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mercoledì 27 maggio 2015

La roccia rospo


Alta circa 9 metri è composta di calcare scuro, si trova nella regione indiana del Rajaputana sul monte Abu ed anticamente, incuteva terrore e timore reverenziale. 
Ma perché?
 Perché la sua forma ricorda quella di un gigantesco rospo.

 I geologi hanno accertato che si tratta di un masso erratico, trasportato e depositato, in epoche remotissime, nella sua posizione attuale da un ghiacciaio.

 Ovviamente la forma della roccia rospo ha fatto nascere molte leggende.
 La più nota racconta di un terribile mostro che terrorizzava l'intera regione pretendendo dagli abitanti sacrifici umani per saziare la sua immensa fame.
 Un giorno, però, Visnu, impietosito alla vista delle due povere fanciulle che erano state designate come le prossime vittime del mostro, pietrificò all'istante l'abominevole rospo. 
Da allora la formazione è nota con il nome di Roccia Rospo ed è venerata dagli abitanti del posto come segno tangibile della presenza divina. 

 Da: iviagginellastoria.it

Ejima, ecco il ponte più ripido al mondo


Costruito nel 2004, il ponte Ejima unisce le due città giapponesi: Matsue e Sakaiminato sulle sponde opposte del lago Nakaumi. Nonostante non sia estremamente lungo, nel punto più alto il ponte Ejima raggiunge i 44 metri di altezza e la sua inclinazione varia dal 5,1% al 6,1%. 
 Vista quindi la sua lunghezza e inclinazione viene considerato il ponte più pericoloso al mondo.




Il compito degli ingegneri giapponesi è stato quello di permettere a tutte le navi, che durante il giorno passano sotto il ponte, di navigare senza creare loro alcun ostacolo.
 Il ponte Ejima ha stabilito un record: la sua lunghezza 1,4 chilometri, l’ha reso il più lungo nella sua nazione tra quelli a struttura rigida e il terzo a livello mondiale.


Fonte: nanoda.com

Stagione di temporali e di fulmini: che cosa sono gli sprite


Molto in alto, al limitare del confine tra lo Spazio e ciò che possiamo ancora chiamare Terra, si formano strani fulmini che si accendono per pochi millesimi di secondo: i ricercatori li chiamano sprite, spettri rossi. 
 Generalmente appaiono infatti rossi e tendono a formarsi a grappoli. 

Anche se vengono osservati da più di un secolo, gli sprite non erano considerati reali fino al 1989, quando vennero fotografati nel corso di una missione dello Space Shuttle. 
Da quel momento si è aperta la caccia a questo tipo di fulmini e gli esperti sono oggi in grado di "catturare l'istante" grazie a nuovi sistemi automatici di scatto. 
Poiché sono fulmini - si ritiene - la loro comparsa coincide con la stagione dei temporali, che per il nostro emisfero è il periodo che va dalla primavera a tarda estate.


Che cosa siano esattamente gli sprite è ancora da capire.
 Spiega Oscar van de Velde, dell’Università Tecnica di Catalogna (Spagna): «Si possono considerare fenomeni di meteorologia spaziale in quanto si formano a circa 80 km d’altezza».




Quando si verifica un fulmine tra una nuvola e il suolo può succedere che la nuvola - che per generare il fulmine deve essere a carica positiva - diventi a carica negativa e questo può creare un importante campo elettrico con la ionosfera, ossia la parte più alta dell’atmosfera terrestre. 
 A questo punto vi è un movimento di elettroni verso la ionosfera che eccitano le molecole dell’alta atmosfera (ossia fanno "saltare" gli elettroni degli atomi a livelli di energia più elevati).
 Quando le molecole tornano al loro stato iniziale si ha la scarica elettrica: questo è l'effetto diretto e osservabile del moto energetico degli elettroni, del loro passaggio da un livello energetico a uno più basso.




Il tutto avviene in un arco di tempo compreso tra i 10 e i 20 millesimi di secondo. 
Di solito solo un centesimo dei fulmini "normali" porta anche alla formazione di uno sprite, ma, quando avviene, lo spettro rosso si può allungare anche per 90 km e dunque può arrivare ai confini dell’atmosfera terrestre (che si pone per convenzione a 100 km di quota). 
 Il colore è spesso rosso-blu, e questo è dovuto alla forte presenza di azoto, le cui molecole eccitate diventano visibili in quello spettro di colori. 

 Fonte: focus.it

Mitla, il luogo del riposo


Uno dei siti più conosciuti nella Mesoamerica è quello di Mitla, nella valle di Oaxaca, in Messico.
 Si tratta di un sito molto ben conservato, con imponenti edifici in pietra e ricche tombe sotterranee.
 Mitla si trova ad un'altitudine di 1.480 metri e dista 38 chilometri dalla città di Oaxaca.
 La città, che un tempo era un centro religioso di estrema importanza, venne fondata, secondo gli archeologi, tra il V e il II secolo a.C. e raggiunse i 10.000 abitanti agli inizi del periodo postclassico (IX-XII secolo d.C.).
 Di questo periodo sono visibili, oggi, quattro edifici monumentali: il Grupo de la Iglesia, il Grupo del Arroyo, il Grupo del Adobe e il Grupo de las columnas. 

Quest'ultimo è uno degli esempi più straordinari dell'arte precolombiana in Mesoamerica.
 Il nome di Mitla, in lingua zapoteca, era Lyobaa, che vuol dire "luogo di riposo" e la sua conservazione è dovuta anche al clima secco del luogo.
 La valle era abbastanza isolata, ma gli Zapotechi avevano frequenti contatti con altre popolazioni mesoamericane.


Il Grupo de las columnas è un palazzo che si sviluppa intorno ad un cortile centrale, accessibili per mezzo di una scalinata monumentale che conserva ancora l'originale colorazione in ocra rossa. 
Una grande anticamere, che dà accesso al cortile più interno, è attraversata da sei colonne in basalto che, molto probabilmente, un tempo sorreggevano una copertura in pietra. 
Un corridoio coperto da qui conduce al cortile centrale, sul quale affacciano quattro camere decorate a mosaico e, un tempo, ad affresco. 
I mosaici di Mitla sono pannelli contenenti centinaia di listelli in pietra che formano motivi geometrici. 
Le poche tracce di colorazione rimandano echi del rosso e raffigurazioni di quelli che, forse, erano dei guerrieri.

 I palazzi di Mitla erano le residenze dei sovrani e dei sacerdoti della città e celavano vasti complessi ipogei che fungevano da necropoli reali. 
Nella lingua azteca Mictlan, da cui è derivato il nome della città, era il regno dell'oltretomba. 
Gli archeologi hanno ritrovato molte tombe, al di sotto dei palazzi della città.
 Oggi una chiesa, edificata nel XVI secolo, sorge su un palazzo mixteco del quale è possibile apprezzare ancora tratti di mura coperti di pannelli a mosaico.


L'attuale chiesa dedicata a S. Francesco (1574) sorge su quella che, un tempo, era una piramide mixteca, poco scavata e molto deteriorata. 

Quando gli Spagnoli arrivarono nella valle, poco dopo il 1520, i Mixtechi (che avevano sostituito gli Zapotechi intorno al 1000 d.C.) conoscevano un sistema di scrittura ed utilizzavano due sistemi di calendari ereditati dai predecessori Zapotechi.
 Mitla, all'arrivo degli Spagnoli, si estendeva su 1-2 chilometri quadrati e gli abitanti avevano posto a coltura intensiva un'area di circa 20 chilometri quadrati. 

Uno dei primi a scrivere di Mitla fu il frate Toribio de Benavente Motolina (metà del XVI secolo).
 La distruzione della città avvenne per ordine dell'arcivescovo Albuquerque nel 1553.
 I resti di pietra furono utilizzati per edificare chiese come quella di San Pablo, sulla cima di alcune rovine.










Fonte: oltre-la-notte.blogspot.it
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