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lunedì 22 settembre 2014


Perché in autunno le foglie cambiano colore ?


Le foglie verdi, in autunno, diventano gialle, arancioni, rosse, marroni... A cosa si deve questo spettacolo di colori della natura? Secondo David Lee che ha studiato dal 1973 il colore delle foglie presso l'Università Internazionale della Florida «Il colore di una foglia è sottrattivo, come i colori dei pastelli sulla carta». 

 Nelle cellule delle foglie, infatti, si trovano i carotenoidi (pigmenti chimici responsabili del colore arancione delle carote o del giallo del mais) che però restano invisibili sotto il verde della clorofilla (il pigmento chimico che cattura l'energia del sole). Ma in autunno, quando le foglie si stanno avvicinando alla fine del loro ciclo di vita, la clorofilla diminuisce e il giallo-arancione del carotene e degli altri pigmenti (che normalmente sono nascosti dal verde della clorofilla) prende il sopravvento e si rivela. 

 Le piante producono anche altri pigmenti, gli antociani (dal greco anthos=fiore e kyàneos=blu), che hanno una tinta rossastra-blu e la funzione di "crema solare" contro alcuni raggi ultravioletti (sono anche responsabili del colore blu di molti frutti come i mirtilli). Quando la clorofilla e gli antociani coesistono, il colore delle foglie può virare verso il bronzo, come nei frassini.
 A concentrazioni sufficientemente elevate, gli antociani fanno invece sembrare una foglia quasi viola, come negli aceri giapponesi. 

 Infine, i colori autunnali più grigi si formano quando le foglie sono completamente morte perché avviene la degradazione dei cloroplasti (corpuscoli cellulari che contengono la clorofilla). E quando le foglie sono secche, i pigmenti si legano insieme e formano quello che David Lee definisce una "poltiglia marrone". 

 Tratto da: http://www.focus.it/

Abracadabra: significato, usi e storia del simbolo esoterico.


Usata oggi spessissimo come "incantesimo" sul palco da maghi, prestigiatori e illusionisti nei loro spettacoli di intrattenimento, ma anche per "deridere" l'ipotesi che esista una soluzione semplice a problemi apparentemente irrisolvibili, Abracadabra è invece qualcosa di molto antico, in passato degno di rispetto e venerazione.

 Le origini della parola stessa sono attualmente un mistero. L'ipotesi più accreditata è che sia stato il medico dell'Quintus Serenus Sammonicus a "crearla" (nel III secolo d.C.): quest'ultimo, al servizio dell'imperatore Caracalla, la utilizzò per curare la febbre del suo importante paziente.
 Le sue indicazioni a riguardo, contenute nel libro Liber Medicinalis, contribuirono alla diffusione del "culto" di questa parola, che trovò nei successivi imperatori Geta e Alessandro Severo due grandi estimatori. 
Tutto questo contribuì a fare di Abracadabra uno dei vocaboli e dei simboli esoterici più usati a scopo magico-rituale per tutto il Medioevo.

Ma ogni cultura ha una sua versione a riguardo.
 C'è chi pensa che si tratti di una parola celtica, composta da Abra (Dio) e Cad (santo) o che derivi dalla frase babilonese Abbada Ke Dabra ("muori quando la parola stessa è pronunciata").
 Chi sostiene provenga dall'aramaico Avrah KaDabra - il cui significato è più o meno "Io creerò come parlo" - o da Abhadda Kedhabhra, cioè "sparisci come questa parola".
 Chi pensa sia derivata dalla frase araba Abra Kadabra, ovvero "fa che le cose siano distrutte".
 Altri che la sua origine sia ebraica. Potrebbe trattarsi dell'unione dei tre vocaboli che rappresentano la santa Trinità: padre (ab), figlio (ben), e spirito santo (ruach acadach).
 Oppure potrebbe essere ha-bĕrakāh dabĕrāh ("pronunciare la benedizione") o Abreq ad habra ("invia la tua folgore fino alla morte").

 Quale che sia la sua provenienza è universalmente usata in tutte le lingue mondiali "così com'è" - senza alcuna traduzione - e riconosciuta come per se stessa inintellegibile.
 Da secoli viene usata iscritta su talismani di varie forme, ma la più usata è sicuramente quella triangolare. 
 Quinto Sereno Sammonico, nella sua opera De medicina praecepta, cita appunto un amuleto triangolare dal vertice capovolto come cura per la malattia: la parola abracadabra vi andava scritta intera nella prima riga e poi via via nelle righe sottostanti ma sempre rimuovendo l'ultima lettera.
 In questo modo leggendo il contenuto del talismano riga per riga a scendere la malattia (o la creatura demoniaca che la causava) si sarebbe a sua volta indebolita, fino a scomparire.

L'orologio meccanico del pavone


L’orologio meccanico del pavone è conservato al Museo dell’Ermitage.
 L’orologio fu fabbricato a Londra nel 1777 da James Cox, esperto orologiaio e gioielliere inglese, su richiesta di Grigorij Aleksandrovic Potëmkin, allora favorito della zarina Caterina II. 

Argento, bronzo, metallo dorato e strass sono i materiali utilizzati per gli animali e i numerosi dettagli naturalistici che compongono questo complesso meccanismo che muove vari animali, ovvero uno scoiattolo, una civetta, un gallo, un pavone che mostra una spettacolare apertura della coda.


Dal 1797 l’orologio si trova all’Ermitage e funziona ancora bene come pochi altri orologi dello stesso tipo, anche se la messa in funzione dei meccanismi che permettono di ammirare i movimenti più spettacolari avviene soltanto in occasioni particolari.

Il primo meccanismo che entra in funzione è quello del gufo simbolo della notte che muove la testa e batte il piede roteando gli occhi. 
Bellissimo il pavone che con grazia piega la testa e apre la coda d'oro simbolo del sole. Il pavone poi si gira e mostra il retro della coda la cui superficie argentata simboleggia la notte.
 Su un fungo sormontato da una libellula animata compaiono le ore.

 

A caccia dei segreti di Antikythera


A più di un secolo di distanza dal primo ritrovamento gli archeologi tornano nel Mar Egeo, nel luogo dove attorno al 60 a.C. affondò la nave romana che trasportava antikythera, il più antico “computer” mai scoperto.
 Obiettivo della missione è quello di scoprire ulteriori dettagli sulle origini di questa macchina e su come divenne parte del carico di quello sfortunato viaggio.

 Secondo i ricercatori il meccanismo di antikytera è un complicato calcolatore astronomico di fabbricazione greca utilizzato per determinare la posizione delle stelle e dei pianeti. 
Gli esami al radiocarbonio lo fanno risalire a oltre 2000 anni fa.
 Il suo cuore è un articolato sistema composto da oltre 30 ingranaggi in bronzo e quando venne recuperato, nel 1901, era custodito all’interno di una scatola di legno riccamente istoriata. 

Come finì sulla nave romana è a oggi un mistero: una delle ipotesi è che fosse parte della dote di una nobildonna in viaggio verso la capitale per sposarsi.
 Per scoprirne di più gli archeologi si stanno preparando a scendere a 150 metri di profondità utilizzando speciali tute pressurizzate: questi gioielli tecnologici permetteranno loro di esplorare il relitto della nave romana per ore a caccia di dettagli.
 Un robot esplorerà il fondo marino prima degli scienziati e cercherà tracce di una seconda nave che si sospetta possa essere affondata nelle vicinanze.

Simile a una tuta spaziale, la tuta pressurizzata permetterà ai ricercatori di muoversi sul fondo del mare e all'interno del relitto in tutta sicurezza e senza limiti di tempo: l'aria viene infatti direttamente pompata dalla superficie dentro lo scafandro e durante l'emersione non è necessario decomprimere. 
 L'operatore all'interno della tuta viene calato e recuperato dal fondo grazie a un cavo collegato alla nave d'appoggio in soli 3 minuti.
 Il dispositivo è inoltre dotato di un sistema di propulsione che consente a chi la indossa di muoversi con discreta agilità sul fondo del mare.


Fino ad oggi i ricercatori hanno potuto esplorare la zona del naufragio fermandosi a soli 60 metri di profondità e recuperando 36 statue di marmo, gioielli, oro e resti umani.
 «Ci sono ancora decine di oggetti sparsi sul fondo: questa nave trasportava immense ricchezze provenienti dall’Asia Minore» spiega alle agenzie di stampa Dimitris Kourkomelis, uno degli archeologi che sfiderà le profondità del Mediterraneo. Ma il vero tesoro oggetto della ricerca sono i pezzi mancanti di antikythera.

 Da: focus.it

L'equinozio d'autunno tra storia, credenze e miti


Ancora poche ore e l’addio alla stagione estiva astronomica verrà sancito dall’equinozio d’autunno, evento previsto quest’anno il 23 settembre alle 2.29: succede solo due volte l’anno e solo per pochi istanti. Pochi attimi in cui il sole si presenta all’intersezione tra eclittica ed equatore terreste. 
Giorni particolari che, come spesso accade, hanno dato origine ad innumerevoli credenze e miti.
 Sono tante anche oggi le celebrazioni legate all’equinozio d’autunno. 
Ad esempio questo segna il primo giorno del Mehr nel calendario iraniano, una delle festività chiamate Jashne Mihragan ossia della ”condivisione dell’amore”.
 L’equinozio di settembre, anche se per una casualità, rappresentava però anche il primo giorno dell’anno nel calendario repubblicano francese, che venne usato dal 1793 al 1805.
 La prima repubblica francese venne proclamata infatti il 21 settembre 1972 trasformando il giorno successivo (giorno dell’equinozio) nella data di nascita dell’era repubblicana francese. Nel Regno Unito il giorno dell’equinozio viene utilizzato per calcolare la ricorrenza di un particolare festival, quello del raccolto, che viene celebrato la domenica della luna piena più vicina all’equinozio di settembre.
 Ma è il mondo del paganesimo e dell’esoterico a trovare, ancor oggi, nel giorno dell’equinozio un punto di riferimento. 
Dal punto di vista astrologico, poi, l’entrata del sole in bilancia, segno dell’equilibrio, riporta al significato latino del nome equinozio, che ricorda come questi siano gli ultimi giorni in cui le forze si bilanciano, mentre a seguire l’oscurità vincerà per i successivi sei mesi sulla luce.
 Nella tradizione iniziatica, ad esempio, questo momento rappresenta un passaggio, un tempo per la meditazione, per rivolgersi all’interno, durante il quale la separazione tra ciò che è visibile e ciò che invisibile si assottiglia sin quasi a scomparire. 

Diversi anche i miti, soprattutto celtici, che si legano a questa giornata. Nella memoria di queste antiche popolazioni, infatti, l’equinozio autunnale veniva festeggiato con il nome di Mabon, il giovane dio della vegetazione e dei raccolti. Indicato col nome di Maponus nelle iscrizioni romano-britanne, è figlio di Modron lsa, dea madre. 
Rapito tre notti dopo la sua nascita, venne imprigionato per lunghi anni fino al giorno in cui venne liberato da Culhwch, cugino di Re Artù. 
A causa del soggiorno ad Annwn, Mabon rimase giovane per sempre. Il suo rapimento è poi l’equivalente celtico del rapimento greco di Persefone. 

Nell’antica Grecia si celebravano i grandi misteri elusini, riti misterici che rievocavano appunto il rapimento di Persefone, figlia della dea Demetra, che regolava i cicli vitali della terra, condotta agli inferi dal dio Ade che ne fece la sua sposa.


La leggenda racconta che Demetra, come segno di lutto e fin quando non riebbe sua figlia, rese impossibile il germogliare delle sementi e delle pianti e rese sterile la terra.
 In sostanza in entrambe i miti quello che viene ciclicamente rivissuto ogni autunno è il sacrificio del dio/dea che, dopo le gioie e glorie amorose della primavera e dell’estate, dopo aver dato con la massima potenza fecondante i frutti a tutti gli esseri viventi, è costretto/a a morire a se stesso, a declinare nel buio della terra, intesa come ventre, utero, tomba, inferno. 

Il mito si interseca quindi con la realtà e con i ritmi vitali dell’uomo, che nonostante la tecnologia, continuano ad essere intimamente legati con l’ancora, per certi versi, misterioso movimento degli astri.
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