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sabato 8 giugno 2013

L'origine delle polene



"Polena" è il nome che designa, nell'area mediterranea, una figura scolpita, posta sulla prora delle imbarcazioni, che fu un elemento indispensabile della nave, specialmente nei secoli XVII e XVIII fino a tutto il XIX. 
Anche l'origine del suo nome, curiosamente collegato alla moda delle calzature, dal francese poulaine e precisamente souliers à la poulaine, risale presumibilmente al secondo decennio del Seicento. 
In quel periodo la struttura della prua delle navi subisce un cambiamento: la sua estremità, da diritta, aggettante e bassa sul mare, diventa un tagliamare tondeggiante che si ripiega all'indietro verso il castello prodiero. Può darsi che i primi modelli di questi vascelli, presentati alla corte francese, suscitassero in qualche buontempone un'analogia con la forma degli stivaletti dei cavalieri polacchi, noti per avere la punta tonda e rivolta all'indietro; e poi nel giro di qualche tempo l'allusione scherzosa, che in origine designava tutta la prora, rimase come nome della figura che la sormontava. 

Ma certo l'uso di decorare la prora delle navi con immagini pittoriche o sculture è molto più antico: sembrerebbe infatti risalire alla battaglia di Salamina (480 a.C.), quando l'ateniese Licomede avrebbe offerto ad Apollo le insegne della prima nave persiana catturata. L'usanza nasce o come segno di scaramanzia contro le potenze avverse presenti nell'immaginario collettivo della gente di mare, oppure di ossequio verso le divinità, per ottenerne tutela nel corso della navigazione.

Così troviamo nell'area mediterranea, sulla parte anteriore delle navi egizie, greche e romane, elementi distintivi quali il vello votivo dell'animale sacrificato agli dei prima della partenza, oppure l'apposizione di un occhio apotropaico, atto a tener lontane le influenze maligne. 
Nella tradizione orientale quello era l'occhio della nave, intesa come creatura vivente, capace di scegliere da se stessa la rotta migliore. Quando la nave acquista una coppia di occhi prodieri, diventa simbolicamente un essere vivente che sa riconoscere il cammino e, guardando, sa salvarsi dal malo occhio della sventura. 
A volte tale elemento distintivo è un rostro, a forma di testa di animale, o una decorazione in cima alla ruota di prua; e su questa verranno applicate le prime sculture che potremmo paragonare alle polene.
 Anche i navigatori del Nord, i Vichinghi e poi i Normanni, dotarono le navi con le quali effettuavano le loro scorrerie, di teste e forme mostruose, sicché le loro vittime, quando venivano attaccate, erano per prima cosa atterrite dalla visione di mostri marini orrendi, e gli assalitori si trovavano così in posizione di vantaggio.

Durante il Medioevo le navi appaiono particolarmente spoglie, prive di polene e di sculture decorative particolari. 
Ciò si verificò non certo perché i marinai medievali fossero meno religiosi o superstiziosi, o più razionali di quelli che li avevano preceduti, anzi la loro grande religiosità è attestata dalla celebrazione di riti, dalla benedizione delle navi, dalla dedicazione di ogni imbarcazione a uno o anche più santi; solo che la collocazione delle statue votive non era più esterna alla nave, ma interna: nasce infatti in quel periodo l'uso di sistemare un piccolo altare con un'immagine sacra nel cassero poppiero, dove viene celebrata la liturgia domenicale. 
 Le polene riappaiono sulla prua delle navi nella seconda metà del secolo XV e nel corso del XVI, per effetto dell'incremento dell'orgia decorativa nella costruzione navale in epoca barocca, non tanto per una questione di gusto, quanto per la competizione che si è instaurata per il controllo del mare sia nel bacino mediterraneo, sia nel Mare del Nord.

 Nel 1543 l'inglese Jeffrey Bythane scrisse un trattato sulla necessità di decorare i vascelli, affinché onorassero la bandiera patria con l'opulenza dei propri ornamenti. L'uso di stucchi e dorature fu quindi introdotto in Inghilterra da James I (1566-1625), immediatamente imitato dalle altre Marine. Somme ingentissime vengono spese per costruire, armare e decorare galee e galeoni. Genovesi e Veneziani, Spagnoli, Inglesi, Svedesi e Francesi fanno a gara nel varare splendide navi, curate nei minimi particolari e dotate di decorazioni impressionanti e di elaborate polene. 
Queste, nella maggior parte dei casi sono "gruppi" di personaggi o motivi tipici, ma raramente identificabili in una sola figura

 Come esempio emblematico inglese basti ricordare il Sovereign of the Seas, la nave più grande del'epoca, di 60x17 metri, armata con 100 cannoni, opera di Phineas Pett, mentre alle decorazioni provvide Anton van Dyck, allievo di Rubens. La polena rappresentava re Edgardo il Pacifico in groppa a un bianco destriero, trionfante su sette re nemici, a simboleggiare la vittoria della virtù sui sette peccati capitali.

In Francia l'esempio più grandioso è rappresentato dal Soleil Royal, una fregata da 104 cannoni, costruita a Brest nel 1669 e decorata da Pierre Puget, allievo di Pietro da Cortona. Solo nel corso del Settecento la riduzione degli ornati isolerà sempre di più la figura prodiera, e questa si semplificherà, divenendo un personaggio dalle caratteristiche definite.
 Siamo giunti finalmente alla nascita della polena nel vero senso della parola.

In tutta Europa l'arte della fabbricazione di polene per le navi militari e mercantili fiorì fino alla fine del secolo XIX.
 Esse erano ormai, come abbiamo detto, meno elaborate e ricche di ornamenti e in genere costituite da una sola statua, però curata nei minimi particolari, anche nella colorazione e nelle dorature, da un artista specializzato che lavorava su commissione in ogni arsenale.

 I filoni di ispirazione per lo scultore di bordo erano costituiti, come nei secoli precedenti, da animali: leoni, cavalli marini, delfini, o i mitici grifone e unicorno; o da figure di dei ed eroi mitologici, a volte da ritratti di monarchi, da busti di frati o di santi; infine da immagini femminili, in contrasto con la tradizionale avversione dei marinai per la presenza di donne a bordo, considerate portatrici di sventura: Veneri, anfitriti e sirene, ma anche fanciulle e donne reali raggiunsero una notevole popolarità.

Ma l'evoluzione dei sistemi di costruzioni navali e l'uso incalzante del metallo nella struttura delle imbarcazioni, resero col tempo quasi inutile il lavoro degli scultori negli arsenali. Già alla fine del Settecento gli Ammiragliati avevano ridotto gradatamente gli stanziamenti destinati alle decorazioni navali; gli assicuratori protestavano che si trattava di un orpello inutile e superato, oltre che pericoloso: le polene erano destinate a scomparire del tutto. Solo pochi piccoli armatori privati continuarono a dar lavoro ad artigiani indipendenti per l'esecuzione degli elementi ornamentali delle navi a vela, nel periodo del massimo splendore di quel tipo di navigazione nel secolo XIX.

Oggi qualche polena viaggia ancora sotto il bompresso di navi scuola, ma esse si possono trovare ormai solo nelle mostre e nei musei navali, allestiti in molte città di mare nel mondo; oppure in repliche e copie, di cui il favore degli amatori del genere ha favorito la diffusione, negli hotel, nei ristoranti sul mare e nelle case di collezionisti privati, come lampante testimonianza di quanto fascino esse esercitino ancora, grazie alla straordinaria capacità di evocare un passato eroico e fiabesco, irto di pericoli e di ostacoli, ma sempre avvincente ai nostri occhi.

23-10-1961: Incendio e affondamento della nave passeggeri Bianca C.

Il Territorio Nazionale di Grenada (Mar dei Caraibi) è composto dalle isole: Grenada – Carriacou – Petite Martinique. La bandiera di Grenada fu introdotta nel 1974. Il verde sta per la vegetazione, il giallo per il sole e il rosso é simbolo di armonia e unità. Le 7 stelle sono le aree amministrative originarie. La noce moscata è il simbolo internazionale dell’ “Isola delle Spezie” e la rappresenta in tutto il mondo.

St. George’s è la capitale dell’arcipelago ed è situata in cima ad un promontorio che domina il Carenage, l’area portuale disegnata a ferro di cavallo. Arrivando dal largo, svettano due forti (F. George e F. Frederick), e poco più sotto alcune chiese, ma l’occhio viene subito catturato da alcuni edifici coloniali e da un mercato molto colorato. Le strade sono strette e tortuose, le case in pietra e mattoni hanno i tetti rivestiti di tegole rosse. Nel Carenage, oggi attraccano le navi da crociera. Questo è uno dei porti più sicuri dei Caraibi perchè si trova all’interno nel cratere di un vulcano spento; ma il pericolo è sempre in agguato! A ricordarcelo è una piccola statua, la copia minore del Cristo degli Abissi, che é posta in “secco” sulla banchina principale dell’emiciclo portuale. Questo simbolo della nostra marineria fu donato dalla Società genovese-rapallina “Costa” agli abitanti di Grenada per la coraggiosa opera di soccorso offerta ai naufraghi della nave passeggeri italiana Bianca C.
 Ed è proprio di questo tragico avvenimento che vi vogliamo parlare.

La nave proveniente da Napoli e diretta a La Guayra (Venezuela), aveva fatto scalo a Grenada e il 22 ottobre 1961 si trovava all’ancora nella baia tropicale di St. George’s.

Tutto accadde improvvisamente per effetto di una violenta esplosione allo starter del motore di sinistra, che provocò un incendio al quadro elettrico della Sala Macchine. 
In coperta si era appena concluso lo sbarco dei visitatori e l’imbarco degli escursionisti, la nave era in partenza. I passeggeri ammontavano a 362, mentre l’equipaggio era formato da 311 marittimi, in gran parte rivieraschi, il resto era campano.
 Le vittime furono due: il genovese Natale Rodizza, 2° macchinista di 33 anni e lo spezzino Umberto Ferrari, fuochista di 50 anni. Con un’operazione di salvataggio da manuale, diretta e condotta dal comandante genovese Francesco Crevato, furono immediatamente calate in mare le scialuppe di salvataggio da ciascun lato della nave che, per effetto dell’acqua imbarcata in funzione antincendio, cominciò ad inclinarsi da un lato.

I passeggeri riuscirono a raggiungere la spiaggia anche e soprattutto per il tempestivo intervento di numerose imbarcazioni locali, che non temettero certo di avvicinarsi alla nave in fiamme.
 Fu proprio per il coraggio di questi grenadini che fu possibile salvare quasi settecento persone in meno di un’ora. In seguito, per la loro sistemazione, si attivò soprattutto la Croce Rossa Internazionale installando tende e brande nel campo sportivo di Grenada, dove i naufraghi furono alloggiati per tre giorni.
 Notevole ed instancabile fu la partecipazione di tutti gli isolani alla complessa operazione di soccorso che aveva coinvolto a suono di tam-tam l’intera popolazione dell’isola e la loro opera d’accoglienza fu apprezzata anche e soprattutto dal punto di vista umano e psicologico, come il tranquillizzare gli atterriti scampati... ancora sotto shock. 
I naviganti lo sanno molto bene: nulla è più terrificante di un incendio a bordo di una nave.
 Una preziosa testimonianza di quella disavventura caraibica ci viene proprio da un noto commerciante rapallese, Benedetto Pellerano, che all’epoca era l’operatore cinematografico di bordo e che, nonostante il grave incidente di percorso.....rimase fedele alla Costa Armatori per circa vent’anni. 

“L’incendio partì dalla sala macchine ed in breve tempo si propagò dappertutto. Io mi avviai, come da regolamento, nel locale CO2 dove erano installate le grosse bombole per la distribuzione del prodotto antincendio. Persi i sensi e mi svegliai tra le braccia del marinaio Maddalena che sicuramente mi salvò la vita trascinandomi verso una lancia di salvataggio. Mentre ci allontanavamo dalla nave in fiamme e quindi dal pericolo, forse non mi crederà, ma non eravamo contenti, un pezzo della nostra vita era lì e se ne stava andando, mentre i nostri compagni erano ancora in pericolo...Rivissi quella scena come un incubo per molti anni e ancora adesso, durante qualche notte insonne, mi ritrovo ancora là, ai Caraibi, mentre mi allontano dalla Bianca C. Giunti a terra, ci fu una gara di solidarietà tra la gente del posto che quasi litigava per prelevarci e portarci al sicuro verso le loro case. Il nostro gruppetto, formato da sei persone, fu subito prelevato ed allontanato su un piccolo furgone ed avviato verso una strana altura. La nostra meraviglia fu completa quando ci trovammo davanti alla prigione coloniale che stavano evacuando per sistemarci alla buona. Fummo tranquillizzati... e poco dopo provvedemmo a tirarci su il morale a modo nostro, nel frattempo al gruppo si erano aggiunti i carcerieri e qualche malandrino.. ci contammo e buttammo gli spaghetti a cuocere nei buglioli “penali”. Dopo tre giorni la M/n Surriento” della Linea Lauro ci riportò in Italia dalle nostre famiglie.
 Il comandante Francesco Crevato, lambito dalle fiamme, dirige stoicamente le operazioni di salvataggio/Capt. F.Crevato was in charge for managing the emergency on the Bianca C.

 Anche l’agonia della Bianca C. durò tre giorni, il tempo necessario alla fregata militare inglese H.M.S Londonderry di giungere da Portorico, agganciare la nave e rimorchiarla verso Point Salines. Purtroppo i cavi si spezzarono, l’impresa di trainarla in precarie condizioni di sicurezza non riuscì e la Bianca C., abbandonata a sé stessa, colò a picco il 25.10.61 a tre miglia al largo di Grenada. A distanza di 47 anni, il suo relitto giace su un fondale di 50 mt. ed è oggi fra le mete subacquee più conosciute del Mar dei Caraibi.


L’elegante Bianca C. (18.000 t.s.l.) fu la prima nave da “crociera di lusso” della Costa Line. 
Il suo debutto avvenne alla fine degli anni ’50 e si distinse subito per una notevole innovazione: l’offerta di suites con veranda privata per i VIP, curiosamente ricavate nello scafo, secondo un modello che sarebbe riemerso soltanto negli anni ’90, con la classe Fantasy della Carnival L. e definitivamente consacrato dalla celebre Queen Mary 2.
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