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martedì 15 settembre 2015

Kushim, 5200 anni fa, nell’attuale Iraq, il primo nome della storia: un contabile sumero


Il più antico nome di persona documentato nella storia dell’umanità non è quello di un re, di un eroe o di un artista… ma quello di un contabile. 
Così sostiene lo studioso israeliano Yuval Noah Harari nel suo libro Da animali a dei. Breve storia dell’umanità, pubblicato di recente anche in Italia da Bompiani.
 Il nome compare su una tavoletta di argilla sumera, ritrovata in Mesopotamia (nel territorio dell’attuale Iraq), e datata al 3.200 a. C. circa.
 A quanto pare è un documento commerciale: la ricevuta per una serie di spedizioni di orzo.
 La scritta composta da disegni e incisioni andrebbe letta così: “29.086 misure di orzo 37 mesi Kushim”. 
Secondo Harari, l’interpretazione più probabile della frase è: “Nel corso di 37 mesi sono state ricevute in totale 29.086 misure di orzo. Firmato Kushim”. 
Gli studiosi, spiega Robert Krulwich nel suo blog per naturalgeographic.com non sono unanimi nel ritenere che “Kushim” fosse un nome proprio. Potrebbe essere un titolo, come, appunto “contabile” o “addetto alle spedizioni di orzo”.
 I primi nomi propri della storia potrebbero dunque essere quelli che compaiono su un’altra tavoletta sumera, un po’ più recente (3.100 a.C., una o due generazioni dopo quella di Kushim). L’iscrizione dice: due schiavi posseduti da Gal Sal: En-pap X e Sukkalgir. 
Anche in questo caso si tratta dei persone comuni (due schiavi e il loro proprietario) e non di re o profeti. 
Non c’è da stupirsi, commenta Krulwich: 5.000 anni fa gran parte dell’umanità era composta da contadini, pastori, artigiani, che avevano bisogno di tenere traccia dei loro possedimenti, dei loro crediti e dei loro debiti. 
La scrittura, almeno in origine, nacque proprio a questo scopo: non un megafono per i potenti, ma una tecnologia per la gente comune.

 Fonte: http://www.nationalgeographic.it

Samaipata - Bolivia



A 120 chilometri ad ovest di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, sulla strada che conduce a Cochabamba, si trova uno dei siti archeologici più importanti d’America: il “Fuerte” (la Roccaforte) di Samaipata Un luogo misterioso per la gente del posto che guarda il tutto con rispetto, quando alcuni restano durante la notte per dormirci, dichiarano di aver avuto esperienze sorprendenti: incontrando con esseri extraterrestri, altri sostengono di aver incontrato gli “angeli di luce“.
Ma tutti sono d’accordo nel descrivere la forza che emana questo luogo e il mistero che circonda le sue pietre.



In un picco di montagna a 1.950 metri di altezza si erge una formazione rocciosa di arenaria di 200 metri di larghezza e 60 metri di lunghezza. E’ orientata da est a ovest, utilizzata in epoca precolombiana per costruire un monumento di dimensioni maestose.
Tutti gli archeologi sono concordi nell’affermare che a Samaipata si stabilirono, in epoche diverse, differenti tipi di culture; vari ricercatori sono inclini a pensare che il monumento sia stato lavorato dagli Incas e che lo utilizzarono come punto di difesa dalle migrazioni dei Guarani. Le tribù amazzoniche furono i suoi primi abitanti, intagliando nella roccia immagini di animali della giungla che erano venerati come simboli di potere e di vita.
Tuttavia, nel sito si avverte anche la presenza della cultura dei Tiawanacota, i puma e i serpenti appaiono scolpiti nelle sue rocce. Il “Fuerte” fu un luogo cerimoniale, dal momento che le mura e la forma della costruzione hanno le caratteristiche dei templi. Samaipata in lingua Quechua significa “altura del riposo“, può essere una derivazione di Samaipata “altura del matrimonio“, i posti accoppiati, triangolari o rettangolari che si trovano in tutto il monumento, riflettono l’unione dell’uomo e la moglie in riti e cerimonie.



Questa grande area rocciosa di arenaria fu scolpita, nella sua totalità, ricoprendo circa 12.000 metri quadrati e la parte visibile di 40 ettari; si crede che furono siti abitati. All’interno del complesso si osservano vari settori.
La parte occidentale fu un recinto religioso e cerimoniale, presenta varie sculture, sono visibili due puma di oltre due metri di larghezza e un giaguaro, scolpiti nella pietra arenaria, delimitato da dei canali; incontriamo anche perforazioni tubolari lucide, di circa 20 centimetri di diametro, che penetrano verticalmente nella roccia. Salendo da un lato, è possibile incontrare il dorso di un serpente scolpito.
I canali formano 262 rombi che sfociano in due collettori di 4 metri, che simboleggiano la connessione dell’acqua con la “Pachamama“, la Madre Terra.



Alla cima del monumento si nota un cerchio con nove tagli quadrangolari e nove triangoli alternati; all’interno di un piccolo cerchio ci sono nove postazioni rettangolari.
Qui possiamo osservare l’ingegno dei costruttori, integrando le tecniche idrauliche all’interno di una città tempio. Nella zona nord si evidenziano cinque nicchie di circa due metri di altezza e uno di larghezza che sembrano altari di idoli assenti.
Nella zona sud, scolpita dalla base verso la cima, sembrano i gradoni di uno stadio per la grande quantità di sedili scolpiti. Come se gli abitanti di Samaipata si sedevano per osservare quello che potevano riuscire a giungere dall’orizzonte, per assistere a giochi o celebrazioni.



Dirigendosi verso sud est, passando sopra alcune piattaforme di costruzione megalitica, si scende a un piccolo burrone e, da lì, su una piccola collina per scendere su qualche scalinata abbastanza inclinata, si raggiunge un luogo denominato la “Chinkana“. 
Quando abbiamo descritto la parte geologica della montagna di Samaipata, si ricorderà che si tratta di una roccia di arenaria rosso grigia, dove fu perforato un pozzo distante circa 500 metri dalla collina scolpita, il cui diametro superficiale è di 1,30-1,50 metri e la sua profondità nell’anno 1937 era di 12,50 metri, misurata dallo scrittore.
Il barone Von Nordnskiold, che nell’anno 1911 visitò queste rovine, chiarì che la “Chinkana” si trovava sul fondo, potendo misurare 15 metri esatti di profondità, mentre la gente del posto era invece convinta di 30 metri. Il barone scoprì che la “Chinkana” fu costruita in forma di spirale, dove la spirale era simile a quella di una lumaca, sino al fondo.
E’ molto probabile che la forma sia la riproduzione di un serpente come simbolo che sale dal Pachamama, del seno della Madre Terra, come credono altri. Gli abitanti del luogo, sopra “Chinkana“, narrano le seguenti leggende: alcuni sostengono che si tratta di una rana che vomita fuoco dalla bocca, altri vedono un furibondo “Yoporojobobo” (un grande serpente) che contiene al suo interno i segreti degli Incas salvati; altri credono che sia una miniera d’oro che nasconde tesori favolosi; alcuni che sia un pozzo d’acqua che porta nell’altro lato della collina, i più affermano che si tratti di un tunnel che tiene ramificazioni sotterranee che si connettono con Tiawanaco, l’ Isla del Sol, Coricancha (Cuzco), eccetera, essendo una delle tante gallerie che la civiltà “Tiawanacota” costruì e che possono essere trovati nella maggioranza delle rovine di Bolivia e Perù; altri pensano che sia un pozzo che veniva utilizzato per la tortura. Costantemente, gli archeologi cercano di chiarire la relazione che è esistita tra le Ande e le valli Yungas e comprendere le relazioni culturali che si verificarono tra la cultura di Tiawanaco, la cultura Mollo e quella Inca. Tutti sono d’accordo sul fatto che Samaipata sia uno dei pochi templi che fu tutto scolpito sopra la roccia.

 

Le strutture degli struzzi e dei giaguari ci aprono la porta per sentire l’influenza di culture amazzoniche, dall’altro lato si è dimostrata la presenza e ricostruzione di una parte come tempio incaico.
Quello che ha richiamato la nostra attenzione è che tutto il tempio fu costruito conformando l’immagine di un essere umano per essere visto dal cielo, potendo osservare due occhi nell’angolo ovest del tempio, dove si trovano le incisioni dei puma.
Possiamo anche distinguere in tutto il tempio tre parti, la testa, il tronco dove si trova un cerchio, chiamato “coro dei sacerdoti“, che è come un plesso solare, simile all’essere umano. Nella parte est possiamo osservare una zona chiamata “fonte del serpente“, che dà la sensazione di essere un organo sessuale, e al centro una struttura simile a quella che sembra una colonna vertebrale. Per alcuni potrebbe essere una pista per astronavi, per le sue linee parallele simili a quelle incontrate a Nazca, e sembrano essere progettate per essere viste dal cielo.



Tutti questi simboli corrispondono con la cultura “Tiawanacota” e, poi, con la cultura Inca, dove si parla di giganti e esseri che viaggiano nell’aria, gli angeli andini conosciuti con il nome di “Taapakas” o esseri belli e splendenti al servizio di Wirakocha. Samaipata, assieme al lago Titicaca, le piste di Nazca, eccetera, fu creata come un tempio santuario e, contemporaneamente, come un segnalatore planetario per essere visto dal cielo.
Con tutti questi dati ci domandiamo: fu destinato anche per esseri di altri mondi che eventualmente visitano il nostro pianeta? Fu Wirakocha il suo creatore e costruttore come per Tiawanaco e il lago Titicaca? Sono forse i resti di una sconosciuta civiltà di giganti chiamati nelle Ande “Taynas” e “Chullpas“
 

Tuttavia, il mistero circonda i resti di Samaipata dove appaiono nuovamente Chinkanas, gallerie che dicono che possono essere connesse con altre rovine delle Ande.
E’ sorprendente che il pozzo, Chinkana, è tagliato in una forma che ricorda un serpente. Gli antichi iniziati di tutte le culture veneravano il fuoco igneo, serpentino, come una forza che irradia dal centro della Terra.
Tutti gli abitanti della regione considerano Samaipata come un santuario, molti sensitivi affermano che toccando il suolo sentono come se esistesse un qualcosa all’interno delle viscere della Terra. La paura e la superstizione irradiano in molte persone che affermano che durante la notte hanno visto materializzarsi, fisicamente, degli esseri di altri mondi. Samaipata ci racconta di una cultura antichissima che si perde nella notte dei tempi, una civiltà che costantemente guardava le stelle.

Spaventoso tornado sul Sole



Per circa 40 ore quel che sembra un gigantesco tornado ha interessato la superficie del Sole.
 Il fenomeno, avvenuto ai primi di settembre, ma le cui immagini sono state elaborate nelle ultime ore, è stato catturato dal satellite della Nasa Sdo, acronimo di Solar Dynamic Observatory, in orbita attorno alla Terra con lo scopo di studiare la nostra stella. 

 I tornado solari sono cosa del tutto diversa dai tornado terrestri: sono il risultato dell’interazione del complesso campo magnetico della nostra stella con il plasma in superficie (il plasma è fatto da particelle ionizzate, ossia atomi privati dei loro elettroni). 
Questo materiale può essere "catturato" dal campo magnetico del Sole che lo fa ruotare, muovere in avanti e indietro come una calamita con la limatura di ferro.
 Il risultato sono queste strutture che si elevano dalla superficie e dove la temperatura raggiunge i 2,8 milioni di gradi centigradi.

 
I tornado solari hanno in genere dimensioni tali da contenere varie volte la Terra: dopo una certo numero di ore si "spengono", e il materiale viene riassorbito dal Sole.
 Iver Cairns, della University of Sidney, ha calcolato che quello appena ripreso da Sdo era alto circa 70.000 chilometri e poteva contenere 5 volte il nostro pianeta. 
A dimostrazione della loro imponenza vi è anche il fatto che i tornado solari possono viaggiare anche a 300.000 chilometri all’ora - quelli terrestri, per fare un confronto, viaggiano a 480 chilometri all’ora. 
Stando ad alcuni astronomi questi tornado non sono un fenomeno raro sul Sole, tant’è che in ogni istante ce ne potrebbero essere anche 10.000, ma è molto difficile catturarne le immagini. 

 LUIGI BIGNAMI

Mappa della " democrazia " italiana

8 milioni di cani sacrificati al dio Anubi


Otto milioni di mummie di cani: tante ce ne vollero per placare e ingraziarsi il dio Anubi (o Anubis), divinità sciacallo dell'Oltretomba ritenuta protettrice delle necropoli egizie.
 A scoprire l'ecatombe nei sotterranei tempio di Anubi a nord di Saqqara, a una trentina di chilometri dal Cairo, è stato Paul Nicholson, archeologo dell'Università di Cardiff (Galles): la descrizione del sorprendente ritrovamento è pubblicata sulla rivista Antiquity. 
 Le catacombe risalenti al IV secolo a.C. sono note dal 1897, e sono state più volte visitate da ladri che hanno rovinato e distrutto diversi sarcofaghi - persino per trasformare le mummie in fertilizzante. 
Ma solo nel 2011 Nicholson e colleghi hanno intrapreso scavi completi della serie intricata di tunnel, non raggiunti da luce naturale, che le compongono.


Il passaggio centrale si estende per 173 metri, con corridoi laterali lunghi fino a 140 metri.
 Pareti e soffitto sono stati realizzati con pietra risalente al basso Eocene (circa 50 milioni di anni fa) e nella copertura superiore di uno dei tunnel è stato trovato il fossile di un vertebrato marino estinto - forse un parente dei lamantini - vissuto 48 milioni di anni fa.
 Se gli antichi costruttori egizi ne fossero o meno al corrente, non è dato saperlo.


L'offerta di mummie animali alle divinità costituiva, come sappiamo, una parte importante dell'economia che ruotava intorno a templi e necropoli.
 Alcune mummie canine nascondevano probabilmente i resti di cani del tempio di Anubi morti di vecchiaia.
 Altre custodivano invece le spoglie di cuccioli vissuti poche ore, allevati apposta per la mummificazione, separati dalla madre e lasciati morire di fame (i resti non presentano tracce di morte violenta).
 Nella maggior parte delle mummie (il 92%) sono stati rinvenuti resti canini, ma sono trovati anche sciacalli, volpi, manguste, falchi e gatti.

 Fonte: focus.it
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