca coi remi per rallentare lo slancio dell'attacco era altrettanto importante che valutare correttamente la velocità e la traiettoria delle rispettive galee una volta che la nave attaccante aveva inquadrato il suo bersaglio.
 Alla battaglia di Chio (201 a.C.), Polibio racconta che la più potente nave della flotta di Filippo V di Macedonia, una "10", speronò accidentalmente una delle sue stesse navi proprio quando questa deviò dal suo cammino, sferrandole un potentissimo colpo in mezzo ai ponti rematori, al di sopra della linea di galleggiamento, e vi rimase incastrata, perché il timoniere non aveva avuto il tempo di controllare o invertire lo slancio della propria nave. Intrappolata, l'ammiraglia fu messa fuori combattimento da due navi nemiche di classe "5", che la speronarono sotto la linea di galleggiamento su entrambe le fiancate.
 Se la nave attaccante riusciva a colpire l'avversaria perpendicolarmente, era sufficiente una velocità anche di soli 2 o 3 nodi per provocare gravi danni. La velocità necessaria per effettuare un attacco di speronamento, invece, aumentava al crescere dell'angolo di impatto: dai 4 nodi necessari con un angolo di 60°, ai 5 nodi per i 45° e agli 8 nodi per un angolo di 30°. Da questi semplici dati si comprende come le navi più agili avessero molte più opzioni di attacco disponibili e che quindi una flotta ideale del periodo di Azio dovesse essere composta da una forza mista, con i grandi vascelli a tenere la linea e quelli più piccoli a cercare fianchi e le spalle del nemico.
 Gli abitanti di Rodi, veri specialisti nelle tattiche di speronamento, compensavano il peso di una maggiore protezione alla linea di galleggiamento, spostando alcuni uomini in avanti per ottenere l'abbassamento della prua appena prima dell'impatto, e quindi facilitando la penetrazione del rostro al di sotto della linea di galleggiamento.
 Era una tattica molto efficace perché una falla sotto la linea di galleggiamento avrebbe causato l'allagamento dello scafo più velocemente di una breccia delle stesse dimensioni al di sopra della linea stessa. In realtà, l'affondamento di un vascello era un evento raro, tanto che Tucidide riferisce sempre di navi poste fuori combattimento o allagate, e non semplicemente di navi scomparse tra le onde. La quantità di acqua che poteva entrare in uno scafo attraverso un foro rettangolare aperto al di sotto della linea di galleggiamento di, poniamo, 'b' metri di larghezza e 'h' metri di altezza sarebbe approssimativamente di 100 b (3/2h) tonnellate al minuto. Ad esempio, se la falla sotto il galleggiamento è di 1 metro per 1 metro, l'acqua entrerebbe nell'imbarcazione alla velocità di circa 150 tonnellate al minuto. Ma questo afflusso si stabilizzerebbe ben presto ad un livello insufficiente a superare la galleggiabilità naturale dello scafo, calcolabile in circa il 40% del suo peso. Nei fatti, più acqua penetrava nello scafo, più la nave colpita si abbassava nell'acqua, rendendo meno efficaci i remi e la nave meno maneggevole e più instabile, sbandando notevolmente ad ogni spostamento dell'equipaggio a bordo. Alla fine sarebbe stata praticamente immobilizzata ed esposta ad ogni minima bizzarria delle onde. Catturarla come bottino prima che un'onda un po' più forte completasse quello che il rostro aveva cominciato era quindi un imperativo.
 Dispiegare a bordo sufficienti fanti di marina per abbordare una nave nemica era molto problematico perché questa massa di uomini riuniti in un qualsiasi lato dello scafo avrebbe causato un'inclinazione della nave tale da ostacolare l'azione dei rematori nel momento più critico. La pratica standard doveva quindi essere quella di tenere le truppe il più possibile centrate lungo la linea mediana della nave fino a quando, giusto un istante prima del contatto, potevano finalmente scattare sull'obiettivo.

È noto che i romani ricorrevano al "Corvo", per abbordare le navi avversarie fin dai tempi delle guerre puniche. Era un sistema ideale per le navi maggiori, ma poco pratico per quelle più piccole.

Viene attribuita a Marco Vipsanio Agrippa l'invenzione dell'Harpax: l'uncino che vedete qui rappresentato che veniva lanciato tramite un'apposita catapulta, , per tirare a sé l'avversario, ed era molto difficile da rompere o da sganciare.

Il problema degli equilibri interni delle navi dell'epoca era tale da rendere necessaria una disciplina assoluta: ogni uomo doveva conoscere alla perfezione il proprio posto sulla nave e non doveva abbandonarlo mai senza un preciso ordine, pena la compromissione dell'equilibrio generale del mezzo. Questo valeva anche se non soprattutto in combattimento, perché era necessario ridistribuire i pesi per rimediare alle perdite da tiro o ad altre emergenze come gli incendi. Acquisire questa pratica richiedeva un lungo addestramento e un'altrettanto considerevole esperienza di combattimento: due qualità difficilissime da ottenere.
 nicola zotti

L'eredità di Chávez

Chi era Hugo Chávez?
Che ruolo ha avuto nella vita del Venezuela e del Sud America?

Il commento di Franco Capone, esperto di popoli e antropologia, e profondo conoscitore della realtà e della cultura sudamericana.

Milioni di persone a un funerale di Stato non si vedevano da tempo.
Per consentire a tutti di vederne il corpo, il governo ha anche pensato all'imbalsamazione, come per Lenin, Mao e Ho Chi Minh.
Ma nel cattolicissimo Venezuela l'omaggio ufficiale al comandante-presidente Hugo Chávez, 58 anni, si è svolto con un linguaggio per nulla materialistico:
"La sua anima era troppo grande e pura per restare prigioniera nel suo corpo e ora si innalza sopra di noi nell'universo per illuminare in Cristo i popoli" ha detto durante le esequie di venerdì 8 marzo, il vicepresidente Nicolas Maduro. Ma chi era Chávez? Hugo Chávez si è posto come un socialista cristiano che stava dalla parte dei poveri, che si ispirava al rivoluzionario Simon Bolivar, che nazionalizzò il petrolio del suo paese, il quarto produttore mondiale, dando del "diavolo" al presidente repubblicano George Bush all'Onu (con segno della croce) e regalando poi al democratico Obama un libro sull'imperialismo.
Una sorta di caudillo esibizionista e arrogante che ha censurato la televisione di stato e andava a braccetto con Fidel Castro, è invece la descrizione che ne hanno dato alcuni suoi oppositori.
I fatti comunque dicono alcune cose:
-Ha vinto 14 consultazioni popolari per presidenza, amministrative o referendum senza brogli, come certificato dagli osservatori internazionali.
-Ha dimezzato la povertà e mandato a scuola 2 milioni di bambini e giovani analfabeti.
-Ha portato i medici in villaggi sperduti o negli slum di Caracas, dove nessuno li aveva mai visti.
Una settimana prima della sua scomparsa, l'Onu ha confermato che il Venezuela guida il processo di riduzione della disuguaglianza in America Latina.
Per il segretario generale Ban Ki Moon "Chàvez si è battuto per le persone più vulnerabili , fornendo un contributo decisivo ai movimenti di integrazione regionale".
Contro la povertà Ha detto di lui l'ex presidente americano Jimmy Carter: "Sarà ricordato per la sua audace ricerca di indipendenza per i paesi latinoamericani, per il rapporto che stabiliva con chi lo seguiva, tanto nel suo paese come all'estero.
Nei 14 anni del suo governo si è unito ad altri leader dei Caraibi e del Sud America, per creare nuove fonti di integrazione e ha ridotto della metà la povertà nel suo Paese".
Il vecchio presidente Usa con questa affermazione di obiettività è sicuramente fra quelli che ricordano bene come erano una volta il Venezuela e gli altri paesi latinoamericani.
Dittature oligarchiche che praticavano la tortura e l'eliminazione fisica degli oppositori.
Uruguay, Paraguay, Bolivia, Brasile e lo stesso Venezuela (30 anni di dittatura militare) erano rette da generali, aiutati dall'amministrazione americana e dalla CIA a prendere il potere e a mantenerlo.
Governi democraticamente eletti, furono rovesciati da golpe, come nel 1973 in Cile.
I generali argentini buttarono dagli aerei nell'oceano migliaia di oppositori che divennero "disaparecidos".
Dittatori come Augusto Pinochet, seguendo gli auspici della School of Economics di Chicago, che "masterizzò" molti ministri dell'economia dei paesi golpisti, privatizzarono ogni possibile risorsa e struttura dei loro paesi.
Tutto documentato, per esempio, in due testi che bisognerebbe leggere:
la Fabbrica del consenso di Noam Chompsky e Shock Economy, di Naomi Klein. Prodotto da quel clima di terrore di stato, di sfruttamento e di svendita delle risorse nazionali, l'antiamericanismo non può essere considerato semplice invenzione della propaganda bolivarista, ma un linguaggio obbligato di quei leader che si sono proposti un nuovo corso, come appunto Hugo Chávez.

Fratellanza
"Nel 2004" racconta Maduro "il presidente ci disse: il capitalismo neoliberista non potrà mai portare giustizia e sviluppo al nostro paese.
Allora il Venezuela deve guardare alla sua storia rivoluzionaria, a Bolivar, e trarre gli insegnamenti giusti.
La nostra strada oggi è un socialismo di tipo americano, cristiano e democratico".
Proprio da lui, che decise di nazionalizzare il petrolio con il principale obiettivo di utilizzarne i proventi per ridurre gli indigenti che in Venezuela erano il 70 per cento su una popolazione di 25 milioni di persone, è nata una rete di " hermanidad" (fratellanza) fra nazioni , con presidenti impegnati in una politica antiliberista e di autonomia verso gli Stati Uniti e la Banca Mondiale, nella ricerca di uno sviluppo sostenibile.
Si tratta del Brasile rilanciato da Lula, alla cui presidenza c'è ora Dilma Dourseff.
Dell'Argentina di Cristina Kirchner.
Della Bolivia di Evo Morales.
Dell'Uruguay di Josè Mujica
Dell'Equador di Rafael Correa.

Mercato comune latino
Questi hanno il creato il comunitario Banco del Sur.
Oltre al Mercsur, un mercato comune latino americano.
C'è da parte di questi paesi un processo di ri-acquisizione di sovranità, redistribuzione della ricchezza, integrazione regionale e mondiale, di cui Chàves ha fatto da apripista.
Questo in sintesi il suo testamento storico per il Venezuela: continuare il processo d'indipendenza, costruire il socialismo democratico americano e la Grande America con gli altri paesi del continente, adoperarsi per un equilibrio mondiale multipolare e preservare il pianeta per le future generazioni.
"Ci vorrà un po' di distanza dai fatti per avere la misura della sua opera di democrazia reale verso le fasce popolari, e di integrazione dei popoli latinoamericani," dice il presidente uruguaiano Mujica " ma sarà da tutti riconosciuta come qualcosa di grande".

Il ricordo




Nella vita di ognuno di noi esiste un dono prezioso
Non potrà mai invecchiare!
Il suo valore è immenso senza prezzo
Riposa in fondo al cuore anche se rivive nella mente
Sembra dare tristezza ma fa bene all’anima
Si chiama ricordo.

Misterioso oggetto metallico di oltre 200.000 anni fa



Avete mai sentito parlare dell’oggetto alieno rivenuto ad Aiud, una cittadina della Romania? Per chi non lo conoscesse, si tratta di quello strano cuneo in alluminio immortalato nella foto in sovrimpressione. A quanto pare, risalirebbe a prima ancora che l’uomo scoprì come lavorare il metallo, ad oltre 200.000 anni fa. 

Un risultato davvero incredibile, riscontrato in seguito ad alcuni test richiesti proprio da diversi appassionati di ufologia. L’oggetto metallico è stato analizzato da alcuni scienziati di Losanna, in Svizzera. 
Fu scoperto nel 1973: è composto per il 90% di alluminio, il quale è stato scoperto dai ricercatori abbastanza recentemente, nel 1825. Oltre all’alluminio, vi troviamo per il 6,2% il rame, per il 2,84% il silicio, e poi: zinco 1,81%, 0,41% di piombo, stagno-0,33%, 0,2% di zirconio, cadmio, 0,11%, nickel, cobalto, bismuto, argento e addirittura qualche traccia di gallio. Molti, tra questi, sono stati scoperti dopo il 1850. 
 La lunghezza dell’oggetto è di 20 centimetri, la sua larghezza è 12 cm e la profondità è 10 cm. E’ stato definito un vero e proprio miracolo, secondo il rapporto di analisi n°380 NK-2, che è stato rilasciato dal Centro per la Ricerca e Design Magurele Platform per metalli radioattivi.
 Secondo un esperto ufologo, di nome Gheorghe Coha, dopo aver messo in conto tutte le prove si è giunti alla conclusione che si tratta di un pezzo di un UFO davvero antico: l’ennesima prova dell’esistenza degli extraterrestri. Soprattutto perché in tale periodo quell’oggetto non avrebbe mai potuto essere prodotto sulla Terra.

I ghiacci quello che ancora non sappimo

I ghiacci presenti sulla Terra influenzano il clima, l’assetto geologico e la vita sul nostro pianeta.
Eppure le interazioni molecolari che sono alla base della formazione del ghiaccio sono ancora in gran parte sconosciute:
un articolo su Nature ci aiuta a fare il punto su tutto quello che ancora non sappiamo. La forma solida dell’acqua gioca un ruolo chiave nel nostro ecosistema: anche se spesso ce ne dimentichiamo, è proprio dalle immense distese di ghiacci presenti sulla terra che dipendono fenomeni in grado di influenzare a livello globale il clima, l’assetto geologico e la vita sul nostro pianeta.
Eppure le interazioni molecolari che sono alla base della formazione del ghiaccio sono ancora in gran parte sconosciute.
In un articolo pubblicato sulla rivista Nature, Thorsten Bartels-Rausch (scienziato del Paul Scherrer Institute di Villigen in Svizzera) fa il punto su tutto quello che ancora non sappiamo su ghiaccio e neve.
Si fa presto a dire ghiaccio I cristalli di ghiaccio sono composti da molecole di acqua legate tra di loro da legami idrogeno a formare una struttura tetraedrica.
Ad oggi, sono stati descritti diversi tipi di strutture cristalline dell’acqua, come ad esempio i cristalli esagonali dei fiocchi di neve.
Ma che cosa influenza la formazione di una struttura cristallina piuttosto che un’altra?
Tutto dipende dalle condizioni ambientali in cui il processo si verifica.
Al variare delle condizioni di pressione e temperatura, le molecole d’acqua adattano la loro conformazione in modo da minimizzare il loro stato energetico, portando alla formazione di diversi tipi di ghiaccio.
Dal punto di vista macroscopico, le diverse transizioni di fase non hanno più molti segreti per gli scienziati.
Ma lo stesso non si può certo dire delle alterazioni che avvengono a livello microscopico: capire nel dettaglio come si modifichino le interazioni molecolari durante i passaggi di fase è fondamentale per poter riprodurre questi fenomeni in laboratorio e creare simulazioni al computer che permettano di prevedere l’impatto che variazioni di temperatura e pressione hanno sulla formazione e sul mantenimento del ghiaccio.
Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che il ghiaccio non sempre si presenta come un’ordinata formazione cristallina.
Esistono formazioni amorfe o “metastabili” sulle quali si sa ancora molto poco. Ad esempio, formazioni amorfe di ghiaccio potrebbero essere comuni sulle comete, dove l’acqua condensa a temperature estremamente basse.
Ma queste stesse formazioni potrebbero presentarsi anche sulla Terra?
In quali condizioni?
L’analisi di queste fasi metastabili purtroppo è ancora agli inizi, a causa della difficoltà di distinguere le diverse formazioni.
In futuro, analisi ai raggi X e studi sulla diffrazione dei neutroni potrebbero fornire la risposta, ipotizza Thorsten Bartels-Rausch.
Ghiaccio sporco: la chimica delle impurità congelate
La superficie del ghiaccio è il punto in cui i cristalli d’acqua interagiscono con l’atmosfera e con tutto ciò che essa contiene.
In superficie, la struttura cristallina perde il suo caratteristico ordine e i legami-idrogeno dei cristalli di ghiaccio interagiscono con le impurità presenti nell’aria, come molecole di metanolo, acetone e acido nitrico.
Quello che ancora rimane da chiarire è come queste interazioni cambino a seconda delle condizioni di pressione e temperatura, così come non è chiaro come le impurità vengano intrappolate nel ghiaccio e nella neve e come esse influenzino il mantenimento dei ghiacci perenni.
Una volta catturate, le impurità rimangono intrappolate nel ghiaccio anche per centinaia di anni: man mano che i ghiacci si sciolgono, queste sostanze possono però venire rilasciate nell’atmosfera.
Si tratta di un fenomeno tutt’altro che trascurabile: ad esempio, è stato dimostrato che le molecole di acido nitrico possono formare idrati solidi con l’acqua ghiacciata, contribuendo in modo significativo all’impoverimento dello strato di ozono nella stratosfera terrestre.
Ecco perché chiarire le dinamiche alla base dell’interazione tra impurità e ghiaccio rappresenta un passo fondamentale per capire l’evoluzione futura del nostro ecosistema terre ghiacciate: per quanto tempo ancora?
I dati acquisiti dai satelliti in orbita attorno al nostro pianeta indicano che nell’Artico i ghiacci perenni diminuiscono del 10% ogni dieci anni.
In modo analogo, anche l’estensione dei ghiacciai Antartici o della Groenlandia sta rapidamente diminuendo.
Ma queste osservazioni, pur fotografando la situazione attuale, non ci dicono molto su quello che può essere il futuro declino di queste distese di ghiaccio. Solo una conoscenza più approfondita dei fenomeni chimici e fisici alla base dello scioglimento potrà aiutarci a prevedere cosa ne sarà dei ghiacci del nostro pianeta nel prossimo secolo, sostiene Bartels-Rausch.
Tante domande, a quando una risposta?
Molte delle domande riportate da Bartels-Rausch nel suo articolo sono ancora prive di una risposta.
Ma questo non significa che non ci sia chi sta già lavorando in questa direzione.
Numerosi gruppi di ricerca hanno unito le loro forze in programmi di studio focalizzati proprio sulla chimica-fisica del ghiaccio e sulle dinamiche che sono alla base della sua formazione o del suo scioglimento.
Tra questi si distinguono il progetto internazionale per lo studio delle caratteristiche chimiche dell’atmosfera (International Global Atmospheric Chemistry project, volto a capire le alterazioni molecolari che avvengono a livello dell’interfaccia aria-ghiaccio), il programma europeo Micro-DICE (focalizzato sulle microdinamiche di formazione del ghiaccio) e ArcRisk (incentrato sull’evoluzione futura dei ghiacci artici e dei fattori che ne mettono a rischio il mantenimento).
Senza una conoscenza approfondita di come venga a formarsi il ghiaccio è impensabile poter ricostruire in laboratorio modelli attendibili per prevedere che cosa accadrà in futuro della porzione ghiacciata del nostro pianeta: una conoscenza che, sottolinea Bartels-Rausch, è indispensabile acquisire prima che i ghiacci scompaiano del tutto.

Un gatto davvero sorprendete... guardate cosa riesce a fare!

La popolazione che vive in media 130-140 anni



Il sogno di tutti gli uomini, da sempre, è quello di vivere il più a lungo possibile, poiché la morte è un interrogativo misterioso e temuto da chiunque. Ma al mondo c’è anche chi riesce ad allontanare più possibile tutti quei fattori nocivi che potrebbero portare alla morte, come ad esempio il popolo degli Hunza: essi non conoscono nessuna delle comuni patologie degenerative, come il cancro o le malattie del sistema nervoso. 
Oggi, scopriremo insieme diversi aspetti interessanti di questa gente.Sono confinati al nord del Pakistan, e si trovano precisamente dentro una valle sulla catena dell’Himalaya. Il loro record è presto detto: sono la popolazione più longeva al mondo, da tutti i tempi. Nonostante non dispongano della nostra tecnologia, e dunque non avendo neanche la possibilità di usufruire di eventuali cure mediche, dopo aver superato i cento anni riescono ancora a lavorare, a curare i propri figli e a fare tante altre cose che noi non ci sogniamo di fare neanche dopo i 70 anni.

Anche le donne Hunza riescono ad essere ancora attive dopo i 90 anni, davvero incredibile! Come potrete immaginare, sono molto più giovanili di noi, sia fisicamente che mentalmente. 
Ma qual’è il loro segreto? Probabilmente, il lungo digiuno al quale si sottopongono volontariamente ogni anno, o anche l’alimentazione vegetariana e uno speciale tipo d’acqua, quella alcalina, che fortunatamente scorre nelle loro terre.

Di cosa si cibano? Gli Hunza mangiano solo ed esclusivamente i frutti della natura, e a causa di ciò durante l’inverno soffrono dei brutti periodi di carestia. Ma sono loro stessi ad adottare un digiuno terapeutico: è così che viene definito dai naturopati. 
Vengono coltivati frumento, orzo, grano saraceno e verdure da orto, come pomodori, piselli, rape, spinaci e cavoli. Anche la frutta c’è in abbondanza: sono tanti gli alberi di noci, ciliegie, melograni, pere, pesche, albicocche e more. Se pensate che il digiuno li indebolisca, vi sbagliate, eccome: pensate che un Hunza riesce addirittura a camminare per ben 200 km con un andatura spedita, senza mai fare neanche una pausa.

Come si orientano gli uccelli

Come funziona il GPS degli uccelli? 
Due studi gettano nuova luce sulla percezione dei campi magnetici da parte
degli uccelli sfatando vecchie convinzioni e svelando nuove possibilità
  Gli uccelli sono straordinari viaggiatori, in grado di coprire grandi distanze senza perdere mai la rotta.
Da tempo gli scienziati sospettano che l’orientamento degli uccelli debba molto alla capacità di percepire variazioni del campo magnetico terrestre. Come se gli uccelli avessero un vero e proprio GPS integrato: sì, ma dove? Questa è una delle domande su cui gli scienziati ancora si accaniscono.
Che gli uccelli si affidino ai campi magnetici per seguire la rotta sembra ormai assodato, ma quali siano le strutture che – fisiologicamente – permettano loro di farlo, è una questione tutt’altro che chiusa.
Magnetocettori: il GPS degli uccelli Occhi, becco e orecchio interno: queste sono le strutture anatomiche su cui si sono a lungo concentrate le scommesse degli scienziati, quelle in cui si troverebbero i recettori che permettono agli uccelli di «sintonizzarsi» con il campo magnetico.
Questi recettori – chiamati magnetocettori o magnetorecettori – permetterebbero di percepire la direzione e l’intensità del campo magnetico terrestre, informando gli uccelli sulla loro posizione, altitudine e direzione di volo.
Proprio come farebbe un navigatore GPS.
Ma dove si trovi, nello specifico, questo GPS degli uccelli non è ancora chiaro. In passato, accumuli di magnetite erano stati rinvenuti all’interno del becco dei piccioni: una scoperta che aveva fatto pensare che proprio qui si trovasse la bussola interna degli uccelli.
Uno studio uscito recentemente sulla rivista Nature sfata tuttavia questa ipotesi, dimostrando che quelli che si pensavano essere neuroni contenenti grandi quantità di Ferro – e probabilmente preposti a captare i segnali del campo magnetico – altro non sono che macrofagi con accumuli di Ferro al loro interno.
Tutto da rifare? Non del tutto, come dimostra uno studio pubblicato – quasi in contemporanea – dalla rivista Science.
Alla ricerca del GPS degli uccelli: i neuroni vestibolari e l’orecchio interno All’interno dell’orecchio interno, si trova una regione chiamata lagena: qui ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston, in Texas, hanno identificato cellule in grado di decodificare informazioni relative alla direzione del campo magnetico, così come della sua intensità e polarità.
Per scoprirlo, gli scienziati hanno rinchiuso sette piccioni (Columba livia) all’interno di una stanza buia.
Poi, hanno generato un campo magnetico in grado di annullare il campo magnetico terrestre. Infine, i ricercatori hanno monitorato l’attività cerebrale dei piccioni, man mano che il campo magnetico veniva modulato in modo artificiale.
I risultati dello studio puntano il dito verso i neuroni del sistema vestibolare dei piccioni: al cambiamento dell’intensità o direzione del campo magnetico queste aree neuronali hanno risposto con un’attivazione maggiore rispetto a tutte le altre.
I neuroni vestibolari sono già stati in passato ricollegati al sistema che, nell’orecchio interno, permette di controllare il senso di equilibrio.
Ebbene, gli stessi neuroni potrebbero essere coinvolti in un più generale senso dell’orientamento e della posizione.
Lo stare fermi in equilibrio in un posto o il viaggiare mantenendo la stessa rotta potrebbero, dal punto di vista fisiologico, rappresentare due facce della stessa medaglia.

Il sogno del popolo italiano

Io non so se questo sarà mai possibile conoscendo ormai bene gli elementi di cui si parla.
Non so se gli intrallazzi, gli inciuci, le connivenze il clientelismo, gli appoggi ad alte sfere della finanza e dell'industria ormai già radicati da oltre trent'anni li indurrebbero a mollare.
Certo sarebbe già un bel traguardo riuscire in quest'intento.
Soldi che distribuiti equamente fra le categorie del popolo più bisognose potrebbero risolvere i più impellenti bisogni di queste persone
Ma al di là del populismo (e io mi sento orgogliosa di esserlo nell'accezione della parola),bisogna fare leggi nuove POCHE, ESSENZIALI,CHIARE E CATEGORICHE (ne abbiamo migliaia e tutte largamente interpretabili a discernimento e a uso e consumo di pochi )
Le leggi non devono dare adito ad interpretazioni di chicchessia ma giuste e insindacabili per tutti.
So che è un utopia ma chissà spero ancora in una politica fatta:
Per la nazione e per il popolo
o

Hanno solo 22 giorni quando vengono strappati alle madri e barbaramente uccisi....pensaci prima di mangiarlo

Prima di pasqua
Per pasqua 

Non è una tradizione cristiana Gesù era un rabbi Esseno e come tale non mangiava assolutamente carne
Agnello di Dio non significa sacrificare agnelli per pasqua anzi semmai il contrario
Gli uomini hanno immolato un essere innocente e puro
Atto assolutamente esecrabile
Questa è un usanza:
che non trova alcun riscontro nella vera religione
Ha solo un interesse commerciale

In genere è proprio così

Pomodorini farciti di primavera

Ingredienti

Pomodorini
Formaggio a piacere (tipo spalmabile)
Erba cipollina
Gambi di cipollotto
Sale pepe olio

Preparazione

Incidete i pomodorini per 3/4 svuotateli delicatamente dei semi e polpa (Non buttateli frullati con una goccia si angostura sale pepe e limone sono un ottimo aperitivo)
Fate un buchetto in fondo per inserite il gambo di cipollotto togliere le foglie in modo da farlo più piccolo (non buttarle tagliate a pezzettini e mettele in vaschette nel frizer sono un ottimo insaporitore)
Amalgamate il formaggio con un poco d'olio d'oliva sale e pepe e erba cipollina sottilissima farcite i pomodorini utilizzando se lo avete un sacchetto da pasticceria con beccuccio liscio oppure utilizzate un cucchiaino (in questo caso serve molta delicatezza)
Inserire il gambo di cipollotto e formare un mazzo magari chiudendolo con un bel nasto
Si possono appoggiare su un vassoio coperto da foglie d'insalata
I complimenti non vi mancheranno

Lucine fai da te per il vostro posto all'aperto

Sta arrivando la bella stagione che bello rilassarsi e mangiare sul terrazzo, giardino o balcone
Di sera queste lucine sono bellissime e allegre
Il riciclo fa bene alla natura e a noi (portafoglio compreso) Materiali
La parte iniziale delle bottiglia di plastica
Colori acrilici
pennello
nastro adesivo verde
cartoncino verde
Colla a caldo o colla per plastica 

Passaggi 
N° 1  
 N°2  






N°3 
N°4 se siete pigri utilizzate bottiglie già colorate

Fare dei buchi adatti nel tappo della bottiglia (con una cacciavite arroventato sul gas) avvitare e ricoprire con nastro adesivo verde
Inserire le lucine di Natale e fissare con una goccia di colla a caldo (in commercio ci sono queste pistole le vendono già con i cilindretti di colla adeguati)(costa circa 5/6 euro ed è utilissima per incollare istantaneamente qualsiasi materiale)
Per le foglioline o le ritagliate su cartoncino o ci sono in commercio foglie di plastica o altro materiale incollatele con una goccia di colla a caldo
Un effetto strabiliante vedere per credere

Chi ben comincia è a metà dell'opera




Bergoglio si è recato di buon'ora in chiesa:
"Fatevi guidare dalla misericordia".
Ha scelto il suo motto: "Miserando atque Eligendo".
Il portavoce vaticano riferisce i dettagli dell'elezione:
"Ha detto ai cardinali 'Dio vi perdoni'.
Poi non è voluto salire sul trono".
Al rabbino di Roma: "Pronto a progresso relazioni"
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