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lunedì 29 settembre 2014

Ecco come usare un enorme Tornado come Anti-Incendio


E' raro vedere da vicino un tornado in natura e di solito non lo si vede nella condizione in cui si può comodamente osservarlo da vicino. Tuttavia, in ambienti speciali è possibile vedere le loro spettacolari repliche artificiali. 
La più grande al mondo si trova presso il Museo Mercedes-Benz, in Germania, che oltre ad ospitare alcuni automobili che hanno fatto la storia, ospita anche un tornado di 34.4 metri!
 Sembra una folle attrazione turistica ma in realtà è stato creato dagli architetti per spingere il fumo verso l'esterno dell'edificio in caso di incendio.


Struttura del Museo Mercedes-Benz dall'esterno e dall'interno.


Nel caso in cui c'è un vero incendio, 144 fori sui muri centrali iniettano aria all'interno della corte centrale del museo. Il tornado impiega circa 7 minuti per materializzarsi ma poi raccoglie tutto il fumo e lo spinge verso l'esterno attraverso ventole per farlo convogliare all'esterno. 
Questo sistema per l'eliminazione del fumo nasce dall'esigenza intrinseca al design delle stanze per l'esposizione.
 Ogni area è connessa con la successiva senza uscite per il fuoco e sono tutte situate intorno ad una vasta corte centrale con rampe laterali. Così gli architetti hanno dovuto inventarsi un sistema completamente nuovo per questo museo. 
 Quindi, in un certo senso, si può dire che i principi alla base dei tornado fuori sono un pericolo per gli umani, ma qui sono usati per salvare le vite umane!
 Dal 2007, questo tornado è finito anche nel Libro Guinnes dei Record.

Fonte : link2universe.net

Turf Church of Hof: l'ultima chiesa dal tetto verde d'Islanda


Una spettacolare chiesa dal tetto verde, immersa nella natura, molto diversa dalle cattedrali che ci aspetteremmo altrove nel mondo.
 Hof è un piccolo villaggio nel sud-est dell'Islanda, a circa 30 chilometri ad est di Vatnajökull, e 20 chilometri a sud del Parco Nazionale di Skaftafell. 

 I tetti verdi sono molto comuni in Islanda per quanto riguarda le case dei villaggi. Questa pratica si è sviluppata nel Nord Europa già a partire dell'età del ferro. Ma solo da un paio di decenni la stiamo riscoprendo nel resto dell'Occidente. 
Gli uomini in passato iniziarono a ricoprire i tetti con un tappeto erboso per riparare le abitazioni dal freddo. La pratica dei tetti verdi dal 18esimo secolo interessò le abitazioni e gli edifici in legno del villaggio di Hof e di altre località dell'Islanda.
 Le chiese non erano escluse da questa pratica. Alcuni di questi edifici sono sopravvissuti fino ai giorni nostri e la Hof Church ne è un esempio.


Fu costruita nel 1884 e dotata di un tappeto erboso sul tetto, secondo i metodi di edificazione del tempo. Ha pareti spesse e pesanti per isolare dal freddo. Il tetto è in lastre di pietra e coperto dall'erba. 
Ora questa singolare chiesa dal tetto verde fa parte dei monumenti storici islandesi.
 A costruirla furono il falegname Pall Palsson e il fabbro Porsteinn Gissurarson. 
 Ora la chiesa dal tetto verde è gestita dal Museo Nazionale Islandese, ma serve ancora come edificio parrocchiale.
 I tetti verdi in Islanda venivano utilizzati su tutti i tipi di edifici, dalle stalle alle chiese. Dal 20esimo secolo questa tradizione iniziò ad essere abbandonata e ai giorni nostri soltanto un gruppo ristretto di falegnami e artigiani conserva e cerca di tramandare questa arte.


La chiesa islandese dal tetto verde ha un aspetto magico e surreale. Sappiamo bene quanto i tetti verdi siano utili per il risparmio energetico e per l'assorbimento dell'acqua piovana. 
Sarebbe  davvero bello se la tradizione dei tetti verdi venisse ripresa in Islanda e si diffondesse altrove, sfruttando anche le tecnologie di oggi. 

Marta Albè

I vulcanelli di fango


Le esplosioni dei vulcanelli di fango, come quella avvenuta il 27 settembre in Sicilia, nella riserva Maccalube ad Aragona-Caldare (Agrigento), sono tutt'altro che rare.

 ''Non è possibile prevedere questi fenomeni naturali, ma è chiaro che bisogna studiarli per riuscire ad avere un sistema di monitoraggio e controllo simile a quello utilizzato per vulcani e terremoti'', osserva Rocco Favara, direttore della sezione di Palermo dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). 

I vulcanelli sono quindi poco studiati, nonostante siano molto comuni in Sicilia, dove oltre che nella provincia di Agrigento si trovano nei pressi di Caltanissetta (dove è avvenuta un'esplosione nel 2008) e di Catania, vicino Paternò e Belpasso.
 Si trovano anche in altre regioni italiane, dalla Basilicata alla Calabria, fino a Campania, Lazio, Abruzzo, Marche ed Emilia Romagna. 
Nel resto del mondo i vulcanelli di fango sono negli Stati Uniti, in particolare nel parco di Yellowstone, in Sudamerica (Venezuela e Colombia) e in Asia. Al largo del Pakistan, per esempio, nel 2009 è avvenuta un'esplosione così grande da generare un'isola.


Sono anche fenomeni noti da tempo: basti pensare, si rileva nel blog dell'Ingv dedicato ai terremoti, che lo stesso nome della riserva di Macalube ''deriva dall'arabo Maqlùb che significa letteralmente 'ribaltamento', proprio per le sue caratteristiche geologiche di continua attività''. 

 I vulcanelli di fango, spiega Favara, ''sono vulcani in miniatura, ma naturalmente con molte differenze rispetto ai vulcani veri e propri''. A provocarli, prosegue l'esperto, è la risalita di gas (in molti casi, come a Maccalube, si tratta di metano) ed acqua dal sottosuolo.
 Nel momento in cui l'acqua attraversa zone ricche di argilla, questa diventa 'plastica'. 
Si forma così un materiale fluido che gradualmente viene portato verso la superficie dalla costante risalita dei gas e continua ad accumularsi fino al punto in cui la pressione dei gas non diventa tale da provocare una sorta di 'eruzione', un ribaltamento che può produrre emissioni di fango capaci di raggiungere un'altezza compresa fra 10 e 25 metri.


''I vulcanelli di fango - osserva l'esperto - sono fra i tanti fenomeni cui è sottoposto il territorio italiano e andrebbero studiati con maggiore dettaglio.
 Purtroppo i soldi per poterlo fare sono pochi''. 

www.ansa.it

Lubecca e la lega anseatica


La Lega Anseatica (detta anche Hansa) fu un’alleanza di città che nel medioevo e fino all’inizio dell’era moderna contribuirono in maniera determinante al fiorire dei commerci in gran parte dell’Europa settentrionale e del Mar Baltico.

 La sua fondazione viene fatta risalire al XII secolo.
 Fu in questo periodo che i mercanti delle varie città iniziarono a formare società, o Hanse, con l’intenzione di commerciare con le città straniere.
 Queste società lavorarono per acquisire degli speciali privilegi commerciali per i loro membri. Ad esempio, i mercanti di Colonia furono in grado di convincere Enrico II d’Inghilterra a garantire loro speciali privilegi commerciali e diritti di mercato nel 1157. Alla fine, alcune di queste città iniziarono a formare alleanze tra di loro, in forma di una rete di mutua assistenza che sarebbe diventata, appunto, la Lega Anseatica.

 La città principale della Lega Anseatica era Lubecca, fondata da Enrico il Leone di Sassonia nel 1159.
 La sua posizione sul Baltico le diede accesso ai commerci con Scandinavia e Russia, portandola in competizione diretta con gli scandinavi che avevano in precedenza controllato gran parte delle rotte commerciali del Baltico.
 La competizione finì a seguito di un trattato con i commercianti di Gotland. Attraverso questo trattato, i mercanti di Lubecca ottennero anche l’accesso al porto russo di Velikij Novgorod, dove costruirono uno scalo commerciale.
 Lubecca, che aveva avuto accesso alle aree di pesca del Baltico e del Mare del Nord, successivamente formò un’alleanza con Amburgo, un’altra città mercantile che controllava l’accesso alle rotte del sale provenienti da Lüneburg. 
 Le città alleate furono in grado di prendere il controllo di gran parte del commercio del pesce salato. Altre alleanze simili si formarono in tutto il Sacro Romano Impero. 
Con il passare del tempo, la rete di alleanze crebbe fino a comprendere più di 100 città.
 I coloni tedeschi costruirono numerose città anseatiche sul Baltico, come Tallinn, Riga e Tartu. Alcune di queste sono ancora piene di edifici e dello stile dei giorni della Lega Anseatica.
 La Livonia (le odierne Estonia e Lettonia) ebbe il suo parlamento Anseatico (dieta) e tutte le sue principali città erano membri della Lega.
 Alla fine, la capitale dell’Hansa venne spostata a Danzica, che era il principale porto per le mercanzie polacche (all’epoca tedesche) trasportate lungo la Vistola.
 Altre importanti città membre della Lega furono Thorn, Elbing, Königsberg e Cracovia.
 La Lega aveva una natura fluida, ma i suoi membri condividevano alcuni tratti. In primo luogo, gran parte delle città anseatiche vennero fondate o come città indipendenti, o ottennero l’indipendenza attraverso il potere di contrattazione collettivo della Lega.


L’indipendenza era comunque limitata; significava che le città dovevano lealtà diretta al rispettivo Imperatore, senza alcun legame intermedio alla nobiltà locale.
 Un’altra similitudine consisteva nel fatto che le città erano tutte collocate in posizione strategica lungo le rotte commerciali. Infatti, al vertice del loro potere, i mercanti della Lega Anseatica erano talvolta in grado di usare il loro potere economico (e in alcuni casi anche la loro forza militare – le rotte commerciali necessitavano di protezione, le navi della Lega erano bene armate) per influenzare la politica imperiale. 
 La Lega esercitò il suo potere anche all’estero: tra il 1368 e il 1370, le navi della Lega combatterono contro i danesi, e costrinsero il re di Danimarca a garantire alla Lega il 15% dei profitti provenienti dai commerci danesi (Trattato di Stralsund). 

 Le rotte commerciali esclusive vennero spesso ottenute a caro prezzo. In molte città straniere, i mercanti dell’Hansa erano confinati in determinate aree di commercio e nei loro scali commerciali. Gli era concesso raramente, se non mai, di interagire con gli abitanti del luogo, ad eccezione che per motivi legati alle contrattazioni. Inoltre, il potere della Lega Anseatica era invidiato da molti, sia nobili sia mercanti.
 Nel 1598 chiudeva definitivamente il fondaco anseatico a Londra. L’esistenza stessa della Lega e dei suoi privilegi e monopoli creò tensioni economiche e sociali che spesso si tramutarono in una forma di rivalità strisciante tra i membri della Lega.
 Per la fine del XVI secolo, la Lega implose e fu incapace di gestire le lotte intestine, i cambiamenti socio-politici che accompagnarono la Riforma, l’emergere dei mercanti olandesi e inglesi e le incursioni dei Turchi Ottomani sulle rotte commerciali e sull’Impero stesso.
 Il crollo definitivo si ebbe con la guerra dei Trent’anni, che sancì il predominio svedese nel Baltico.
 All’ultima dieta della Lega, nel 1669, si presentarono solo tre città: Lubecca, Amburgo e Brema. 
 Nonostante la sua scomparsa, diverse città ancora mantengono collegamenti con la Lega Anseatica. Anche nel XXI secolo le città di Deventer, Kampen, Zutphen, Lubecca, Amburgo, Brema, Rostock, Wismar, Stralsund, Greifswald e Anklam si denominano Città Anseatiche. Per Lubecca in particolare, questo legame anacronistico ad un glorioso passato rimase di particolare importanza nella seconda metà del XX secolo. Lubecca fu anche, come molte altre città, una “Libera città Anseatica”, come è ancora ad esempio Brema.
 Questo privilegio venne rimosso dal Partito Nazista dopo che il Senato della Città Anseatica non permise ad Adolf Hitler di parlare a Lubecca durante la campagna elettorale. Hitler tenne il discorso a Bad Schwartau, un piccolo villaggio alla periferia di Lubecca.
 In seguito si riferì a Lubecca come a “quella piccola città vicino a Bad Schwartau”

Washington risarcisce i Navajo con 554 milioni di dollari


Mega-rimborso in arrivo per i Navajo d'America dopo 50 anni di dispute: l'amministrazione Obama darà alla tribù indiana 554 milioni di dollari in base all'accordo stipulato per mettere fine alla serie di cause e sfide legali intentate dai nativi contro il governo americano. 
 La Navajo Nation sostiene da decenni che il governo Usa ha gestito malamente i fondi e le risorse naturali esistenti nelle riserve abitate dalla tribù. 
 L'accordo - secondo una anticipazione ottenuta dal Washington Post - verrà firmato  a Window Rock, in Arizona. 
Proprio tra Arizona, New Mexico, Utah si trovano le riserve e la maggior parte della popolazione sopravvissuta della tribù: ma molte decine di migliaia di acri delle terre di proprietà indiana sono in realtà 'affittate' da sempre al governo per agricoltura, estrazione di petrolio, gas e minerali. 
 "Questa risoluzione storica pone fine ad una disputa lunghissima e pesante - ha detto al quotidiano di Washington il ministro della giustizia Eric Holder - e dimostra il fermo impegno del dipartimento a rafforzare la nostra collaborazione con le nazioni tribali". 
 "La Nazione dei Navajo ha lavorato incessantemente per anni per raggiungere questa risoluzione e dopo un processo lungo ed arduo sono soddisfatto che finalmente riceveremo una giusta compensazione", ha commentato Ben Shelly presidente della 'Navajo Nation'.

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