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venerdì 28 novembre 2014

La coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria è Patrimonio universale dell’Unesco


Pantelleria: i giardini arabi e dammùsi, i muri a secco e i terrazzamenti. E poi c'è l'inconfondibile vite dello Zibibbo, ora patrimonio dell'Unesco. 
La pratica agricola della "vite ad alberello" è stata infatti ammessa tra i beni culturali immateriali dell'Umanità.


La tradizionale pratica della coltivazione del vigneto ad alberello è trasmessa da generazioni tra le famiglie di viticoltori e agricoltori della meravigliosa isola mediterranea di Pantelleria. 
Circa 5mila residenti di questo fazzoletto di terra si dedicano ogni giorno alla coltivazione secondo metodi sostenibili.

 La tecnica ha diversi passaggi: il terreno viene dapprima livellato, poi vi si scavano delle buche profonde circa 20 centimetri dove saranno piantate le vigne.
 Il ramo principale della vite viene poi accuratamente tagliato per produrre sei rami e formare un vero e proprio cespuglio.
 Le uve vengono raccolte a mano dalla fine di luglio, tra riti e feste contadine.


"E' un atteso riconoscimento al lavoro di intere generazioni di agricoltori che hanno realizzato nel tempo un territorio unico ed inimitabile di una bellezza straordinaria ma capace anche di esprimere produzioni da primato conosciute ed apprezzate in tutto il mondo". 
E' quanto ha affermato il presidente nazionale della Coldiretti Roberto Moncalvo, nel commentare il via libera all'iscrizione della vite ad alberello di uve Zibibbo nella Lista dei Patrimoni Culturali dell'Umanità.
 La proposta avanzata dall'Italia, con un dossier coordinato dal professor Pier Luigi Petrillo con il supporto del comune di Pantelleria e degli agricoltori panteschi, è stata votata all'unanimità dai 161 paesi membri dell'Unesco durante la riunione del 24 novembre a Parigi. 
Soddisfatto è il ministro Maurizio Martina alle Politiche agricole, che dice : "È la prima volta che una pratica agricola consegue questo autorevole riconoscimento. La notizia mi riempie di orgoglio e di soddisfazione. Questa iscrizione rappresenta una svolta a livello internazionale, poiché finalmente anche i valori connessi all'agricoltura e al patrimonio rurale sono riconosciuti come parte integrante del più vasto patrimonio culturale dei popoli".


Germana Carillo

Alla scoperta delle origini delle maschere di Teotihuacan


Si riteneva che le incredibili maschere di pietra, reperti iconici dell'antica città messicana di Teotihuacan, fossero fatte di una pietra simile alla giada.
 Molti ricercatori hanno anche pensato che fossero state realizzate nel sito della metropoli precolombiana. Ma sembra invece che siano state prodotte in laboratori situati a grande distanza dalla città, ben più a sud. E sono di una pietra più morbida, come la serpentinite, e poi lucidate con quarzo.
 Il quarzo non non c'è nelle vicinanze di Teotihuacan, e questo rafforza l'idea che siano state prodotte lontano.

 "Quasi tutto ciò che è stato scritto sulla realizzazione delle maschere di Teotihuacan non è vero", spiega Jane Walsh, antropologa dello Smithsonian National Museum of Natural History a Washington, DC. 
 Grazie alla tecnologia moderna stanno venendo alla luce nuovi particolari sulla realizzazione di queste antiche e preziose maschere. 
Uno speciale microscopio elettronico a scansione è in grado di identificare gli atomi e i minerali che compongono la pietra, e rilevare i più minuscoli segni lasciati dagli artigiani che hanno le scolpite.
I risultati di questi studi sono stati presentati la scorsa settimana a Baltimora, al convegno annuale della American Vacuum Society – un'associazione di scienziati dei materiali – da Timothy Rose, un geologo dello Smithsonian.
 "Abbiamo esaminato circa 150 maschere di provenienza ben documentata presenti in diverse collezioni museali," dice Rose, che lavora con Walsh.


In quel gruppo di maschere, Rose ha trovato tre falsi, scoperti perché il microscopio ha mostrato segni rivelatori dell'uso di strumenti moderni. 
"Siamo contenti che siano così pochi", aggiunge. "E' importante disporre di questa tecnologia per sapere ciò che è autentico, perché per molte maschere, sia in musei che in collezioni private, non abbiamo una buona documentazione relativa alle loro origini." 
 Ma ci sono anche molte altre prove che Teotihuacan avesse collegamenti a lungo raggio, osserva Geoffrey Braswell, antropologo all'Università di California a San Diego, esperto della Mesoamerica. 
Nella città sono stati trovati anche altri oggetti d'importazione, ha scritto Braswell. 
Walsh e Rose, tuttavia, notano che gli autori delle maschere non sono stati rintracciati. 

 All'apice del suo potere, nella prima metà del primo millennio d.C., Teotihuacan - che si trovava poco più a nord dell'attuale Città del Messico - era la più grande città del Nuovo Mondo.
 Aveva più di 100.000 abitanti, alte piramidi, condomini a più piani, grandi viali e strutture cerimoniali. Al tempo, quella società dominava anche i Maya, che vivevano nella parte orientale di quello che oggi è il Messico meridionale e in Guatemala. Ma nel VII secolo d.C, la città crollò per ragioni ancora sconosciute e i suoi edifici furono saccheggiati.
 Oggi nelle collezioni museali di tutto il mondo sono conservate più di 600 maschere di pietra.
 Walsh dice che i ricercatori pensavano che fossero di giadeite, una pietra dura, ma nessuno aveva realmente analizzato la loro composizione.


L'ha fatto Rose, usando uno speciale microscopio elettronico a scansione.
 Di solito, per produrre immagini questi microscopi richiedono che i campioni siano rivestiti con particelle di carbonio od oro, ma questo non può essere fatto con reperti archeologici preziosi, perché li danneggerebbe. Ma Rose ha usato un microscopio ad alto vuoto, che circonda il campione di vapore acqueo.
 Il fascio del microscopio colpisce gli elettroni del vapore, che interagiscono con gli elettroni sulla superficie del campione, producendo un'immagine dettagliata. E anche una “firma” dagli atomi del campione.
 "Possiamo dire che tipi di atomi ci sono in qualsiasi materiale e, quindi, identificare qualsiasi minerale e roccia", dice. Le maschere si sono così rivelate composte da minerali come serpentinite, calcare e travertino, e non di giadeite.
 Sulla loro superficie gli scienziati hanno anche identificato duri grani di quarzo.
 Il quarzo è un buon abrasivo per la lucidatura della pietra; nei pressi di Teotihuacan non c'è, ma è presente a circa 150 chilometri più a sud, nello stato di Puebla.
 A Puebla, gli archeologi hanno trovato resti di laboratori utilizzati per realizzare oggetti in ceramica caratteristici di Teotihuacan. "Pensiamo che le maschere siano state prodotte da artigiani di Puebla. Sono state intagliate e lucidate lì, per essere poi portate nella città con un lungo viaggio", spiega Walsh.


Un'ulteriore conferma a questa ipotesi viene da un altro materiale trovato sulle maschere: esoscheletri di diatomee, una specie di alghe. 
"Hanno un aspetto che ricorda i bigodini", dice Rose.
 Questi scheletri formano un particolare tipo di terreno, un sedimento soffice in grado di dare un buon tocco finale alle maschere di pietra.
 Anche in questo caso, si tratta di un tipo di suolo presente a Puebla ma non nei pressi di Teotihuacan. 

 Poiché il microscopio elettronico a scansione rivela dettagli finissimi, fino a un micron di diametro, gli scienziati sono stati in grado di vedere i segni degli attrezzi degli artefici delle maschere. (Un micron è un milionesimo di metro.) E questo è un buon modo per distinguere le maschere antiche autentiche dai falsi moderni. "Un intagliatore precolombiano avrebbe utilizzato una punta di pietra con della sabbia per aiutare il taglio", dice Walsh. "Questo lascia un solco dritto sulla superficie della maschera." 
I falsari moderni – attirati dai 150-250.000 dollari che queste maschere possono far guadagnare in un'asta - usano frese rotanti, ben più veloci ma che lasciano un'impronta molto diversa. 
"Se ne può vedere la curvatura nei tagli", aggiunge l'antropologa. Le lame moderne, inoltre, sono tempestate di diamanti, che lasciano solchi paralleli rivelatori.
 E' rassicurante, dicono i ricercatori, che la maggior parte dei reperti dei musei sembra essere autentica. E guardando al futuro, quando con il proseguimento degli scavi di Teotihuacan verranno alla luce nuove maschere, è ancora più confortante sapere di avere a portata di mano uno strumento in grado di individuare eventuali frodi. 

Fonte : lescienze.it

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