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venerdì 7 febbraio 2014

Siamo come loro, sono come noi.



Due pinguini imperatore piangono la morte del loro piccolo pulcino. Un video molto commovente della serie girata con “pinguini spia” diretta da John Downer. Questa scena è la dimostrazione evidente della capacità di sentimento degli animali.

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Il sapone di Marsiglia : la storia


Il Sapone di Marsiglia deriva dal Sapone di Aleppo: un prodotto che rappresenta migliaia di anni di cultura e di storia.
 La tecnica di fabbricazione originaria della città di Aleppo, in Siria, a base d'olio d'oliva e di alloro, a seguito delle crociate si è diffusa attraverso il bacino del Mediterraneo, passando per l'Italia e la Spagna, per raggiungere Marsiglia.

 A partire dal XII secolo a Marsiglia c'erano fabbricanti di sapone che utilizzavano come materia prima l'olio d'oliva prodotto localmente. 
La soda (all'epoca la parola "soda" designava il carbonato di sodio) proveniva dalle ceneri della combustione di una pianta, la salicornia. Crescas Davin, nel XIV secolo, è il primo saponaio ufficiale della città. Nel 1593, Georges Prunemoyr superò la fase artigianale, fondando la prima fabbrica marsigliese. 
All'inizio del XVII secolo, la produzione dei saponifici marsigliesi soddisfaceva appena la domanda della città e del territorio. Il Porto di Marsiglia riceveva anche saponi da Genova ed Alicante. Ma quando la guerra bloccò l'approvvigionamento dalla Spagna, i saponai marsigliesi dovettero aumentare la loro produzione per poter soddisfare i francesi del nord e gli acquirenti olandesi, tedeschi ed inglesi. 
Nel 1660, si contavano nella città sette fabbriche la cui produzione annuale toccava quasi 20.000 tonnellate.
 Sotto il regno di Luigi XIV, la qualità delle produzioni marsigliese è tale che il "Sapone di Marsiglia" divenne un nome comune. Si trattava allora di un sapone di colore verde che si vendeva soprattutto in barre di 5 kg o in pani di 20 kg.


Il 5 ottobre 1688 l'editto di Colbert, Ministro della Real Casa di Luigi XIV, regolamentò la fabbricazione del sapone.
 Ai sensi dell'articolo III di quest'editto: Non si potrà utilizzare nella fabbricazione di sapone, insieme a barrilla (soda di Spagna), soda o cenere, nessun grasso, burro né altre materiale; ma soltanto puro olio di oliva, e senza mescolanza di grasso, a pena di confisca delle merci. 
I saponai dovevano cessare la loro attività d'estate poiché il calore nuoce alla qualità del sapone. 
Questa regolamentazione garantì la qualità del sapone che ha reso rinomati i saponifici marsigliesi. 

Frattanto, fabbriche di sapone si installarono nella regione, a Salon-de-Provence, Tolone o Arles. Nel 1786, 48 saponifici producevano a Marsiglia 76.000 tonnellate, impiegando 600 operai e 1.500 forzati prestati dall'arsenale delle galere. 
Dopo la crisi dovuta alla Rivoluzione francese, l'industria marsigliese continuò a svilupparsi fino a contare 62 saponifici nel 1813. 
 All'epoca la soda si otteneva dall'acqua di mare grazie al procedimento inventato da Nicolas Leblanc.

 A partire da 1820, nuovi tipi di grassi furono importati e transitarono per il porto di Marsiglia: gli oli di palma, d'arachide, di cocco e di sesamo che furono utilizzati per la fabbricazione del sapone.
 I saponifici marsigliesi subirono la concorrenza di quelli inglesi o parigini, questi ultimi usavano il sego che dà un sapone meno costoso. 
All'inizio dello XX secolo, nella città di Marsiglia c'erano 90 saponifici. François Merklen fissò nel 1906 la formula del sapone di Marsiglia: 63% d'olio di copra o di palma, 9% di soda, 28% d'acqua. 
Quest'industria restò fiorente fino alla prima guerra mondiale quando la difficoltà nei trasporti marittimi mise in serio pericolo l'attività de saponai.
 Nel 1913, la produzione era di 180.000 tonnellate ma precipitò a 52.817 tonnellate nel 1918.
 Dopo la guerra, i saponifici beneficiano dei progressi della meccanizzazione e la produzione raggiunse le 120.000 tonnellate nel 1938, benché la qualità del prodotto restasse legata ai vecchi procedimenti di fabbricazione.


Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Marsiglia garantiva sempre la metà della produzione francese, ma gli anni che seguirono furono disastrosi: il sapone fu soppiantato dai detersivi di sintesi ed i saponifici marsigliesi chiusero uno dopo l'altro.
 Oggi non resta che un pugno di fabbricanti nella regione. 

 Ma come si riconosce il vero sapone di Marsiglia? 

Bisogna leggere l’etichetta e non comprare quello che contiene il sodium tallowate, ma scegliere quello che contiene sodium olivate (olio di oliva) o al limite sodium cocoate (olio di cocco) o sodium palmate (olio di palma). 
Il sodium tallowate (ossia quello da evitare) è un preparato per saponi prodotto con grassi animali come sego bovino ed altri, in pratica proviene di scarti della macellazione delle industrie della carne.

Il maiale come cibo....Gustoso????? Ma è anche giusto sapere cosa ci sta dietro!!!!!!

 La carne di un maiale è quella che più somiglia alla carne umana, cosa piuttosto sconcertante se si pensa a quanto è apprezzato da chi lo mangia.
Il maiale, dopo essere stato ucciso, eviscerato e tagliato a pezzi, lo ritroviamo sulle nostre tavole sotto forma di numerose denominazioni, a seconda di quale parte del suo corpo ci stiamo preparando a consumare e di come tali parti vengono trasformate: cotechino, zampone, salame, prosciutto cotto e crudo, mortadella, wurstel, pancetta, lonza, braciola, zampone, strutto, salsiccia e altri prodotti.
Negli allevamenti intensivi i maiali non vedranno mai la luce del sole.


Queste “operazioni” servono per controllare episodi di aggressività dovuti all’eccessivo stress una volta che saranno immessi nell’allevamento (i maiali tenteranno di mordersi la coda e le orecchie e di aggredire i propri compagni a morsi).
La castrazione, oltre a rendere l’animale meno aggressivo, è “necessaria” per evitare uno spiacevole sapore nella carne, in particolare per la produzione di prosciutti, stando ai gusti dei consumatori più raffinati.
Queste operazioni dovrebbero essere eseguite da uno specialista, ma per ovvi motivi economici (si tratta di numerosissimi animali da “lavorare” ogni giorno) vengono svolte da semplici operai, senza alcuna competenza veterinaria, e senza ricorrere ad alcuna anestesia, ovviamente.
I suinetti durante l’”operazione” strillano terribilmente, sia per la paura che per l’intenso dolore.
I piccoli, dopo essere stati allontanati dalle madri quando hanno tre o quattro settimane, vengono messi in gabbie metalliche dette di svezzamento, fino a raggiungere, a 55 giorni di età, il peso approssimativo di 20 chili.
Un’ulteriore fase di crescita porta gli animali, divisi per gruppi e sistemati in appositi box, fino a 50 chili.
All’età di circa tre mesi vengono trasferiti in reparti di accrescimento e ingrasso, all’interno di piccoli box in cemento, in gruppi di 10-20 individui. Si crea così una situazione molto disagiata ed innaturale per questi animali che amano muoversi ed esplorare, ed inoltre il sovraffollamento rende impossibile agli individui più sottomessi di tenersi distanti dai soggetti dominanti e più aggressivi. In questi capannoni, d’estate il caldo diventa insopportabile.
I maiali, non potendo disporre né di fango in cui rotolarsi né di fosse da scavare, sono costretti ad attuare un sistema particolare. Normalmente esiste nei box una griglia che permette la raccolta delle feci in un recipiente sottostante. In estate gli animali evitano di utilizzare la griglia , ma defecano sul cemento: in questo modo creano un pantano dove potersi rotolare nelle giornate più calde.
E’ l’unica soluzione che hanno a disposizione per combattere il caldo insopportabile per loro estenuante, nonostante questo comportamento sia incompatibile con la loro natura e crei forte disagio all’animale.
Le condizioni igieniche precarie sono testimoniate dal pessimo odore che emanano gli allevamenti di suini.
Feci, urine e scarti di cibo emanano, oltre all’odore, ammoniaca e altri gas, che rendono difficile la respirazione agli animali, rovinando il loro apparato respiratorio con conseguenti irritazioni e infezioni interne.
Negli allevamenti i maiali sono inoltre soggetti ad ogni genere di malattia: artriti dovute all’immobilità, infezioni da salmonella, gastroenteriti epidemiche, parvovirosi suina (ppv, l’infezione più comune) e altre la cui natura è ancora da determinare con certezza, come la pirs e il morbo blu.
È quindi necessaria una continua e massiccia somministrazione di farmaci, che entrano inevitabilmente nelle loro carni 
Inoltre nell’allevamento i maiali vengono costantemente mantenuti in semioscurità, in modo che non possano fare altro che mangiare durante tutto il giorno.

Le manifestazioni di sofferenza sono facilmente individuabili in comportamenti stereotipati (mordono o leccano per ore le sbarre), di apatia (giacciono a terra con espressione vuota) o di aggressività (attacchi incontrollati ai propri compagni).
Per controllare lo stress, piuttosto che rimuovere le cause (le condizioni innaturali di vita) si preferisce soffocare la reazione con forti dosi di sedativi o rimediando mettendo dentro i box vecchi copertoni su cui i maiali sfogano il loro nervosismo (similmente a quanto avviene nelle celle di cura per i malati di mente con le pareti rivestite in materiale morbido).
Maggiore è il peso che si vuole far raggiungere all’animale, più tempo questo rimarrà nel box: un “suino leggero” pesa 100-110 chili, un “suino pesante” 140-160 chili.
Ma possono arrivare anche a 200 chili ad un anno di età. Vengono ingrassati fino al punto di avere difficoltà a muoversi.
Quando raggiungono il “peso di macellazione” vengono uccisi, di solito dopo 6 mesi di vita, cioè ancora giovanissimi.
Per i suini, il momento dell’uccisione è particolarmente penoso.
Gli animali, prima di essere uccisi, devono essere storditi .
La legge prevede, a tal fine, l’uso del proiettile captivo, che penetra nella corteccia cerebrale dell’animale e poi riesce, sparato da una pistola pneumatica.
Ma a causa della rapidità delle linee di macellazione (ben più di 1000 suini in una mattinata), spesso gli animali non sono storditi in maniera corretta, e quindi vengono sgozzati, e poi gettati nelle vasche di acqua bollente, ancora coscienti.
Infatti, quando se ne esaminano i polmoni dopo la morte, spesso si vede che contengono sia sangue che acqua, il che dimostra che gli animali erano ancora vivi e hanno respirato acqua bollente mentre annegavano nelle vasche.
In Italia si stimano circa 17 milioni di suini allevati in un anno. Centodiciotto milioni in Europa.
Un miliardo in tutto il mondo.
In natura questi animali vivrebbero circa 18 anni. In un allevamento vivono solo 6 mesi.
Le scrofe due anni, come detto, ma difficilmente questo può rappresentare un vantaggio, dato le condizioni terribili di vita in cui sono costrette.

Tratto da Riccardo Bwww.animalstation.it


Strappati dalle madri a pochi giorni di vita vendono uccisi sbattendoli contro i muri o il pavimento

Avete ancora voglia di mangiarli??????

Sull’Isola di Pasqua per il Tapati Rapa Nui


L’Isola di Pasqua è conosciuta in tutto il mondo per le enormi e misteriose teste monolitiche, i moai. 
Durante l’estate boreale, questa sperduta isola del Pacifico regala un ulteriore motivo per programmare un viaggio agli antipodi: il Tapati Rapa Nui, un festival che, tra prove di forza per gli uomini e di grazia per le ragazze, punta a celebrare la cultura locale. 

 La manifestazione si tiene d’estate, ma nell’emisfero australe le stagioni sono invertite rispetto all’emisfero boreale: per il 2014 l’appuntamento è fissato dal primo al 15 febbraio. 
Due settimane in cui la popolazione dell’isola (in tutto meno di seimila persone) si riunisce suonando le musiche tradizionali, ballando le danze tipiche o mettendo in scena antichi pezzi teatrali. Ma soprattutto gareggiando in curiose prove sportive. A cui possono anche partecipare i turisti più intraprendenti.
 In realtà, all’inizio questi eventi facevano parte della Semana de Rapa Nui, un piccolo festival estivo nato per festeggiare la promulgazione della Ley Pascua, che permise per la prima volta ai residenti di votare alle elezioni presidenziali del Cile. Anche se c’è da dire che gli abitanti di Rapa Nui, questo il nome in lingua nativa, si sentono più polinesiani che cileni, nonostante l’Isola di Pasqua sia stata annessa al paese andino nel 1888.
 Fatto sta che dalla sua nascita, l’evento si è ingrandito sempre di più. Il Tapati Rapa Nui vede opporsi due schieramenti in rappresentanza delle due metà di Hanga Roa, la capitale.
 Ogni squadra è guidata da una ragazza, che compete con l’altra rappresentante per il titolo di Regina di Tapati, un titolo simbolico che avrà per tutto l’anno successivo.
 I partecipanti si preparano per mesi: le gare di ballo, di creazioni di costumi tradizionali o di abilità sono molto sentite. Una delle più spettacolari è l’Haka Pei.
 In questa sfida i partecipanti si lanciano giù dai fianchi della collina Pu’i su mezzi di trasporto piuttosto particolari, ovvero dei tronchi di banano scavati: non è una gara di velocità, anche se si possono raggiungere anche gli 80 km/h. A vincere è infatti chi riesce a rimanere più a lungo a cavallo del suo tronco.


Sull’Isola di Pasqua le tradizioni sono importanti.
 Lo dimostrano altre gare del Tapati come il Vaka Tuai, in cui ogni squadra deve costruire una imbarcazione polinesiana tradizionale e fare un piccolo viaggio in mare, e la Takona, una gara di body painting. Con pigmenti naturali e l’obbligo di spiegare poi agli spettatori il significato della pittura.
 Il Titingi Mahuta è poi una gara di sartoria: i partecipanti usano la pianta mahute per confezionare abiti tradizionali. Segue una competizione musicale, la Riu, in cui i più esperti dei due schieramenti intepretano canti rituali che raccontano storie epiche e leggende della popolazione nativa di Rapa Nui. A seguire la Koro Haka Opo, in cui le due squadre si alternano in un botta e risposta musicale. 
Proprio come fanno i rapper, con l’obbligo di non ripetere niente già detto dall’avversario: il plagio non è ammesso.




Vero sport il Tau’a Rapa Nui, una sorta di triathlon che prevede le prove di Pora, Aka Come e Vaka Ama. 
La prima è una gara di nuoto su una zattera fatta con delle canne: i partecipanti, con i costumi tradizionali ed i corpi pitturati, devono coprire una distanza di 1.500 metri.
 Nell’Aka Come, gli sfidanti devono invece correre con due caschi di banane messi su un bilanciere portato in equilibrio sulle spalle. 
La terza prova, la Vaka Ama, è infine una breve gara in canoa.
 Il momento più atteso del Tapati è però quello delle danze tradizionali: questo perché, dopo le esibizioni di gruppo, ci sono quelle delle due aspiranti regine, nel piccolo campo sportivo di Hanga Roa.
 L’ultima sera vengono conteggiati i punteggi di tutte le gare e si scopre chi ha vinto il Tapati.
 Ed alla fine, anche se a vincere è solo una squadra, tutti festeggiano comunque, suonando, ballando e cantando per tutta la notte.



La pioggia



La pioggia disseta la terra e i cuori malinconici.
Bagna la bocca dei poeti.
Nelle lunghe giornate di pioggia,
anche gli istanti sembrano stanchi scorrono con lentezza quasi a sussurrare al mondo la loro tristezza.
Quando sono triste indosso la pioggia, perché possa farmi compagnia;
per un istante anche il cielo è parte di me.

Stephen Littleword,
 

FIORI DI BACH per GLI ANIMALI


I FIORI DI BACH… cosa sono?

La Floriterapia del dott. Bach è un metodo semplice e naturale che agisce sugli stati emotivi piuttosto che sulla malattia fisica.
I Fiori agiscono per armonizzare ed equilibrare la personalità, per contrastare gli stati d'animo come l'irritazione , la paura e il senso di colpa, che secondo il dott. Bach sono la vera causa della malattia e dell'infelicità.

La Floriterapia non è un placebo, ma una terapia energetica in grado di risolvere problemi di carattere psichico e come conseguenza, di riequilibrare l'intero organismo.

I FIORI DI BACH … agli animali?

Le emozioni hanno un impatto enorme nella salute complessiva dell’uomo e anche degli animali e noi che li amiamo e li scegliamo come compagni abbiamo la responsabilità della loro felicità e salute.
Infatti, essi soffrono proprio come noi, di solitudine, malinconia, gelosia, paura, a volte sono tristi altre volte allegri e, vivendo a nostro stretto contatto, assimilano i nostri stress e le nostre fobie….e allora quale miglior aiuto se non i fiori di Bach? Così come è ampiamente dimostrata la loro efficacia nel campo umano, rappresentano un valido aiuto anche per i nostri amici! Spesso i nostri amici possono soffrire di disturbi non riconducibili a cause organiche, ma i loro malesseri possono essere psicologici. La paura, la tristezza, l’ abulia, la depressione non sono esclusive del genere umano.
In questi casi il veterinario ( comunque insostituibile per una sicura diagnosi) non ha molti strumenti per aiutarli.
Ad esempio, tra poco si festeggerà l’ultimo dell’anno e torneranno, come ogni anno, purtroppo, i botti, i petardi e i fuochi d’artificio.
Chi ha un animale, lo sa, che per il nostro amico sono una brutale causa di terrore.
Alcuni tendono a nascondersi sotto i mobili, guaiscono, miagolano, sbavano ed ansimano.
Alcuni cercano l’aiuto del padrone, altri tentano la fuga anche facendosi del male.
Con i fiori di Bach possiamo aiutarli.
Sulle cause dei disturbi comportamentali sono molto efficaci i Fiori di Bach che offrono agli animali una serie smisuratamente varia di vie di guarigione: dagli effetti di traumi ed abusi , agli incidenti , ferite , chirurgia, malattia, vecchiaia, cambi di stile di vita, squilibri emotivi, aggressività, gelosia e depressione.
L’interpretazione dei vari comportamenti e ancor più l’oggettiva osservazione degli stessi è alla base della floriterapia, perché è proprio da questi che derivano le indicazioni per impostare la cura ed arrivare alla soluzione dei problemi. Ciò che interessa è riuscire ad individuare i disagi che fanno soffrire il nostro amico attraverso il suo comportamento che è tipico ed individuale.
Spesso animali che presentano disturbi fisici o comportamentali a prima vista incurabili, corrono il rischio di essere uccisi. Ogni anno milioni di animali, spesso fisicamente sani e in buona salute, vengono soppressi per eliminare la loro incontinenza, l’indisciplina, l’aggressività, la turbolenza, la ossessività, l’indole distruttiva o altro solo per dar tranquillità agli uomini. Quelli che per ragioni emotive od economiche non riescono a sopprimere l’animale finiscono spesso per abbandonarlo. Spesso per risolvere lo specifico disturbo comportamentale è sufficiente far ricorso a semplici e poco costosi rimedi floreali e salvare spesso la vita dell’animale riducendo le sofferenze degli interessati.
Oggi anche i problemi della cute e delle mucose sono un grosso problema per l’animale e causano ansia al proprietario… perché è “brutto “ da vedersi e c’è la paura del contagio… e spesso la causa è un problema psicologico e con i fiori si ottengono risultati anche oggettivi.
La floriterapia prende in esame ogni caso individuale. La scelta dei rimedi consiste nel discernere precisamente secondo la natura del problema di ogni animale individualmente.
Contattatemi, per avere maggiori informazioni o per espormi i problemi dei vostri animali, sarò felice di poter aiutare loro e quindi anche voi inoltre a breve su facebook sarà presente una mia pagina dove effettuerò consulenze personalizzate e devolverò totalmente il minimo contributo richiesto per gli animali piu' bisognosi
 
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