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martedì 4 marzo 2014

Il carnevale : origine e significato della festa più allegra dell’anno


Tradizionalmente viene indicato con il termine “Carnevale” il periodo di tempo che intercorre tra il 17 Gennaio (festa di S. Antonio abate) ed il primo giorno di Quaresima. 
In realtà l’inizio del periodo carnevalesco varia da regione a regione, in alcune appena dopo l’Epifania, in altre dopo la Candelora del 2 febbraio, ma per quasi tutte (fa eccezione l’Arcidiocesi di Milano) si conclude il giorno di martedì grasso, che precede il mercoledì delle ceneri, primo giorno di Quaresima.
 Se il periodo di Carnevale è festeggiato con feste mascherate, sfilate di carri allegorici e danze, nei quaranta giorni successivi, che ricordano, nel numero, quelli del digiuno di Gesù nel deserto, i cattolici si dedicano alla preghiera ed ad opere di carità, associate a digiuni e penitenze. 
 L’etimologia del termine “carnevale” risale quindi con ogni probabilità al latino “carnem levare”, espressione con cui nel Medioevo si indicava la prescrizione ecclesiastica di astenersi dal mangiare carne a partire dal primo giorno di Quaresima, sino al “giovedì santo” prima della Pasqua, con specifico riferimento al banchetto d’addio alla carne che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale, il martedì grasso.

 Certo non è facile indagare sulle origini di una festa come il carnevale, arricchitosi nei secoli, ed al variare delle realtà geografiche, di sfumature sempre nuove, ma è possibile comunque individuare un comune denominatore nella propiziazione e il rinnovamento della fecondità, in particolare della terra, attraverso l’esorcismo della morte.
 Il periodo carnevalesco coincide infatti con l’inizio dell’anno agricolo, un chiaro indizio che permette di collegarlo alle feste greche di impronta dionisiaca (le feste in onore di Dionisio, dio greco del vino, caratterizzate dal raggiungimento di uno stato di ebbrezza ed esaltazione entusiastica) e a quelle romane dei Saturnali (in onore di Saturno dio delle seminagioni).


Nella Roma arcaica il mese di febbraio era un tipico periodo di passaggio, dall’anno vecchio al nuovo, in cui si ripetevano i riti di espiazione per le anime dei morti, ma già allora, in quei giorni dedicati ai defunti e alla purificazione s’intrecciavano feste di significato diverso, come i Lupercali, legati ai riti di fecondazione e i Saturnali. 
In particolare durante i festeggiamenti in onore di Saturno era prescrizione darsi alla “pazza gioia” per favorire un raccolto abbondante e un anno di benessere e felicità. 
In questo periodo di sette giorni si conducevano per la città carri festosi tirati da animali bizzarramente bardati ed il popolo si riuniva in grandi tavolate, cui partecipavano persone di diverse condizioni sociali, abbuffandosi tra lazzi, danze ed oscenità. 
E’ inoltre lecito sostenere che l’antica figura del re dei Saturnali abbia continuato a vivere nella burlesca figura del re del carnevale: inizialmente impersonato da un uomo che veniva sacrificato per il bene della collettività e poi sostituito con un fantoccio di paglia: esso veniva bruciato la sera del martedì grasso come una specie di vittima designata che morendo purificava la comunità, di modo che si potesse intraprendere un nuovo anno sotto diversi auspici. 
I Saturnali rimasero le feste più popolari e diffuse fino all’avvento del cristianesimo, i cui riti pagani continuarono però a sopravvivere anche nel cerimoniale cattolico.


Benché facenti parte della tradizione cristiana, i caratteri della celebrazione carnevalesca hanno quindi origine in festività ben più antiche, espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie, per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza. Da un punto di vista storico e religioso, il Carnevale rappresenta, dunque, un periodo di festa, ma, soprattutto, di rinnovamento, seppure per lo più simbolico, durante il quale, il Caos sostituiva l’ordine costituito, che però, una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva rinnovato e garantito grazie alla simbolica condanna a morte del fantoccio che rappresentava allo stesso tempo sia il sovrano di un auspicato e mai pago mondo di “cuccagna”, sia il capro espiatorio dei mali dell’anno passato.
 La fine violenta del fantoccio poneva termine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e costituiva un augurio per il nuovo anno in corso, tanto che tale cerimonia ancora si compie in molte località italiane, europee ed extraeuropee. 

 Al rovesciamento dell’ordine prestabilito, al rituale di fecondità della terra, come del grembo materno ed al periodo dedito al culto dei morti, si lega inoltre l’uso della maschera: essa è simbolo della forza vegetativa della natura, del mondo animale e di quello degli inferi. 
Rappresentava le anime dei trapassati che, evocati dai riti propiziatori, salivano sulla terra per auspicare un abbondante raccolto. 
Il Carnevale si inquadra, quindi, in un ciclico dinamismo di significato mitico: simboleggia la circolazione degli Spiriti tra Cielo, Terra e Inferi. Quando la terra inizia a manifestare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli Inferi e la Terra abitata dai vivi.
 Le Anime, per non diventare pericolose, devono però essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori, le Maschere, così che esse possano creano un nuovo regno della fecondità della Terra e giungano a fraternizzare allegramente fra i viventi. 
Mascherandosi si invitavano gli spiriti e le anime trapassate a visitare i villaggi, dando loro la possibilità di fare bagordi in cambio di abbondanti raccolti.


Nel Medioevo e nel Rinascimento i festeggiamenti carnevaleschi raggiunsero poi il periodo di massimo splendore a Venezia, Firenze e Roma.
 E’ questo anche il periodo in cui i semi del coriandolo prendono ad essere glassati con lo zucchero, dando avvio alla tradizione dei coriandoli di Carnevale, in un secondo momento formati da pallottoline di gesso e attualmente divenuti i largamente conosciuti e adorati dischetti di carta colorata: le ancestrali credenze legate al Carnevale sono ormai scomparse, ma la festività rimane tutt’oggi permeata di rituali mitici in tutti i suoi aspetti. 

 Fonte: http://news.leonardo.it/

la Torre di Gerico.

In Cisgiordania, all’ombra della montagna dove molti credono che Satana abbia tentato Cristo, si erge quello che gli scienziati chiamano il grattacielo più antico del mondo: la Torre di Gerico. Costruita migliaia di anni prima della tentazione biblica, la torre di 11.000 anni fa è un mistero archeologico: per più di 50 anni gli storici hanno cercato di comprenderne il significato.
Ora un nuovo studio pubblicato su Antiquity sostiene che la struttura era collegata al solstizio d’estate e potrebbe esser stata uno scudo simbolico contro le tenebre.



Al centro, la torre di Gerico (BibleLandPictures/Alamy)

11.000 anni fa i residenti di Gerico non conoscevano né l’agricoltura né la ruota e avevano appena abbandonato uno stile di vita nomade.
Come poterono costruire quello che alcuni vedono come il primo edificio pubblico monumentale in una delle prime città del mondo? Nuove simulazioni al computer suggeriscono che durante la sera del solstizio d’estate – il giorno più lungo dell’anno e foriero dei giorni più bui a venire – l’ombra del vicino monte Quruntul avrebbe prima colpito la torre di Gerico, e poi il resto della città.



Questo potrebbe spiegare perché la torre venne costruita proprio lì, dice l’archeologo Ran Barkai, co-autore dello studio, aggiungendo che “il tramonto del sole era ed è ancora considerato un momento spaventoso (frightening)”.
Apparentemente motivati da questa paura del buio, “i residenti locali [furono] convinti… ad aderire ad un enorme sforzo alla costruzion dell' edificio destinato a proteggerli”, ipotizza Barkai.
Ma come esattamente la torre avrebbe potuto proteggerli non è chiaro.
Dotata di pareti spesse e cilindriche, la torre di Gerico presenta una ripida scalinata interna e una sola  entrata in cima con pareti intonacate e avrebbe richiesto un centinaio di uomini e più di cento giorni per la costruzione. “Non c’era stato nulla di simile prima e niente di simile ci fu per molti anni a seguire”, dice Barkai.
Precedenti teorie avevano suggerito la torre avesse funzioni di difesa o di controllo delle piene. Ma tali idee furono abbandonate visto che Gerico non dovette affrontare seri rischi da paesi vicini o fiumi in piena.
Barkai sostiene che la torre, con le sue connessioni con eventi astronomici, venne costruita come un simbolo della forza e della coesione della comunità, in un’epoca in cui gli esseri umani si stavano ancora adattando a una vita sedentaria.
Ma per l’archeologo ci sarebbe anche un’altra ragione più sconvolgente: la torre sarebbe infatti la prima grande “manifestazione della manipolazione del potere”. Per convincere gli abitanti a costruire la torre, i leader politici potrebbero aver “manipolato le paure del buio e del sole al tramonto”, ipotizza.
Ma in generale, dice, il passaggio all’agricoltura – che i costruttori della torre potrebbero aver sperimentato – ha anche segnato anche un passaggio da una relativa autonomia goduta dai cacciatori-raccoglitori a una autocrazia che spesso si sviluppava come modo di gestire le società stabili che sorsero dopo la diffusione dell’agricoltura.
Certo, ammette Barkai, è impossibile sapere con certezza se i costruttori della torre fossero spinti dalla paura o dalla gioia, anche se lui sospetta quest’ultima. “Non riesco a pensare come si possa obbedire agli altri per gioia o felicità.” Altri ricercatori sono tuttavia scettici riguardo a questa connessione astronomica e al suo fattore paura.

Da un lato, l’interazione tra le strutture e il sole è così complesso che in genere è difficile dire quali effetti siano intenzionali e quali dovuti al caso, ha dichiarato l’esperto di astronomia antica Stephen McCluskey, ex professore della West Virginia University.
Dall’altro, i popoli più antichi vedevano il solstizio d’estate come un motivo di celebrazione, non paura, sostiene l’archeologo Brian Byrd, esperto della transizione verso l’agricoltura nel Medio Oriente.

Fonti: National Geographic, Antiquity.

Sardegna : Grotta del Fico


La Grotta del Fico si apre nella parete calcarea compresa tra le spiagge di Cala Mariolu e Cala Biriala, in uno dei tratti più affascinanti della Sardegna. 
Per milioni di anni un fiume sotterraneo ha modellato le viscere della terra modellando lunghe e contorte gallerie, dal 2003 facilmente visitabili grazie ad un sistema di passerelle che consente di visitare gran parte della grotta in assoluta sicurezza.


Dal 2006 è aperta inoltre un’altra parte della grotta che dopo un percorso di 80m conduce ad un pozzo verticale di 40 e sul fondo è possibile ammirare il mare che si collega si collega all’esterno attraverso un cunicolo sommerso chiamato "Sifone della Foca Monaca".
 La prima esplorazione della grotta risale agli anni sessanta e si deve al gruppo speleo di Padre Antonio Furreddu, uno dei pionieri della speleologia sarda che ne misurò l’effettiva estensione ( oltre 1200 m ) dopo avere scoperto l’esistenza di numerosi sifoni che la collegavano direttamente al mare.


Padre Furreddu tornò più volte a visitare la Grotta del fico, soprattutto per studiare da vicino la Foca Monaca, abituale frequentatrice della grotta fino agli anni ottanta.

I “marshmallow”, i dolcetti degli dei del Nilo

Donati dagli Dei ai Faraoni dell’antico Egitto, conosciuti dai popoli antichi dell’Asia e dai Romani, i “marshmallow” sono giunti sino alla nostra epoca con il loro mistero e il loro sapore antico


I “marshmallow”, per chi non li conoscesse ancora, sono dei dolcetti soffici al tatto e delicati al palato che vengono preparati nei più disparati modi. 
Simili a batuffoli di cotone, alle volte si mostrano come cilindretti bianchi o colorati, ma possono essere anche in varie forme multicolori.
 Sembrano essere i dolciumi più leggeri che si conoscano al mondo, anche se sono ricchi di calorie tanto che chi si trova a seguire una qualche dieta deve tenerne conto.
 Si trovano nei supermercati e nelle fiere di paese. Sono abbastanza comuni e possono passare anche inosservati visto che si confondono con la miriade di altri dolciumi proposti dal settore.
 La cosa sorprendente è che questi dolcetti hanno una storia interessante dietro di loro che giunge addirittura dall’antico Egitto. Una storia emblematica che mostra come elementi del lontano passato possano essere ancora presenti al giorno d’oggi e fare parte del nostro ordinario quotidiano.
 Il loro nome deriva dal fatto che all’origine erano preparati da un estratto della malva, “mallow” in inglese, che cresceva prevalentemente nelle paludi, “marshes” per l’appunto.
Per facilitare la loro preparazione e quindi la loro commercializzazione, oggi la preparazione di base è stata modificata e si trovano marshmallow a base di agar-agar per la dieta vegetariana ma anche di mais con colla di pesce.
 Oggi sono conosciuti soprattutto negli Stati Uniti dove rappresentano un elemento culturale piuttosto significativo. Consumati in gran quantità, spesso si trovano anche nelle bisacce dei campeggiatori americani che durante i bivacchi estivi tra le tende li consumano, infilati in ramoscelli, abbrustolendoli al fuoco dei falò. Ne è un esempio una scena del film “Star Trek, l'ultima frontiera”, dove il Comandante Kirk, Spock e il Dott. McCoy, in licenza, si trovano in mezzo ad una foresta a cena davanti al fuoco. Dopo avere consumato la cena, Spock porge ai suoi compagni dei marshmallow spiegando che sono il frutto di una ricerca che sta conducendo su usi e costumi umani. 
Ma la mania americana per i marshmallow è esplosa addirittura in convention. 
Tutti gli anni infatti, il 1° maggio, almeno ventimila golosi si radunano a Noble County nello stato dell'Indiana per gustare e proporre nuove forme e colori dei dolcetti degli dei. 

Una leggenda araba nata intorno ai marshmallow racconta che anticamente gli dei si erano presi cura di un Faraone che era spesso malato e che a causa dei suoi frequenti malanni non riusciva a seguire le vicende del suo paese. Ma il Faraone rifiutava ogni rimedio poiché era anche schizzinoso nei suoi gusti e amava soprattutto i dolciumi. 
Allora gli Dei si rivolsero ai Sacerdoti del Tempio per indicare loro come realizzare dei dolcetti che avrebbero fatto piacere al Faraone, ma lo avrebbero anche guarito. 
Così nacquero i marshmallow che sarebbero giunti sino nel nostro tempo. 
La preparazione di questi dolcetti seguiva una procedura in parte diversa da quella che è praticata nella moderna commercializzazione.
 La base era ricavata dalla mucillaggine ottenuta dalle radici della malva, la “Althea officinalis”, ed era dolcificata con l’aggiunta del miele. Un prodotto che oltre ad essere gradito al palato rappresentava anche un elemento terapeutico.

La malva è ben conosciuta in campo fitoterapico. 
Erba perenne, ricca di folta peluria che conferisce un aspetto vellutato, alta fino a 1,5 m, con foglie trilobate con margine crenato, fiori rosati grandi circa 3 cm raccolti in infiorescenze peduncolate. Cresce nei luoghi umidi e paludosi; originaria dell’Africa, è stata introdotta in Europa ed è naturalizzata oggi anche negli USA dal Massachusetts alla Virginia. 
La parte maggiormente utilizzata è costituita dalle radici scorticate, raccolte in autunno, ma si trovano in commercio anche la radice intera essiccata e le foglie disidratate.


Alle mucillagini di estratti di radice di altea vengono riconosciute proprietà emollienti, lenitive sulle membrane della mucosa della gola, con effetti antitossivi, e utili per problemi intestinali e urogenitali.
 Riguardo a queste mucillagini si è evidenziata anche un marcata attività ipoglicemica. 

 Dopo gli antichi Egizi i marshmallow fecero la loro comparsa, soprattutto per le loro proprietà terapeutiche, anche presso i Cinesi, i Romani, i Siriani e i Greci che li conoscevano con il nome di “malakà”. 
Nel Medioevo i marshmallow erano usati per curare un gran numero di malattie, mal di denti, tossi, mal di gola, indigestione e diarrea. E anche come sostegno nell’attività sessuale maschile.
 I monaci del sud della Francia iniziarono a coltivare la malva all’interno dei loro cortili. 
Dal 1850 invece di fare la base dei marshmallow con il succo estratto dalla radice della pianta di malva, per realizzarli più facilmente, iniziarono a farli con la gelatina di grano e quindi dolcificandoli, al posto del miele, con la copertura di zucchero a velo.
 Un procedimento fatto a mano che richiedeva comunque ancora tempi lunghi di preparazione. 
Nel 1948 l'industriale dolciario Alex Doumak riuscì tuttavia ad accelerarne la produzione rendendo più facile la loro commercializzazione, tanto che i dolcetti degli dei divennero estremamente popolari, soprattutto negli Stati Uniti. Dal '53, il brevetto "Original Jet-Puffed" ha permesso poi di gonfiare a dismisura la già soffice caramella per renderla ancora più leggera.
 I marshmallow sono così comuni nella cultura moderna che si possono trovare loro citazioni nelle più disparate situazioni. 
Li troviamo citati nel testo della celebre canzone dei Beatles, “Lucy in the sky with diamonds” dove si parla di una marshmallow pie. Nel programma americano “A tutto reality”, che si svolge su un’isola, i marshmallow vengono dati a ogni puntata ai concorrenti che rimangono in gara, chi non lo riceve è eliminato dal gioco e deve lasciare l'isola. 
Anche nei romanzi delle avventure di "Percy Jackson" i ragazzi speciali nel campo mezzosangue li mangiano intorno al fuoco. Nel film “Una notte da leoni 2”, Alan, uno dei protagonisti, aggiunge un medicinale ai marshmallow drogando così i suoi amici in vacanza in Thailandia. 
Nel telefilm “Scrubs” la dottoressa principiante Elliot viene ripetutamente chiamata dall'infermiera Roberts con il nome di marshmallow.
 Nel film “Les Vacances de monsieur Hulot” di Jacques Tati, del 1953, si vede il protagonista alle prese con una “guimauve”, il nome francese dei marshmallow.
Nelle strisce dei “Peanuts” i marshmallow sono la componente tipica dei pasti intorno al fuoco di Snoopy e della sua compagnia scout composta da Bill, Conrad, Harriet e Oliver, gli amici del piccolo uccello giallo Woodstock. 
Nel film “Ghostbusters” uno dei nemici degli acchiappafantasmi è lo “Stay Puft Marshmallow Man”, vestito da marinaretto e ispirato al marchio della Michelin. 
 In Italia i marshmallow si possono trovare sotto il nome di “toffolette”.

Il momento più STRAORDINARIO nella vita di una donna

MAMMA e PAPA', LA FAMIGLIA .....anche questo volete portarci via????



La ribellione via social media all'arroganza di un Comune che per iscrivere i figli a scuola chiede la rinuncia a chiamarsi padre e madre.
Almeno sui moduli di un'amministrazione che ha più a cuore la deroga che la norma.
E che magari l'8 marzo festeggerà la donna, dopo averle tolto il diritto a essere mamma.
E, invece, la difesa del proprio essere mamma piace.
A destra, ma anche a sinistra come dimostrano le migliaia di «mi piace», le tantissime condivisioni e il dilagare nei blog che hanno moltiplicato un gesto semplice e grande che ha sfondato la diga dell'ipocrisia.
Ancor più prezioso perché inaspettatamente trasversale in giorni in cui le barriere dell'ideologia sono sempre più invalicabili e la divisione dei campi è sempre più cattiva.
Ma è bastato l'orgoglio di una mamma per battere la politica che divide. «Non credevo proprio. Io ho fatto la mia fotina, pensavo di raccogliere solo un po' di “mi piace” dei soliti amici», spiega la signora Bianchi che così ha logato il suo profilo Facebook. «Cosa ho provato? Un grande fastidio.
Prima ho cancellato quel “genitore 1”, poi ho scritto mamma e fatto la foto». In realtà lei è Barbara Bianchi, mamma poco più che quarantenne di due gemelli di otto anni che dal web si è scoperto fa crescere da sola dopo il tramonto del matrimonio. «Lo scriva pure». Sono cose delicate, non sempre è il caso di raccontarle. «Non c'è problema, vivo questa situazione con orgoglio».
Così come con orgoglio ha reagito allo sfregio di essere definita burocraticamente «genitore 1» anziché mamma.
Quel ruolo così difficile, da interpretare con fatica ogni giorno.
Anzi ogni ora del giorno. Troppo per buttarlo via firmando un modulo della scuola pensato da amministratore dissennati.
E tutto perché? Per lasciare aperto uno spiraglio alle coppie omosessuali che devono iscrivere un figlio a scuola.
Ci sarà posto anche per loro, ci mancherebbe. Ma magari senza calpestare chi fa la mamma con grande gioia, ma anche con tanta fatica.
E lo stesso (ovviamente) deve valere per i papà, perché i pilastri della famiglia sono due.
E non facciamo finta di non capire che il disegno della sinistra è di muovere passo dopo passo verso il matrimonio per le coppie omosessuali.
Per poi aprire alle adozioni dei bambini, disassando i cardini della famiglia.
E i cattolici del centrosinistra che dicono? Subiscono ipocriti, per conservare le loro poltroncine.
Ora forse anche loro rimarranno stupiti a scoprire che sono in tanti a non pensarla così. «Io aspetto serenamente quel giorno e quella firma per fare la mia piccola strage», promette un'altra mamma sotto la «fotina» della Bianchi. «La signora Bianchi non ci sta - si legge su un blog - e allora via con un tratto di penna e scrive la parola più bella del mondo: mamma».

Commento mio
Signora Kyenge la sua pensata di dare un numero ai genitori andrà bene per chi come lei ha un numero imprecisato di mamme e papà e 38 fratelli.

"Sono nata in una famiglia poligamica, e non si rinnegano mai le proprie origini". (dichiarazione della signora)

ECCO APPUNTO non si rinnegano le proprie origini perchè dovremmo rinnegarle noi????
Da noi la poligamia è un reato, la famiglia da noi è formata da un papà una mamma e i loro figli. non c'è bisogno di un numero per identificarli sono solo due un uomo e una donna come natura detta. Se le coppie omosessuali hanno dei problemi basta indicare il nome della mamma o del papà naturale perchè quei bimbi sicuramente sono nati dall'unione una donna e un uomo come è geneticamente normale  che sia.
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