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venerdì 30 maggio 2014

Breve storia dell'iris


L'iris deve il suo nome alla sua iridescente corolla. 
 Fin dall'antichità è stato associato all'arcobaleno per i suoi variegati e cangianti colori.
 Nell'antico Egitto è associato al Dio Horus, simbolo del potere divino e lo si trova rappresentato sui muri di alcuni templi e nei decori dei palazzi accanto al papiro e al fior di loto.
 Si narra, anche, che le prime specie di questo fiore furono trasferite in Egitto dal faraone Thutmosis dalla Siria 
 Nella mitologia greca l'iris e i suoi colori cangianti divennero il simbolo dell'arcobaleno e dunque del legame tra il mondo degli dei e quello degli uomini .
 Iris o Iride, si chiamava anche la messaggera di Zeus e Era, figlia di Taumante ed Elettra che viene rappresentata come una dea alata, vestita di un velo leggero ornato dai colori dell'arcobaleno ,il suo ruolo era accompagnare le anime delle donne defunte nel regno dei morti.
 La leggenda vuole che Iride, quando attraversava il cielo per comunicare le notizie agli dei, lasciasse appunto un arcobaleno.


In un simbolismo comune a molte culture, l'arcobaleno rappresenta il ponte tra il cielo e la terra, l'arco teso a collegare gli dei e gli uomini: è la scala dai sette colori per la quale il Buddha ridiscende sulla terra; nella Bibbia, è il simbolo della nuova alleanza tra Dio e gli uomini. 
Nel regno arabo era usanza piantare ciuffi di Iris in prossimità delle tombe dei guerrirei morti in battaglia e ancora oggi nei cimiteri musulmani dell'Himalaya persiste questa tradizione.
 Sebbene sia splendido e facilmente identificabile, l'iris è incappato nella singolare sorte di essere continuamente confuso con il giglio.
 Il giglio francese, per esempio, cioè quello che compariva sullo stemma dei re transalpini, altro non è che un iris.
La storia narra che Luigi VII (re di Francia dal 1137), uscito vittorioso da una battaglia, abbia voluto fare di questo fiore il suo emblema perché il campo su cui si era svolto il conflitto ne era letteralmente invaso.
 Il popolo, allora, lo soprannominò fleure-de-Louis (fiore di Luigi), ma a causa della pronuncia contratta diventò ben presto fleur-de-lys, cioè fiore di giglio.
 Lo stesso errore viene commesso, per ragioni non chiare, anche in Italia: il nome botanico del giglio di Firenze, infatti, è Iris florentina. L'iris non a caso compare nello stemma della città perché cresce copiosamente nei campi che la circondano. 

 Il significato associato a questo fiore è messaggio quello di annuncio, buona novella e deriva, com’è facilmente intuibile, dalla leggenda greca .
 Questo fiore quindi, trasmette messaggi positivi e va regalato per comunicare che ci sono novità o buone notizie nell'aria, oppure per fare gli auguri a chi sta per intraprendere qualcosa di importante.


Attenzione però all' iris giallo , che va regalato in casi molto particolari... il suo significato infatti è "Ardo di passione per te".

Rinnovabili: in Italia un errore dopo l'altro

Un vecchio adagio dice che una visione senza un piano è un sogno e un piano senza una visione è un incubo: in Italia noi siamo riusciti negli ultimi 20 anni a fare entrambe le cose.
Dal punto di vista energetico, quello che è stato fatto in questo Paese è un errore dietro l'altro.
Per abolire il nucleare, all'indomani del disastro di Chernobyl, abbiamo lanciato il progetto di metanizzazione del Paese con enormi capitali pubblici concessi a mani basse e con una produzione da energia elettrica da gas che è passata dal 2002 al 2012 da 53 Gigawatt a 78 Gigawatt, un caso unico nel mondo.



Il gigantesco progetto da 15 mila Megawatt del nucleare in Italia è stato abbandonato per via dell'incidente alla centrale giapponese di Fukushima, ma altrimenti sarebbe stato realizzato.
E questo anche in presenza di centri studi che avevano già analizzato il fenomeno della curva della produzione energetica e che già avrebbero potuto dire in anticipo che quei 15 mila Megawatt non sarebbero serviti!
Adesso abbiamo finalmente avuto la SEN, la Strategia Energetica Nazionale, che è un altro errore. Una strategia senza un piano. Abbiamo disegnato uno scenario tendenziale ma non abbiamo detto come dobbiamo raggiungerlo, per cui ancora una volta l'Europa ci scavalca a destra, andando a fare una modifica da 20-20-20 a 40-30-40: il che significa, dal punto di vista della produzione elettrica dalle rinnovabili, una quota del 48% al 2030.
Ma è stato detto ai produttori da fonte fossile?
O vogliamo vedere nel tempo ripetersi altri casi Sorgenia, con il fallimento a catena di chi ha investito in quel settore credendo nell'impostazione che il legislatore aveva dato, e che purtroppo oggi si ritrova col prezzo dell'energia che scende sotto i 50 euro a kilowatt/ora, cosa che rende impossibile recuperare gli investimenti fatti?
E in questo scenario abbiamo il legislatore che anticipa uno spalma-rinnovabili che ovviamente metterà le imprese tecnicamente in default e alla mercé delle banche, che potranno decidere se concedere o non concedere lo slittamento o se magari vessare ulteriormente le imprese strappando degli spread per ottenere quell'allungamento.
Chi ha oggi gli impianti in carico sono gli operatori finanziari che hanno comprato sul secondario o sul primario quando ormai era già finito tutto il processo: oggi vedono ritorni molto bassi e guardano ovviamente con preoccupazione a questa ulteriore ristrettezza.
In questo contesto, certamente le smart grid rappresentano il futuro. Ma autoproduzione e autoconsumo nel nostro Paese devono trovare la giusta integrazione con le esigenze di una rete elettrica nazionale preesistente.
Quindi è prevedibile che sarà più facile, in questa fase, applicare questa tecnologia all'estero, in Paesi in cui non c'è una rete elettrica nazionale e probabilmente l'energia va prodotta dove serve, come India, Cina, Brasile, Turchia, Russia. Parafrasando Tacito, ULTERIORA MIRARI PRAESENTIA SEQUI: noi operatori del settore possiamo guardare al futuro vivendo nel nostro tempo, purché il legislatore ci consenta di sopravvivere nel nostro tempo! La World Bank ci ricorda che dobbiamo invertire la rotta subito per evitare il disastro: tutto il Pianeta deve puntare sulle rinnovabili senza indugi.

Pietro Colucci, Presidente e AD Kinexia

Fiori nei candelotti lacrimogeni


Una storia di resistenza pacifica in Palestina, nel villaggio di Bil'in, vicino Ramallah.


In un luogo consacrato alla guerra, una donna ha creato un giardino in cui pianta fiori nei candelotti dei gas lacrimogeni, lanciati dai soldati israeliani durante alcuni scontri.
 Prendersi cura di una piantina che deve crescere in mezzo a mille difficoltà è un gesto al tempo stesso commovente e meraviglioso.


Una storia simbolica, che racconta un'altra faccia del conflitto.
 Un messaggio di pace, che è un inno alla vita, fatto da persone che piantano meravigliosi semi di speranza. 

 Da: greenme.it

Le Gargolle , i mostri di pietra


La gargolla o garguglia è la parte terminale dello scarico dei canali di gronda (erroneamente chiamati grondaie) e spesso ornata con figure animalesche, fantastiche o mostruose, come i gocciolatoi a protomi leonine dei templi greci.
 Si trova in molte chiese e cattedrali cristiane, ma anche su edifici civili (come municipi) del periodo medioevale.
 In italiano garguglia si può considerare sinonimo di doccione, anche se talvolta, un po' impropriamente, col nome di gargolla (o più spesso gargoyle, all'inglese) si indica la figura fantastica senza che essa abbia necessariamente funzione di doccione; viceversa i doccioni comunemente intesi non sempre hanno figure scolpite. 

Gargolla e garguglia vengono dal francese gargouille che a sua volta deriva dal latino gurgulio, -onis, termine onomatopeico collegato al gorgoglìo dell'acqua che passa attraverso un doccione. L'inglese gargoyle ha lo stesso etimo.


Dal punto di vista architettonico una gargolla ha in genere la funzione di doccione, cioè è la parte finale di un sistema di scarico per l'acqua piovana che si protende da un cornicione o da un tetto, con lo scopo di far defluire l'acqua piovana, impedendo che questa, scorrendo lungo i muri li danneggi o penetri nelle fondazioni.


A partire dal X-XI secolo iniziò a diffondersi in Europa l'utilizzo della pietra per il doccione.
 L'epoca in cui si raggiunse il maggior utilizzo di gargolle iniziò a partire dal XIII secolo e verso la fine del secolo si cominciò a fare uso di caricature e figure grottesche. 
Nel corso del tempo divennero sempre più elaborati: inizialmente veniva scolpito solo il busto dell'animale o della creatura fantastica, in seguito si scolpì l'animale intero, spesso avvinghiato con gli artigli all'edificio. 
Spesso raffiguravano draghi o leoni e di solito l'acqua scorreva lungo la schiena o all'interno della figura per defluire poi dalla bocca.


La spiritualità visionaria medioevale creò gargolle di ogni sorta, da figure demoniache a facce gioconde, fino a creature metà uomini e metà bestie. 
La simbologia delle gargolle è complessa e attinge dalle Sacre Scritture e dall'universo pagano.
 Il retaggio delle creature ibride greche e egiziane si mischiò nel medioevo all'universo mitico dei bestiari come Il Fisiologo, libri illustrati con descrizioni di animali fantastici di terre lontane.
 Gli artisti influenzati da tali testi scolpirono dei doccioni bestiali e affascinanti. 
Le caratteristiche degli animali immaginari furono reinterpretate in chiave cristiana. Alcuni studiosi hanno teorizzato che le gargolle siano state utilizzate come guardiani delle chiese per tenere lontano i demoni.
 Altri pensano che questi doccioni simboleggiassero demoni, da cui i passanti avrebbero trovato scampo in chiesa.


Una leggenda francese parla di un drago chiamato Grand'Goule, che possedeva ali e corpo da rettile; viveva in una caverna nei pressi della Senna e si placava soltanto con offerte sacrificali annuali. 
Intorno al 600 giunse a Rouen un sacerdote di nome Romano (futuro arcivescovo di Rouen e santo), che promise di liberare il paese dal drago in cambio della conversione di tutti i cittadini e la costruzione di una chiesa.
 Romano sottomise il mostro con il segno della croce ed esorcizzandolo, e lo portò fuori dal paese legato a un guinzaglio fatto con la sua tonaca.
 Gargouille fu bruciato su un rogo, ma il collo e la testa non bruciarono e vennero perciò staccati dal corpo e posti sulle mura di Rouen, divenendo così il modello per le gargolle.

giovedì 29 maggio 2014

La Setta degli HASHISHIN (assassini)

Hashashin! Con questo termine era indicata la famosa Setta che tanto fascino perverso suscitò sull’Occidente.
Il termine “Assassino” deriva proprio da Hashashin, che significa: consumatore di hashish, una droga ottenuta dalla canapa indiana.
Il nome originale della setta era Isma’iliti, dal nome del suo fondatore, l’emiro Isma’il ibu Gia’ far.



Isma’iliti… da non confondere con Ismaelita.
Isma’iliti erano i seguaci della Setta mentre, invece, Ismaeliti erano (e sono) i discendenti di Ismaele, figlio di Abramo e dell’egiziana Agar.
Come in ogni setta, anche in quella degli Isma’iliti esisteva una gerarchia con a capo il Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna” e con prerogative di Monarca assoluto.
Del “Veglio della Montagna” si tanto favoleggiato, in Occidente: fiumi d’inchiostro e chilometri di pellicola.
E non sempre a proposito. Si è sempre parlato della crudeltà della Setta, ma non si è mai… o quasi mai, fatto cenno alle ragioni delle sue origini.
Nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro.
Dai Cristiani, però.

Gli Isma’iliti erano gli avversari dei Templari e dei Teutonici, dunque.
Tra questi opposti Ordini di combattenti, però, c’era una sorta di cavalleresca intesa. Soprattutto con i Cavalieri Teutonici. Interessante notare anche quanto l’organizzazione dei due Ordini fosse simile sia gerarchicamente, che nel comportamento, duro ed intransigente fino alla crudeltà.
Gerarchicamente i Teutonici si presentavano con una piramide così composta: Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero; l’Ordine islamico invece era così costituito: Djebal, Sheik, Daiikebir, dais, ecc… Sia i Templari che i Teutonici, dunque, tennero con questa Setta ogni genere di rapporto e stipularono Trattati spesso senza tener conto delle disposizioni papali.
Vale per tutti l’esempio di Federico II di Germania.
L’imperatore tedesco, per una dozzina e più di anni, era riuscito a continuare a rimandare la sua Crociata (ogni Sovrano europeo aveva la sua bella Crociata), finendo per attirare sul suo capo la Scomunica Papale.
Finalmente, il Sovrano si decise a partire per la Terrasanta. Assistito dalla fortuna e soprattutto dalla sua capacità di guerriero e stratega, l’imperatore conseguì una straordinaria vittoria e non esitò a proclamarsi Re di Gerusalemme e ad auto-incoronarsi.
Amante dei fasti orientali (Federico possedeva perfino un harem), egli intrattenne rapporti cordiali con il “Veglio della Montagna”, l’emiro Al-Djebal, che invitò perfino alla sua tavola.
Si trattava di rapporti diplomatici, naturalmente, e il punto principale era il permesso ai Musulmani di praticare il proprio culto nella città santa di Gerusalemme, ma l’atmosfera era di reciproco rispetto.
La setta degli Isma’iliti, come ogni altra setta, era selettiva nella scelta dei propri adepti: giovani coraggiosi, atletici e con la vocazione all’obbedienza ed alla fedeltà più cieca ed assoluta; una volta entrati a farne parte, non era più possibile uscirne.
Si è sempre pensato ( e forse è anche vero) che alla base di tanta fedeltà al “Veglio”, ci fosse l’uso e l’abuso di sostanze come l’hashish, che schiavizzava i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti del Gran Maestro, come accadeva (sia pur con altri mezzi, ai Teutonici). Il caso, però, che li ha resi famosi, è legato soprattutto al sultano Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
Di lui si raccontava che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole.
Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta.
Passato l’effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell’infido Gran Maestro.
Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel “Paradiso”. Perfino uccidere o uccidersi. Sempre a voler dar fede a questi racconti, il sultano, per dimostrare ai suoi ospiti occidentali la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante: ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall’alto della fortezza e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
Ordine che i giovani eseguivano con grida di gioia, convinti di “tornare” in Paradiso.

QUESTA E' L'ITALIA

Pensioni da fame per i nostri vecchi costretti a rubare o a  rovistare nel pattume per poter mangiare 
"45 euro al giorno agli immigrati con vitto e alloggio vestiario gratis

29 magg – Quando si è visto scoperto, è scoppiato in un pianto a dirotto: «Ho rubato perché ho fame e non ho i soldi».
Un anziano 78enne di Torre Annunziata (Napoli) sorpreso dai carabinieri della stazione Capoluogo di Torre del Greco a rubare tre confezioni di mortadella, che ha commosso gli stessi militari dell’Arma, il proprietario di un supermercato di via Nazionale a Torre del Greco e i clienti presenti.
Crisi: Allarme anziani, arrivano in ospedale malnutriti
Così è scattata una gara di solidarietà per aiutare l’anziano: i carabinieri hanno deciso di pagare le tre confezioni di insaccato, il titolare del market dove è avvenuto il furto non ha presentato denuncia e gli altri presenti hanno improvvisato una colletta per l’acquisto di altri prodotti alimentari e generi di prima necessità. 

mattino napoli Mercato del Testaccio - Roma

In un mercato del Veneto

All'apparenza normalissimi clienti, e fino a pochi anni fa lo erano. Guardano i prodotti esposti sulle bancarelle: frutta, pane, verdura, pesce e carne.
Sembra che valutino la merce esposta.
Poi all'improvviso, ma con molta discrezione, si avvicinano alle buste gialle degli scarti vegetali.
Un'occhiata svelta per individuare il residuo "buono", prima di infilare rapidamente la mano e via tra la folla.
La loro "spesa", quando va bene, è un'arancia, una mela o un pomodoro andato a male, in alternativa qualche foglia di lattuga o il gambo di un carciofo. 

DI CONTRO

Immigrati, Rissa alla Caritas:

«Chiediamo la carta d’identità e un contributo economico – hanno spiegato dal centro di accoglienza, realizzato in una struttura turistica di Palinuro


Pisa: Protesta dei profughi, vogliono pocket money e abiti migliori

 Protesta dei profughi ospitati a Piaggerta, all’interno della Tenuta di San Rossore.
 i profughi accolti a San Rossore hanno delle stanze a disposizione con tutti i servizi, televisione compresa. 


150 rifugiati in rivolta per il “pocket money”. Agenti feriti e arresti

 La violenta protesta è scoppiata, a quanto pare, per la mancata corresponsione del “pocket money”


Borgo Mezzanone: tensioni tra residenti e immigrati, sicurezza a rischio

 la presenza di immigrati è di gran lunga superiore a quella di cittadini italiani



Trapani: Nuova protesta di immigrati, vogliono asilo politico subito



Si barricano in centro accoglienza e minacciano operatori, 6 immigrati arrestati


Si barricano in centro accoglienza e minacciano operatori, 6 immigrati arrestati

Hanno chiuso i cancelli della struttura in segno di protesta con lucchetti e catene ad hanno accerchiato il responsabile che è stato  costretto a rifugiarsi nella sua auto, alla quale erano state tagliate le gomme.

violenza privata aggravata, minacce e danneggiamento



Mono-porzioni di cibo ancora impacchettato e destinato ai clandestini che gli stessi gettano nel cassonetto all’esterno del complesso loro riservato, perché non di loro gradimento.
Non scordiamo che queste persone percepiscono dallo Stato, cioè da noi, circa €45 al giorno di paghetta, oltre all’alloggio, quindi, visto che l’alloggio è gratis, preferiranno spendere i loro soldi direttamente al ristorante.



Millie , la gatta scalatrice


Mentre i suoi "colleghi" cittadini passano al massimo dal letto al divano, e dal divano al balcone, Millie, una gatta domestica dello Utah, accompagna il suo padrone nella sua attività preferita: il free climbing. 
 Il felino, sprezzante del pericolo, adora scalare le pareti montuose della sua terra in compagnia di Craig Armstrong, il suo atletico amico umano.
 Da un annetto i due fanno coppia fissa quando si tratta di arrampicare, e hanno raggiunto un affiatamento degno di due storici compagni di cordata.


Millie è stata adottata dal suo 37enne padrone nel 2013, dopo essere stata abbandonata a pochi giorni dalla nascita. 
Tra i due è scattato un feeling speciale e Armstrong l'ha portata da subito con sé durante i suoi weekend tra le montagne dello Utah, in particolare a Stansbury Island, sul Great Salt Lake, dove il micio ha potuto prendere confidenza con i grandi spazi naturali e vincere la paura dell'aria aperta.
 L'istinto ha avuto la meglio e la gatta ha da subito mostrato un grande amore per la montagna.
 Dopo un po' di passeggiate, Craig l'ha portata ad arrampicare: insieme hanno affrontato le principali alture dello stato (Joe's Valley, Moe's Valley, Ferguson Canyon), fino a salire su una parete alta 300 metri.


Mentre per le passeggiate in pianura o poco ripide, né Craig né Millie si imbragano, per le arrampicate scoscese entrambi indossano un'imbragatura, e il felino è sorretto da corde e moschettoni per muoversi in totale sicurezza.
 Millie segue anche una dieta particolarmente attenta bilanciata sulle sue necessità da "scalatrice" e sceglie in autonomia quando riposarsi e lasciare che il padrone prosegua senza di lei. 
Con Craig dorme addirittura in tenda, durante le gite più lunghe.


Anche se talvolta deve andarla a recuperare in qualche anfratto dove si è nascosta, o su un pendio da cui non ha voglia di "schiodarsi", Craig sostiene che sia la migliore compare di scalate che potesse desiderare. 
Chissà che ne pensa la sua compagna, per la quale il free climber ha comprato un altro gatto più pigro, che le tenga compagnia sul sofà.


Tratto da : focus.it

Il fiume Tevere , sacro ai destini di Roma


"Non senza motivo gli dei e gli uomini scelsero questo luogo per fondare la Città: colli oltremodo salubri, un fiume comodo attraverso il quale trasportare i prodotti dell'interno e ricevere i rifornimenti marittimi; un luogo vicino al mare quanto basta per sfruttarne le opportunità ma non esposto ai pericoli delle flotte straniere per l'eccessiva vicinanza al centro dell'Italia, adattissimo per l'incremento della città; la stessa grandezza di quest'ultima ne è la prova". 
Così scriveva Livio ed il suo elogio della posizione geografica di Roma, che ricalca il pensiero formulato da Cicerone nel suo "De re publica", mostra che gli antichi fossero consapevoli del fatto che le ragioni della scelta del luogo su cui sarebbe sorta la città fossero state di natura prettamente economica.
 La presenza del fiume fu talmente importante per la nascita della città che Servio, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., arrivò a sostenere che il nome arcaico del Tevere, Rumon o Rumen (la cui radice deriva da ruo, scorro), diede il nome alla città, sicché Roma avrebbe significato Città del Fiume.


Il Tevere è sempre stato considerato un fiume un po’ speciale dagli intellettuali che, nei secoli, si sono avvicendati nella città di Roma, una sorta di ponte tra passato e futuro, una costante che ha visto svolgersi sulle sue sponde alcuni tra gli eventi più importanti della storia dell’uomo. 
Chiamato anticamente “Albula” per le sue acqua chiare, il Tevere prenderebbe il suo nome dal re latino Tiberino, che si suicidò annegandosi nelle sue acque, anche se alcuni contestano questa origine.
 Il Tevere, fiume principale dell’Italia centrale e peninsulare e terzo fiume italiano per lunghezza e volume di acque, è stato sempre l’anima della città di Roma, come recita anche la lapide posta sulla sua sorgente alle pendici del Monte Fumaiolo (Emilia Romagna) “Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma”. 
Il Tevere è infatti al centro di numerosi miti e leggende, a partire dalla fondazione stessa della città di Roma.
 Secondo la tradizione, Romolo e Remo, neonati, furono messi in una cesta e lasciati alla corrente, finché la culla improvvisata non si arenò sotto un albero di fico da cui i due piccoli poterono nutrirsi succhiandone il succo zuccherino.
 Nell’antica mitologia romana, il fiume era considerato una vera e propria divinità, chiamata Pater Tiberinus; il dio veniva omaggiato tutti gli anni il giorno 8 dicembre in feste chiamate Tiberinaria, che celebravano l’anniversario della fondazione del tempio dedicato al dio stesso e ubicato sull’isola Tiberina....Gli attributi del dio sono un remo e una cornucopia; nelle sue numerose raffigurazioni – che comprendono tra l’altro numerose monete – appare spesso con attributi navali o associato a scene che ricordano l’origine di Roma.


Il momento peggiore della sua storia, il Tevere l'ha vissuto poco dopo il 1870, quando Garibaldi propose di prosciugarlo per modernizzare la città.
 Ferdinand Gregorovius, uno storico tedesco che allo studio di Roma aveva dedicato i migliori anni della sua vita, lo annotò nei suoi ricordi con quello stesso tono dolente con cui molti, romani e no, avrebbero commentato le maldestre trasformazioni della città in capitale di un nuovo stato. 
Garibaldi, scriveva Gregorovius, «non ha certo pensato quale aspetto avrebbe avuto Roma e che cosa la Città Eterna sarebbe stata senza questo fiume. 
Togliere il Tevere a Roma sarebbe più che togliere gli occhi ad un volto umano... Il Tevere è la memoria viva di Roma... è il fiume sacro della civiltà, è il Nilo dell' Occidente»
Il segreto dei segreti, la costante della sua storia, forse dall' antichità, certo dal momento in cui Roma è diventata una metropoli moderna è questo: il Tevere lotta non solo per sopravvivere, a dispetto del terribile impatto umano di una città che in poco di più di un secolo ha decuplicato i suoi abitanti, ma anche per conservare la sua fisionomia, il volto selvatico e primitivo della divinità fluviale che incarna, memoria intemporale di una città in cui la storia è sempre stata prepotente.


Il tratto di fiume che esce dall' abitato per arrivare al mare pochi romani lo conoscono....sono trentasei chilometri, dalla meravigliosa rovina di Ponte Rotto, che dal basso sembra un monumento alle incognite del passaggio dei secoli, fino al mare aperto a lato delle piccole capanne dei pescatori che si sporgono sull' acqua come le incerte abitazioni di un villaggio primitivo.....muoversi sul fiume è difficile perché il letto è come un labirinto, e cambia conformazione molto spesso, per questo il pelo dell' acqua spesso s' increspa e vortica.
 Quando si supera il Ponte Palatino e poi, dopo il Porto di Ripa Grande, il Ponte Sublicio, all' altezza di Testaccio la fisionomia del fiume comincia a cambiare: i muraglioni, eretti dopo il 1870 per contenerne la natura irruenta o forse per emarginarlo dalla città con tutta la sua vischiosa storia di fertilità e rovina, cedono il posto a più naturali rive. 
Mentre la città si stempera nelle periferie di Portuense Ostiense e Magliana, la vegetazione ripariale riprende vigore: alberi, arbusti, erbe, canneti si affacciano sull' acqua dando alloggio a creature inaspettate. 
Ci sono boschetti di latifoglie, lecci, querce da sughero, roveri, olmi e prugnoli, frassini, ontani, pioppi, salici....
 

Man mano che procediamo, ai gabbiani isolati che riposano sui massi sparsi si sostituiscono vaste tribù che galleggiano sull' intera superficie: la barca arriva e gli uccelli si alzano in volo coprendo il cielo a centinaia per poi posarsi di nuovo su tratti affioranti di antiche muraglie, forse resti di vecchie strade sommerse, o su tronchi d' albero che sporgono dal fondo.
 I longilinei aironi cinerini immobili sugli scogli sembrano statue primitive, in volo le ali arcuate battono il crawl nell' aria e il corpo si assottiglia ancora.
 I cormorani sono già volati via, in basso ci sono anatre, germani, gallinelle d' acqua circondate dai pulcini...
Poi il fiume lentamente diventa mare dividendosi in due: il braccio che sfocia a Fiumicino, poi, più a sud, quello di Fiumara. Per un po' si sente l' odore salmastro dell' acqua marina. 
Subito, tornando indietro, risento quella strana essenza che resterà nelle mie narici fino a notte: terra e acqua mescolate insieme, gli umori della vegetazione e quelli del letto profondo, l' odore della pioggia che l' alveo emana mescolato all' aroma secco e amaro dei campi e delle pietre.
Elisabetta Rasy, la repubblica

mercoledì 28 maggio 2014


Gli Egizi usavano le meteoriti come gioielli

Uno studio inglese ha analizzato una perlina di ferro egizia vecchia di 5.000 anni fa: in apparenza non sembra granché, tuttavia nasconde uno spettacolare passato.
I ricercatori hanno scoperto che l’antico gingillo è stato fatto con un meteorite.
Il risultato, pubblicato su Meteoritics & Planetary Science, spiega come gli antichi Egizi ottenessero il ferro millenni prima delle prime tracce di fusione del ferro trovate nella regione.
Parrebbe inoltre che i meteoriti venissero considerati in modo speciale nella loro religione. “Il cielo era molto importante per gli antichi Egizi,” dice Joyce Tyldesley, egittologa presso l’Università di Manchester e co-autore della ricerca.
“Qualcosa che cade dal cielo viene considerato come un dono degli dèi”.

La perlina a forma cilindrica è uno delle nove trovate nel 1911 in un cimitero di Gerzeh, 70 chilometri a sud del Cairo.
Risalgono a circa il 3.300 a.C., rendendo questi manufatti i più antichi in ferro conosciuti in Egitto.
Uno studio condotto nel 1928 aveva rilevato che il ferro contenuto nelle perline aveva un alto contenuto di nichel – tipico dei meteoriti di ferro – e aveva portato alla proposta dell’origine celeste.
Ma negli anni ’80 gli studiosi avevano sostenuto che un’accidentale fusione precoce avrebbe potuto portare a tale arricchimento di nichel, e una più recente analisi aveva mostrato un basso contenuto di nichel sulla superficie.
Per risolvere la questione, Diane Johnson, scienziata della Open University di Milton Keynes, e i suoi colleghi hanno usato la microscopia elettronica e la tomografia computerizzata per analizzare una delle perline.
Le analisi hanno dimostrato che in origine il contenuto di nichel in questo metallo era alto – fino al 30% – e dunque era effettivamente un meteorite.
Il metallo aveva inoltre una particolare struttura cristallina chiamata Widmanstätten.
Questa struttura si trova solo nei meteoriti di ferro che si sono raffreddati molto lentamente dentro gli asteroidi quando il Sistema Solare si stava formando.
Usando la tomografia, i ricercatori hanno poi costruito un modello tridimensionale della struttura interna, scoprendo che gli Egizi l’avevano modellato martellandolo su una lamina piatta poi piegata a forma di tubo.
La prima prova di fusione del ferro in Egitto appare nella documentazione archeologica del VI secolo a.C.
Solo una manciata di manufatti in ferro sono stati scoperti nella regione da prima di allora, e tutti provengono da tombe di alto rango, come quella di Tutankhamon.
“Il ferro era fortemente associato a regalità e potere”, dice Johnson. Si credeva infatti che oggetti di tale materiale divino garantissero al defunto un passaggio prioritario nell’aldilà.



Figure di Widmanstätten su una meteorite incisa con acido (wikipedia) Campbell Price, curatore al Museo di Manchester di Egitto e Sudan, non coinvolto nello studio, afferma che non si sa nulla di certo riguardo le credenze religiose degli Egizi prima dell’avvento della scrittura.
Ma sottolinea che in seguito, all’epoca dei faraoni, gli dèi erano creduti avere le ossa di ferro.
Un’ipotesi è che i meteoriti possano aver ispirato questa convinzione: le rocce celesti forse furono interpretate come i resti fisici degli dèi che cadevano sulla Terra.
Se otterrà i permessi necessari, le analisi di Johnson continueranno anche su altri oggetti di ferro.

Nel Duomo di Pisa è stato scoperto un tesoro medioevale nella tomba di Enrico VII


Quel sarcofago era stato aperto l'ultima volta nel 1921 quando, in occasione del 600° anniversario della morte di Dante, il monumento contenente le spoglie dell'imperatore Enrico VII fu ricollocato nel transetto destro del Duomo di Pisa insieme al suo corredo funerario.
 Sono state l'apertura dello scorso ottobre e l'indagine ancora in corso, compiuta con strumenti e tecniche all'avanguardia, a svelare la reale importanza del tesoro custodito per sette secoli all'interno della cassa: oltre ai simboli del potere – corona, scettro e globo in argento dorato – la sorpresa maggiore è stata riservata da un drappo rettangolare lungo oltre tre metri, una rara testimonianza della produzione aulica di stoffe seriche degli inizi del XIV secolo. 
Vista l'eccezionalità degli oggetti e considerato il contesto storico di riferimento, si è deciso di destinare gli elementi del corredo al Museo dell'Opera del Duomo.


L'ispezione della tomba è stata un'impresa molto impegnativa, che ha richiesto la collaborazione dei diversi enti interessati, Arcivescovado e Capitolo della Cattedrale, Opera della Primaziale Pisana, Soprintendenza BAPPSAED e Università di Pisa, i cui rispettivi rappresentanti hanno formato un comitato con il compito di seguirne tutte le fasi. 
Rotti i sigilli dell'ultima ricognizione, all'interno della cassa sono apparsi i resti mortali dell'imperatore avvolti in un drappo, sopra il quale erano appoggiati la corona, lo scettro e il globo.
 I tre oggetti richiamano con forte immediatezza le immagini dell'imperatore contenute nel resoconto illustrato in 73 miniature del suo viaggio in Italia, commissionato dopo il 1330 dal fratello Baldovino, arcivescovo di Treviri, e ora conservato a Coblenza nel Landeshauptarchiv.
 Nella cassa era inoltre presente un contenitore cilindrico di piombo con dentro una carta, rivelatasi in seguito settecentesca e riferibile alla ricognizione avvenuta in questo secolo.
 A questo punto ha avuto indizio l'indagine vera e propria, che ha svelato il contenuto in tutta la sua consistenza. 
Quello che nel verbale del 1921 era sommariamente definito «un drappo sottile tessuto a fasce» si è rivelato fin da subito un documento di grande interesse per peculiarità e consistenza: si tratta infatti di un telo rettangolare di grandi dimensione – oltre 300 cm di lunghezza per 120 di larghezza – realizzato in seta a bande orizzontali alte circa 10 cm, alternate nei colori – particolarmente ricchi di significato simbolico – nocciola rosato (dal rosso originale) e azzurro.


Le bande azzurre risultano operate in oro e argento con coppie di leoni affrontati, emblema per eccellenza della sovranità, mentre una complessa decorazione monocroma tono su tono, allo stato attuale non ancora decifrabile, è presente nelle fasce rosate. 
Una fascia di coloro rosso violaceo listata in giallo, posta in alto all'inizio della pezza, reca all'interno tracce d'iscrizione. 
Elemento che rende peculiare, se non unico, il manufatto è la presenza sui lati lunghi delle cimose e sui lati corti di due bande a piccoli scacchi, che segnano l'inizio e la fine della pezza: ciò definisce di fatto le dimensioni del drappo e potrà fornire importanti indicazioni utili per definirne la destinazione d'uso.


Altre rivelazioni sui resti di Enrico VII arriveranno presto da Francesco Mallegni, antropologo dell'Università di Pisa, che ha provveduto alla ricomposizione dello scheletro e del cranio.
 Tali operazioni, con i necessari interventi di restauro e l'applicazione di opportune metodologie, hanno consentito per ora di valutare la statura in vita dell'imperatore, risultata di circa 1,78 metri e di valutare l'età alla morte in circa 40 anni. Ulteriori analisi su piccolissimi frammenti inviati a laboratori specializzati potranno offrire nuovi elementi per chiarire lo stato di salute, le cause di morte e il trattamento del cadavere dell'imperatore dopo il precoce decesso avvenuto a Ponte D'Arbia nel 1313. 

 Tratto da : http://www.unipi.it/

Il Triangolo delle Bermuda dello spazio


C'è una regione bizzarra nello Spazio appena sopra il Brasile, nell'orbita della Terra, dove i computer a bordo della Stazione Spaziale Internazionale vanno regolarmente in crash, i telescopi e i satelliti smettono di funzionare, e gli astronauti riferiscono di vedere strane luci lampeggiare davanti ai loro occhi.
 Anche se la regione è tecnicamente definita come Anomalia del Sud Atlantico (SAA), è conosciuta popolarmente come "Il Triangolo delle Bermuda dello Spazio".
 Tuttavia, a differenza dell'originale, non c'è nulla di misterioso o fantascientifico: gli scienziati riconoscono che esiste, e hanno cominciato a tracciarne i confini. 
 La SAA è l'area in cui la parte inferiore delle fasce di Van Allen si avvicinano alla superficie della Terra.
 Il campo magnetico terrestre è noto per non essere uniforme: esistono delle regioni in cui si registrano valori più bassi. 
Uno di questi "punti deboli" si trova in corrispondenza dell'area del Triangolo delle Bermuda dello Spazio.


Qui l'intensità delle radiazioni è più elevata rispetto a quella del resto del pianeta. 
L'anomalia, proprio per il basso valore del campo magnetico terrestre, rappresenta una piccola "buca" nello scudo magnetico della Terra. 
 Quando questi anelli di radiazioni furono scoperti nel 1950, gli scienziati sospettavano che la SAA avrebbe potuto comportare qualche rischio.
 Per questo motivo i veicoli spaziali, come il telescopio Hubble, sono programmati per spegnere i loro strumenti delicati quando sorvolano quello spazio, proprio per evitare i danni. 
Anche la Stazione Spaziale Internazionale è dotata di una schermatura in più per affrontare questo problema.


Un team di scienziati guidati da Riccardo Campana dell'Istituto Nazionale di Astrofisica di Bologna sta progettando un telescopio spaziale che orbiti attraverso la parte inferiore della zona di pericolo, che non è mai stata studiata accuratamente.
 Per valutare meglio i rischi, il team ha analizzato i dati di radiazione raccolti da un satellite di monitoraggio a raggi X, il BeppoSAX , attivo dal 1996 al 2003.
 Aveva un'orbita simile a quella prevista per il nuovo telescopio, che regolarmente attraversava i confini dell'anomalia, ed era stato equipaggiato con un rivelatore di radiazione.
 I ricercatori hanno scoperto che i livelli di radiazione nello strato inferiore del SAA erano molto meno che negli strati superiori. 
Hanno anche visto che l'anomalia si sta lentamente spostando verso est. Ogni anno i confini si spostano di circa 34 chilometri più vicino all'Africa, il che significa che dal 2114 la SAA si troverà più vicino alla costa della Namibia. 

 Tratto da : diregiovani.it

Gli angeli



Dal greco angelos, che vuol dire “messaggero”, gli Angeli sono presenti in tutte le culture e tradizioni fin da epoche assai remote.
E ancora oggi! In molti, infatti, ancor oggi credono nell’esistenza degli Angeli, anche se nessuno può affermare di averne visto uno. Creature piene di fascino e di splendore, circondati di mistero e suggestione, gli Angeli appartengono ad un mondo evanescente e fantastico, ai confini tra materia e spiritualità.
E tale è anche il loro aspetto: luminoso ed evanescente ed al contempo composto di materia.
Caratteristica principale, oltre alla “sostanza”? Le ali, di cui sono provvisti.
Nella Bibbia, però, non sempre hanno ali, ma utilizzano le Scale celesti per salire in cielo ed assumono forma umana per portare messaggi divini agli uomini.
Forma umana, infatti, hanno gli Angeli che si presentano ad Abramo per annunciargli il concepimento di Isacco o per impedirgli il suo sacrificio.
Così è anche quando, con il nome di Azaria, l’arcangelo Raffaele accompagna e protegge Tobia nel suo viaggio.
Ed è sempre un messaggero di Dio, anche se Dio ha cambiato nome e non si chiama più Jeowa, ma Allah, quello da cui Maometto riceverà la Rivelazione: Jabrà, ossia Gabriele.
Gli altri due sono: Israfil, cioè Raffaele, l’Arcangelo che suonerà le Trombe della Resurrezione e Mikail o Michele, colui che è alla guida delle azioni dell’uomo.
Li troviamo attivamente all’opera anche nel Cristianesimo: nell’Annunciazione alla Vergine Maria, in quella ai pastori di Betlemme… E ancora: fu un Angelo a confortare Cristo sull’alto del Monte degli Ulivi quando andò a pregare prima della Passione. Fu ancora un angelo ad aprire la porta della prigione a Pietro e l’elenco sarebbe davvero lungo.
Una caratteristica dell’Apocalisse, infine, è proprio la mediazione degli Angeli i quali saranno chiamati a recare il messaggio divino alle 7 Chiese.
Gli Angeli Custodi?
E’ radicata la convinzione che ognuno di noi abbia un Angelo Protettore o Custode che ci guida nel nostro cammino ed agisce a livello umano.
Già nelle società primitive si credeva all’esistenza di uno Spirito Protettore.
Nella cultura ebraica si parla di Angeli Protettori non solo degli uomini, ma anche della Natura: Angeli del mare, Angeli dell’aria, angeli del fuoco, ecc.
In Mesopotamia, Spiriti benigni dall’aspetto di grifoni alati anticipano le figure di Angeli ed Arcangeli di qualche millennio. Nella mitologia greca i messaggeri degli Dei erano raffigurati con le ali proprio come gli Angeli. Ali d’oro e caduceo, che era l’insegna del messaggero.
Il caduceo era un’asta con due serpenti attorcigliati e terminanti con due ali. Messaggeri delle Divinità greche e romane erano Iride, personificazione dell’arcobaleno, che congiunge cielo e terra ed Ermes o Mercurio, simbolo del mistero e dell’arcano.
Angeli custodi si trovano anche in Persia: i fravashi, copia perfetta ma evanescente di ogni individuo. Un po’ come il Ba degli egizi, detto anche il “Doppio”, essendo la copia esatta di ogni essere umano, ma trasparente e di puro spirito.
Sempre in Persia, Zoroastro, profeta di Ahura, riferì che il mondo era stato creato proprio con l’aiuto di Spiriti benigni: sette angeli. Esiste una gerarchia nella società angelica?
Pare di sì! Gli Ordini Angelici sarebbero nove, divisi in ulteriori tre Ordini.
Al primo Ordine apparterrebbero: Cherubini - Serafini - Troni
Al secondo ordine: Dominazioni - Virtù - Potenza
Al terzo ordine Principati - Angeli - Arcangeli.
Gli Angeli sarebbero tanti mentre gli Arcangeli, di grado superiore, sarebbero quattro, ma noi ne conosciamo il nome solamente di tre di loro: Gabriele - Raffaele - Michele.
Per alcuni il quarto arcangelo sarebbe Emanuele.
Il sesso degli Angeli? Se ne discute da secoli, ma secondo l’opinione dei più, gli Angeli sarebbero asessuati, anche se possono apparire con aspetto umano maschile quanto femminile.

FERMIAMOLI!!!



Fermare questo spettacolo iniquo e diseducativo dipende solo da noi
Non portiamo i nostri bambini negli zoo e nei circhi che usano animali per fare spettacolo e soldi

Sprechi alimentari: l’UE propone l'eliminazione delle scadenze di pasta, riso e caffe

Eliminare le scadenze degli alimenti a lunga conservazione per ridurre gli sprechi alimentari.
Ecco la strategia che l’Unione Europea potrebbe mettere in atto per contenere il problema dell’accumulo di rifiuti alimentari sul proprio territorio.
A comunicarlo è la Coldiretti, che rende noto che l’UE si appresterebbe a rivedere le norme relative alle scadenze riportate sulle etichette dei prodotti alimentari.
Da prodotti come pasta, riso, caffè e formaggi stagionati potrebbero scomparire le diciture “Da consumarsi preferibilmente entro”.

 

 La proposta è all’ordine del giorno della riunione del Consiglio Agricoltura che si svolgerà a Bruxelles.
Unico aspetto positivo della crisi, è la tendenza dei cittadini a contenere gli sprechi.
Anche se, a livello domestico, ogni cittadino italiano continua comunque a gettare nella spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari.
I consumatori italiani non sono ancora del tutto virtuosi. Ad ogni prodotto gettato dovrebbe corrispondere, in teoria, un nuovo acquisto.
Come si comporteranno le aziende se le nuove regole per l’indicazione della scadenza dovessero diventare ufficiali? Eliminare la data di scadenza dai prodotti a lunga conservazione potrebbe permettere ai punti vendita della grande distribuzione di mantenere i prodotti sugli scaffali e nei magazzini più a lungo.
Ne conseguirebbero una riduzione degli sprechi e una diminuzione della necessità di acquistare nuove forniture.
I produttori alimentari potrebbero dunque non accogliere in modo positivo l’iniziativa, ma dovranno comunque accettare di adattarsi alle nuove regole, a partire dalla modifica delle diciture presenti sulle confezioni.
E’ necessario tenere presente che la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro” differisce dalla data di scadenza vera e propria che, come precisa la Coldiretti, è la data entro cui il prodotto deve essere consumato e anche il termine oltre il quale il prodotto non può più essere messo in commercio.
“Il TMC riportato con la dicitura ‘Da consumarsi preferibilmente entro’ indica” - spiega la Coldiretti – “la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. 
Cioè indica soltanto la finestra temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa”. L’Europa dunque approfondirà presto l’argomento dello spreco di cibo e delle perdite alimentari dal punto di vista della data di scadenza.
Olanda, Svezia, Austria, Germania e Danimarca sarebbero tra i Paesi più favorevoli al cambiamento.
Il rinnovamento della posizione di aziende e produttori rispetto alle date di scadenza richiederà forse tempi lunghi, ma potrebbe comunque trattarsi di una strategia vincente per ridurre gli sprechi alimentari ad ogni livello.
Marta Albè

A leggerlo così potrebbe anche essere "buona cosa"
MA.......
Non si tiene conto che ci potrebbero essere disonesti che tengono in circolazione prodotti per molti anni e quindi non solo non avrebbero le caratteristiche organolettiche e gustative di tale prodotto ma potrebbero creare nel loro interno muffe (vedi farine  usate  in  paste di una nota marca).
La data di scadenza secondo me è un deterrente e va mantenuta 
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